Il dissidente sovietico Viktor Kravcenko e la fuga dalla dittatura comunista Commenti di Alessandro Gnocchi, Corrado Augias
Testata:Il Giornale - Il Venerdì di Repubblica Autore: Alessandro Gnocchi - Corrado Augias Titolo: «Nina non aveva paura di 'uccidere' Stalin - II caso Kravcenko che non servì a risvegliare la sinistra sonnambula»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 18/01/2019, a pag. 31, con il titolo "Nina non aveva paura di 'uccidere' Stalin", il commento di Alessandro Gnocchi; dal VENERDI' di Repubblica, a pag. 87, con il titolo "II caso Kravcenko che non servì a risvegliare la sinistra sonnambula", il commento di Corrado Augias.
Ecco gli articoli:
Viktor Kravcenko
IL GIORNALE - Alessandro Gnocchi: "Nina non aveva paura di 'uccidere' Stalin"
Alessandro Gnocchi
Il legal thriller più bello? Il caso Kravcenko di Nina Berberova. Direte voi: è un documento storico, non un legal thriller. Vero. Però gli elementi ci sono tutti: abbiamo un assassino (Stalin), un eroe (il dissidente Kravcenko), una sfilata di testimoni, avvocati battaglieri, un saggio presidente del tribunale, un pubblico delle grandi occasioni (Aragon, Sartre e tanti altri scrittori). Poi c'è lei. Nina Berberova, nata a San Pietroburgo nel 1901 in una famiglia di altissimi dignitari dello zar, nel 1922 fugge a Berlino e nel 1925 approda Parigi dove vivrà fino al 1950. Dopo questa data, Nina sceglie come patria adottiva gli Stati Uniti. Morirà nel 1993. Autrice di una biografia di Cajkovskij in cui per la prima volta si parlava della omosessualità del compositore (Il ragazzo di vetro. Cajkovskij, Guanda), la Berberova si è cimentata nel romanzo e nella poesia. La nuova edizione de Il caso Kravcenko (introduzione di Marco Belpoliti, Guanda, pagg. 296, euro 18,50) spiega il motivo per cui Nina è considerata una delle grandi autrici del XX secolo. Il resoconto del processo, pubblicato prima su rivista e poi in volume, è strabiliante per concisione, precisione e finezza nel cogliere i dettagli (una risata soffocata, una voce dal pubblico, un gesto del procuratore). La lettura è elettrizzante. Ma chi era Viktor Kravcenko? È stato uno dei primissimi dissidenti. Durante la guerra viene assegnato alla ricerca di risorse militari. In altre parole: viene inviato negli Usa col compito di procurare materiale da spedire nell'Unione sovietica (i due Paesi erano alleati). Nel 1944 però diserta e chiede asilo politico agli Stati Uniti. Nel 1946 pubblica le sue memorie, che usciranno in Italia due anni dopo col titolo Ho scelto la libertà (Longanesi). Il contenuto è esplosivo. Kravcenko racconta le conseguenze tragiche della collettivizzazione dei campi in Ucraina, ricostruisce il clima di terrore provocato dalle purghe staliniane, mostra un Paese precipitato nella miseria materiale e morale. I comunisti europei iniziano una campagna di diffamazione contro Kravcenko. Si distingue, tra gli altri, il settimanale politico-letterario Les Lettres françaises con una serie di articoli firmati con uno pseudonimo. Tra le accuse rivolte al dissidente, c'è anche quella di non aver scritto il libro e di essere espressione dei menscevichi fuggiti nel continente americano. A questo punto, Kravcenko fa partire una querela per diffamazione che culmina col processo celebrato a Parigi tra gennaio e marzo 1949. Il processo è scioccante. I testimoni della difesa si scoprono, uno a uno, come mentitori imboccati direttamente da Mosca. I testimoni dell'accusa raccontano storie raccapriccianti di morte e povertà. Il momento clou è la deposizione allucinante di Margarete Buber-Neumann. Sposata con Heinz Neumann, membro del Politbüro e parlamentare del Reichstag, rimane vedova al termine della fuga in Russia per evitare le persecuzioni di Hitler. A Mosca Neumann viene arrestato e fucilato come elemento sospetto. Margarete è spedita in un Gulag kazako. Nel 1940, in seguito agli accordi tra Hitler e Stalin, viene restituita alla Germania. Ma essendo comunista finisce subito nel lager di Ravensbrück. In seguito, proprio nel 1949, pubblicherà le sue memorie: Prigioniera di Stalin e Hitler (Il Mulino). Il tribunale non lascia scampo. Le menzogne sovietiche sono smontate, anzi: sbriciolate. Presto fu chiaro che i veri imputati erano la Storia e il comunismo. Dopo il processo Kravcenko c'era poco da gingillarsi con il socialismo reale. Chiunque fosse dotato di occhi e orecchie non tappate da cerume ideologico non poteva non sapere. La propaganda comunista era spazzatura oltre il limite della decenza: questo fu il risultato ottenuto con la decisione di far testimoniare automi teleguidati dal Cremlino. Nell'aula passò gran parte dell'intellighenzia francese ma per buttare giù il muro del silenzio (e della complicità morale) ci vorranno ancora decenni, quando nel 1973 arriva in Europa il microfilm di Arcipelago Gulag, opera monumentale del futuro premio Nobel per la letteratura, il grande Aleksandr Solzenicyn. L'anno successivo Solzenicyn venne condotto in Germania Ovest e privato della cittadinanza: è esiliato. In Italia ci fu qualcuno (Giorgio Napolitano) che giudicò positiva la decisione sovietica. In Francia, Arcipelago Gulag scatena una tempesta e un regolamento di conti (intellettuali). In Italia scrittori e artisti fingono che sia successo nulla. E questo atteggiamento offre la misura esatta del pantano culturale in cui siamo vissuti e ancora viviamo.
Corrado Augias: "II caso Kravcenko che non servì a risvegliare la sinistra sonnambula"
Corrado Augias
Ho netta memoria delle accese polemiche sviluppatesi a causa del libro di Viktor Andrijovyc Kravcenko intitolato Ho scelto la libertà. Per la prima volta un funzionario sovietico di rango medio-alto lasciava il suo paese e passava, per così dire, all'Occidente. Si trovava già negli Stati Uniti in missione ufficiale (1944), gli bastò quindi sparire dalla circolazione per poi ricomparire qualche mese dopo con il suo memoriale dal titolo poi diventato proverbiale, nel quale denunciava la cappa dello stalinismo scesa sull'Unione Sovietica. La reazione in patria e nella stampa comunista in Europa fu violenta, la rivista Les Lettres françaises arrivò a calunniare così violentemente Kravcenko che questi citò in giudizio direttore e 1949 ed ebbe due gradi di giudizio chiusi entrambi con la condanna (poco più che simbolica) dei calunniatori. Questo lo scarno resoconto dei fatti. L'aspetto interessante è che al processo assistette una rifugiata russa destinata a diventare una nota scrittrice, Nina Berberova, la quale redasse un accurato resoconto delle udienze per il giornaletto dei suoi compatrioti riportando i drammatici passaggi del procedimento. Dopo averlo pubblicato nel 1991, l'editore Guanda ripropone Il caso Kravcenko corredato da una bella prefazione di Marco Belpoliti e da altre note compresa quella dell'editore francese Hubert Nyssen (Actes sud) che contribuì notevolmente a diffondere lo scritto. Nina Berberova non soffri l'orrore dei gulag ma ascoltò i testimoni, tra i quali Margarete Buber-Neumann, sposata in prime nozze col figlio del filosofo ebraico Martin Buber. Rimasta vedova del secondo marito, dopo il patto Molotov-Ribbentrop del 1939 tra l'Urss e il Terzo Reich fu consegnata ai nazisti che la rinchiusero nel lager femminile di Ravensbrück. Riuscì a sopravvivere, testimoniò al processo parigino. E’ incredibile come Berberova riesca a "fare romanzo" con dei resoconti giudiziari. L'aiuta l'intensa drammaticità dei fatti, ma soprattutto la sua capacità di cogliere il punto centrale di ogni intervento. A rileggere oggi queste cronache di settant'anni fa si capisce bene quanto lungo sia stato, come scrive Belpoliti, il sonnambulismo della sinistra e del Partito comunista nei confronti del Grande Fratello sovietico.
Per inviare la propria opinione ai quotidiani, telefonare: Il Giornale 02/85661 Il Venerdì di Repubblica 06/ 49823128 Oppure cliccare sulle e-mail sottostanti