Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 15/11/2018 a pag.1-9 con il titolo "L’ira di Erdogan scatena le milizie a Tripoli. Assalto all’aeroporto per sfidare Sarraj" la cronaca di Francesco Semprini.
Francesco Semprini
Disordini a Tripoli e la Cirenaica sugli scudi. Chiusi i lavori della conferenza di Palermo, la Libia torna protagonista in casa propria con una serie di azioni e reazioni corollario dei deboli teoremi formulati al vertice siciliano. È la Settima brigata a farsi sentire di nuovo dopo mesi di quiete seguita agli scontri che hanno travolto la capitale tra la fine di agosto e i primi di settembre.
Bengasi, Libia
Si tratta dei cosiddetti «insorti» di Tarhuna, la formazione armata che aveva scatenato una guerra urbana contro le milizie che controllano la capitale e condizionano l’operato dello stesso Fayez al Sarraj. I combattenti della «Settima» hanno annunciato di aver preso il controllo dell’aeroporto internazionale di Tripoli e di aver dichiarato la strada che porta allo scalo zona militare, con conseguenti scontri nel distretto di Ben Ghashir, a Sud della capitale. Scene già viste due mesi e mezzo fa.
Quando gli insorti di Tarhuna volevano marciare sulla capitale per stanare le milizie che, a loro avviso, taglieggiavano le periferie mettendo mano alle forniture di acqua, gas ed elettricità al fine di consolidare il proprio potere. «Le stesse che controllano banche e commercio, si spartiscono i proventi delle commesse e i finanziamenti pubblici», ci aveva detto Saad Hamali, portavoce della Brigata nel corso di una precedente conversazione. «C’era ampiamente da aspettarselo, la conferenza di Palermo ha deluso le forze anti-corruzione», spiega Jamal Zubia, portavoce del disciolto Governo di Salvezza nazionale (Nsg) dell’ex premier Khalifa al-Ghweil. «Palermo ha deluso le forze del 17 Febbraio», ha aggiunto il portavoce riferendosi ai miliziani ispirati dalla data della rivoluzione anti-Gheddafi del 2011.
Recep Tayyip Erdogan
I due punti deboli
Ben inteso Zubia non condanna Palermo che anzi ha dimostrato uno spirito di iniziativa dell’Italia, ma ne critica due falle. La prima è che per evitare i colpi bassi della Francia si è data troppa importanza a Khalifa Haftar, La seconda è che dal vertice ci si attendava un messaggio forte sul disarmo delle milizie che appoggiano Sarraj e che a settembre respinsero la Settima Brigata e i suoi alleati con scontri che causarono quasi 120 morti e oltre 400 feriti, prima del cessate il fuoco patrocinato dalla missione Onu (Unsmil).
«La tregua è un’opportunità per risolvere una volta per tutte la questione delle milizie in maniera pacifica - aveva sottolineato Hamali -. Ma bisogna lavorare tutti sull’attuazione dell’accordo e fare in modo che le milizie lascino Tripoli». Di qui la delusione per un mancato impegno chiaro dal vertice, specie perché il nodo «sicurezza nella capitale» è stato pubblicizzato come uno degli argomenti chiave dei lavori.
Una mancanza secondo l’opposizione «figlia della regia dell’inviato Onu Ghassan Salamé che vuole garantire lo status quo in vista della costituente di gennaio e delle successive elezioni, ciò vuol dire congelare Sarraj e lasciare lì le milizie che lo sostengono». Le stesse accusate di tenere in ostaggio la capitale, in particolare la potente forza salafita Rada e le formazioni rivoluzionarie che fanno capo ad Haitem Tajouri.
Eppure a Tripoli c’è chi è convinto che solo queste formazioni sono in grado di far bene al popolo piuttosto che i leader o i pomposi consessi internazionali. Tanto è vero che Tajouri e altri gruppi affiliati, proprio in assenza dei vertici politici impegnati a Palermo, si sono riproposti in chiave populista ripartendo dal basso, da difensori dei diritti del popolo. Agevolando quindi l’accesso ai conti bancari, garantendo l’ordine e assicurando un equo commercio.
La pista che porta in Turchia
C’è però un filo rosso a unire i moti di Tripoli che va oltre i confini nazionali e porta ad Ankara. «La Turchia è inferocita per l’esclusione dal vertice organizzato per trattenere Haftar a Palermo, così come il Qatar», spiegano fonti di Tripoli. Due Paesi che hanno la Fratellanza musulmana nel Dna, la stessa formazione a cui si ispirano i Ghwellini e Tajouri: non a caso questi ultimi a settembre avevano combattuto al fianco delle milizie di Salah Badi, leader della Fratellanza che dopo le violenze di settembre ha trovato un sicuro rifugio in Turchia. Un boomerang insomma ancor di più perché lo stesso Sarraj aveva fatto un’opera di avvicinamento alla Fratellanza proprio alla vigilia del vertice. «È uno schema già visto - prosegue la fonte - si fa saltare il banco e si fanno rombare i cannoni, e purtroppo c’è chi ci casca ogni volta».
A questo si aggiunge che se Tripoli rischia di trasformarsi di nuovo in trincea, l’Est è pronto a erigere barricate. Il blocco parlamentare della Cirenaica ha fatto circolare ieri un documento nel quale di fatto azzera tutti i risultati di Palermo e il piano di azione Onu. La Libia orientale col suo Parlamento di Tobruk, ma di fatto controllata da Haftar, definisce privo di legittimità l’impegno a mantenere lo status quo a Tripoli sino a quando ci saranno nuove elezioni. Critica aspramente il fatto che durante il vertice non si sia affrontato il tema della «equa distribuzione dei poteri».
E, soprattutto, rifiuta il progetto della Conferenza nazionale libica, ovvero quella “costituente” allargata a oltre 200 membri della società civile libica con la quale Salame voleva dribblare le contrapposizioni tra leader e incassare una legittimazione dal basso ai quel nuovo processo di pace che sembra già avere i giorni contati.
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