Trump/Iran: ecco chi disinforma Gianni Riotta, Farian Sabahi, un titolo involontariamente ottimo del Manifesto, un pessimo video di Antonio Ferrari sul Corriere online
Testata:La Stampa - Il Manifesto Autore: Gianni Riotta - Farian Sabahi Titolo: «Partita doppia contro i dittatori - Stavolta se la legheranno al dito»
Riprendiamo oggi, 09/05/2018, dalla STAMPA a pag.1/25, con il titolo "Partita doppia contro i dittatori", il commento di Gianni Riotta; dal MANIFESTO, a pag. 1, con il titolo "Stavolta se la legheranno al dito", il commento di Farian Sabahi.
Tutto pronto per l'Ambasciata Usa a Gerusalemme
Il MANIFESTO, a pag. 3, titola "Dopo Teheran, Gerusalemme. Israele vince su tutti i fronti". Finalmente un ottimo titolo - anche se involontariamente prodotto - sul quotidiano comunista, sempre pronto a demonizzare lo Stato ebraico.
Antonio Ferrari
Il CORRIERE della SERA online pubblica un video in cui Antonio Ferrari, come suo solito, diffonde disinformazione e odio contro Israele e sminuisce la minaccia iraniana e dei terroristi arabi palestinesi. Ecco il video, indegno di essere diffuso dal Corrieredella Sera:
La Stampa - Gianni Riotta: "Partita doppia contro i dittatori"
Gianni Riotta descrive Donald Trump come un semplice uomo di business, pronto a compiere mosse azzardate in politica internazionale come in economia. Riotta non difende esplicitamente il regime iraniano, ma il suo invito alla prudenza è quantomeno ambiguo, come tutto il tono dell'articolo.
Ecco il pezzo:
Gianni Riotta
Il presidente Donald Trump denunciava il patto sul nucleare in Iran in diretta mondiale, con la possibile tagliola di nuove sanzioni contro il regime degli ayatollah, e il suo segretario di stato Mike Pompeo volava a Pyongyang a preparare il vertice con il dittatore coreano Kim Jong-un, per smantellare la minaccia atomica coreana e guadagnare a Trump, secondo i consiglieri più entusiasti, un imprevedibile premio Nobel per la pace alla Obama.
La strategia del caos, tenere alleati e avversari nel dubbio sulle proprie intenzioni e strategie, che Donald Trump ha affinato negli anni del business a Manhattan, va al banco di prova dei dittatori. Trump è persuaso che passare in pochi mesi dagli insulti a Kim, «omino del razzo», con prove di forza navali e piani di guerra aerea, all’offerta di un inedito summit Usa-Corea del Nord, abbia innescato la storica missione di disgelo tra le Coree e auspica che la stessa doppia mossa, azzerare il patto firmato da Obama, Russia, Gran Bretagna, Francia, Cina con Teheran, semini scompenso in Medio Oriente. Gli alleati europei, con le missioni in America del presidente francese Macron, la cancelliera tedesca Merkel e il ministro britannico Johnson, avevano cercato, in extremis, di scongiurare stretta diplomatica e sanzioni. Mentre in Medio Oriente, Israele e sauditi, ostili all’egemonia iraniana dal Libano all’Iraq lungo l’antica tradizione sciita, appoggiano Trump.
I nuovi consiglieri della Casa Bianca, alla sicurezza nazionale Bolton e al Dipartimento di Stato Pompeo, sono falchi contro l’Iran dalla prima ora e acerrimi nemici del patto sul nucleare. I loro predecessori, il generale McMaster e l’ex amministratore della Exxon Tillerson, hanno provato invano a convincere Trump a pressare gli iraniani senza stracciare il patto, adesso la scommessa del presidente contro i dittatori funzionerà secondo una partita doppia. Se le due Coree, sponsor la Cina, raggiungessero un accordo stabile, il presidente insisterebbe sulla linea dura. Il successo dell’azzardo è legato però a due fattori: al confine tra le Coree la pressione di Trump agisce nell’orbita di Pechino, che ha indotto l’ostico Kim a più miti consigli. La posta per la Corea del Nord è la sopravvivenza del regime, da tre generazioni in famiglia, e se magari con qualche atomica nei silos tanto meglio.
In Iran non c’è potenza terza a mediare, l’influenza degli europei cala (il presidente Bush figlio provò a includere l’Italia nel gruppo, senza esiti) mentre si riapre la pagina confusa delle sanzioni. Stuoli di diplomatici e legali studieranno nelle prossime settimane il dettato della Casa Bianca: le nuove regole contro l’Iran possono colpire i Paesi che commerciano con il suo petrolio e la sua valuta, ma non è chiaro in che modo. Come con le tariffe e i dazi alla Cina, Trump preferisce lasciare una zona d’ombra, di incertezza, per negoziare poi esenzioni e sanzioni volta a volta, con chi meno gli sbarra la strada. Il leader iraniano Rohani, dopo la prima reazione di maniera, dovrà affrontare gli oltranzisti di casa, che citeranno il tono duro di Trump - Iran matrice del terrorismo internazionale, come ai tempi «dell’Asse del Male», quando Bush figlio marchiò Iran, Iraq e Corea del Nord come internazionale del crimine politico, per alzare la tensione. Trump è persuaso che il forcing contro i dittatori possa funzionare e non cambierà strada davanti alle proteste dei democratici e della diplomazia internazionale. La sua strategia non muta, giocare l’intero capitale politico, suo e del suo grande Paese, ad ogni mossa, sperando sempre in un successo e in un raddoppio. Il mondo lo segue, attento, al tavolo verde della Storia.
IL MANIFESTO - Farian Sabahi: "Stavolta se la legheranno al dito"
La tecnica di Farian Sabahi è ben nota a chi si occupa di informazione sul Medio Oriente e ai dissidenti persiani: presentare una parte della dissidenza accettata dal regime degli ayatollah in modo da far apparire l'Iran teocratico come non troppo liberticida. La realtà, però, è differente. Farian Sabahi quando collaborava con La Stampa manipolò un'intervista a Abraham B. Yehoshua, il quale smentì con una lettera pubblicata sul quotidiano torinese. In quella circostanza Sabahi fu allontanata dalla Stampa. Poi ha cominciato a collaborare al Corriere della Sera e al Sole 24 Ore - evidentemente gode di buone entrature - propagandando l'immagine di un Iran moderato che è lontanissima dalla realtà: un "Iran-washing" con cui cerca di ripulire il regime degli ayatollah dai crimini che quotidianamente compie. Oggi la vediamo scrivere sul Manifesto: il posto più indicato per le sue idee. Informazione Corretta ha già denunciato più volte l'attività di Sabahi. Per avere maggiori informazioni sul lavoro da lei svolto in Italia, è utile sentire l'opinione dell'opposizione iraniana in esilio nel nostro Paese.
Oggi Sabahi scrive un articolo in difesa del regime iraniano che esordisce in questo modo: "In questi due anni e mezzo gli americani non hanno rispettato l'accordo sul nucleare iraniano firmato a Vienna il 14 luglio 2015". Ancora una volta, Sabahi rovescia completamente la realtà, accusando gli Usa delle violazioni che vanno invece imputate all'Iran.
Ecco il pezzo:
Farian Sabahi
In questi due anni e mezzo gli americani non hanno rispettato l'accordo sul nucleare iraniano firmato a Vienna il 14 luglio 2015. A sottoscriverlo, dopo lunghissime trattative diplomatiche, erano stati i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell'Onu (Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina) e la Germania. Ora, la firma del waiver delle sanzioni contro l'Iran da parte del presidente americano Donald Trump è una questione tutta interna agli Stati Uniti. Per gli iraniani, conta poco: non rispettando l'accordo, lasciando in essere le sanzioni finanziarie del Tesoro americano, le imprese occidentali non sono riuscite a lavorare con l'Iran perché la maggior parte delle banche europee si rifiuta di accettare pagamenti da Teheran e di aprire lettere di credito per il timore di ripercussioni oltreoceano. In questi due anni e mezzo, l'economia iraniana non si è risollevata. Al contrario, la valuta locale (il rial) si è svalutata rispetto al dollaro e ci si attende un aumento dell'inflazione. Il governo del presidente Hassan Rohani ne ha risentito, per ché sono stati i suoi uomini a firmare l'accordo di Vienna rinunciando alla sovranità nucleare - senza avere granché in cambio. Ora lo sapete, la ratifica del waiver alle sanzioni iraniane da parte di Trump conta poco: in Iran non ci sono molte imprese occidentali a fare business, quelle che si erano avventurate cercano di uscire da quel mercato. Eppure, nonostante questo, la decisione del presidente statunitense avrà conseguenze Destabilizzare l'Iran Stavolta gli iraniani se la legheranno al dito Destabilizzare l'Iran Stavolta se la legheranno al dito non irrilevanti all'interno dell'Iran: i falchi di Teheran avranno gioco facile nel criticare Rohani e i suoi ministri; le minacce militari all'integrità nazionale daranno mano libera ai pasdaran, le Guardie rivoluzionarie; ma, soprattutto, gli iraniani se la legheranno al dito. Sono un popolo orgoglioso, con tremila annidi storia e una cultura che non ha pari nel resto del Medio Oriente, basti pensare ai successi della letteratura e del cinema persiano. Hanno ceduto sul nucleare e sognato uno sdoganamento del loro paese, non solo dal punto di vista economico e finanziario ma anche in termini di immagine, ne hanno fin sopra i capelli di essere considerati dei cattivi ragazzi. L'obiettivo di Trump e dei suoi alleati (Israele e Arabia Saudita) non è mandare a monte l'accordo nucleare (scopo già conseguito), ma annientare l'Iran come potenza regionale. Il primo passo è stato compiuto: gli israeliani stanno attaccando le basi militari iraniane in Siria, dove i pasdaran sono presenti, non solo per fare manforte al presidente Bashar al-Assad ma anche per contrastare l'Isis (un favore che l'Europa non dovrebbe dimenticare). E gli americani stanno affiancando i sauditi nella guerra in Yemen, dove i ribelli sciiti Huthi avevano preso il potere dopo la primavera araba e la conferenza del dialogo nazionale. Ora che Hezbollah ha vinto le elezioni parlamentari in Libano, non si escludono nuovi attacchi da parte delle forze annate dello Stato ebraico su Beirut. Il secondo passo di Trump e compagni sarà prendere di mira il programma missilistico che Teheran persegue nella sua politica di deterrenza. Difficile dare torto agli ayatollah, dopo che il regime iracheno di Saddam Hussein e quello dei Talebani in Afghanistan sono stati eliminati dalle coalizioni guidate dagli americani. Il terzo passo è la destabilizzazione dell'Iran, per arrivare a una frammentazione in piccoli stati etnici di quello che oggi è una nazione grande cinque volta e mezza l'Italia. Per fare questo, gli americani e i loro alleati stanno finanziando i gruppi separatisti in diverse parti dell'Iran, dal Curdistan al Khuzestan e al Balucistan. Quarto passo, ambizioso, è il cambio di regime: difficile portarlo avanti, l'opposizione in esilio ha sempre grande copertura mediatica ma non conta nulla in Iran, tantomeno i Mojaheddin del Popolo che nel 1980 avevano preso le parti di Saddam Hussein che aveva invaso l'Iran. Per eliminare la Repubblica islamica, i nemici dell'Iran sperano nella continuazione delle proteste scoppiate a inizio anno in quasi ottanta città e motivate in buona parte dalle preoccupazioni economiche. Ora, per far fronte al dissenso interno, gli ayatollah hanno deciso di mettere fuori legge Telegram, per sostituir lo con altre app made in Iran. Una di queste si chiama Soroush, ha gli emoji con il chador, lanciano invettive contro l'America, Israele e la massoneria. A usare l'app sono già cinque milioni di utenti, scherzano dicendo che le freccine che diventano blu alla lettura sono tre anziché due: la terza è visibile quando i servizi segreti hanno letto il tuo messaggio. La goccia che potrebbe far traboccare il vaso, tra gli iraniani esasperati dalla crisi economica e dall'inimicizia con l'Occidente, potrebbe non essere il waiver di Trump ma questa terza freccina.
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