Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 28/04/2018, a pag.1 l'editoriale di Paolo Guzzanti dal titolo "Il trionfo di Trump che imbarazza la sinistra".
Nella titolazione avremmo aggiunto ".. e gran parte dei nostri media, cartacei e visibili"
Paolo Guzzanti
DI tutti coloro che hanno trattato Donald Trump da irresponsabile per aver opposto forti parole ai veri missili e alle vere atomiche del dittatore nordcoreano Kim Jong-un, dovrebbero ammettere di aver fatto, in Europa e negli Stati Uniti, una figuraccia. Eppure, quello che è successo ieri, con la prima visita di un dittatore nordcoreano oltre la linea dell'armistizio con il Sud, è frutto proprio della linea intransigente che ha costretto il despota di Pyongyang a dichiarare la pace e a chiudere la lunga guerra di Corea. Il «piccolo Mao» (stessa uniforme a colletto chiuso, stessa stazza e pettinatura del Grande Timoniere cinese) ha giocato da grande scacchista la partita che ieri lo ha portato a Panmunjom a versare palate di terra sulle radici dello stesso pino sulle quali faceva altrettanto il suo collega del Sud, Moon Jae-in, in tenuta occidentale. Kim è riuscito così a far diventare il suo Paese una potenza riconosciuta che siede allo stesso tavolo con pari dignità con gli Stati Uniti e la stessa Cina, che lo ha ben guidato con la politica economica del bastone e della carota. Dietro le quinte ha lavorato l'uomo nuovo della diplomazia americana, Mike Pompeo, un discendente di italiani che ha guidato la Cia con grande capacità e che ha incontrato Kim a quattr'occhi per preparare l'incontro con Donald Trump. Proprio ieri Pompeo ha superato i severi esami del Senato, ricevendo la formale investitura di 70esimo Segretario di Stato comunicata usando lo stesso social con cui aveva minacciato nei mesi scorsi di scatenare una «furia di fuoco e distruzione» contro «quel tizio che lancia i razzi».
Le sinistre di tutto il mondo recalcitrano ad ammettere la vittoria di Trump. Anche la «liberal» Cnn sembrava ieri impegnatissima a sminuire e ridicolizzare il ruolo del Presidente che è riuscito, per ora, là dove aveva fallito il divo dei democrats Bill Clinton, il quale si presentò al confine fra le due Coree in tenuta militare, il binocolo a tracolla. Clinton ci provò duramente, esponendo Madeleine Albright, sua segretaria di Stato, al fallimento.
Stavolta, a quanto pare, si può davvero sperare che scoppi la pace fra le due Coree, già preannunciata ai Giochi invernali di Pyeongchang quando formarono un'unica squadra sotto un'unica bandiera. Quella decisione non fu presa per caso, ma sotto la durissima pressione di Trump che aveva fatto sapere di essere pronto a reagire se avesse lanciato un solo altro missile. Oggi le fonti diplomatiche dicono che il «piccolo Mao» temeva di finire come Saddam, ma certamente non è stato guidato soltanto dalla paura.
È un fatto che sia Donald che Kim hanno giocato una mano di poker in cui la posta in gioco era la pace mondiale e alla fine hanno vinto tutti e due.
Trump adesso raccoglie i frutti politici di una vittoria preziosa e lo si è visto già ieri quando ha accolto con straripante cordialità una impacciata Angela Merkel davanti ai giornalisti, assicurando che lui non sarà mai played like a fiddle, non si farà mai prendere in giro né da Kim né da altri, come invece accadde ad Obama, giocato dall'Iran.
Trump è stato feroce con il suo predecessore dicendo che gli Stati Uniti non avevano allora un vero capo, ma adesso ce l'hanno. Questa frase durissima ha un significato ulteriore: Obama ricevette subito un premio Nobel per la Pace senza aver risolto nulla e adesso, visto il successo coreano, i repubblicani sono tentati di proporre Trump per un premio Nobel, avendo chiuso l'antica guerra del 38° parallelo.
Se dovesse succedere, Kim, da buon giocatore, reclamerà di sicuro lo stesso riconoscimento.
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