Riprndiamo dal GIORNALE di oggi, 24/03/018, a pag.1/15, con il titolo " Un pericolo globale nascosto sotto la cenere" l'analisi di Fiamma Nirenstein sull'attentato di Trèbes.
nell'immagine il terrorista Isis
La notizia, con cronache e commenti, è oggi su tutti i quotidiani. Pubblichiamo l'analisi di Fiamma Nirenstein che centra il cuore del problema terrorismo: l'Europa non vuole combatterlo davvero. Si va dalle parole 'infuocate' di Macron che non valgono nulla, come in genere quelle dei vari capi di stato, visto che i terroristi islamici uccidono al grido di Allahu Akbar e vengono definiti 'lupi solitari', per poi scoprire - come anche nel caso di Trèbes- che appartengono a una rete collegata all'Isis. E la cosa era già nota alla polizia.
L'Occidente non sa e non vuole combattere il terrorismo islamico, eccelle solo nelle condanne verbali. Fiamma Nirenstein lo mette in evidenza con grande lucidità.
Fiamma Nirenstein
Informazioni, ancora notizie, monitoraggio, conoscenza preventiva dei fatti senza limiti e senza pregiudizio, e ancora identificazione preventiva delle zone sensibili che possano produrre terrorismo, ovvero profiling senza paura, senza vergogna: questi sono i punti veri, i realistici suggerimenti che qualsiasi agente della sicurezza di Israele, il Paese che più di tutti nel mondo è investito dal terrorismo, può dare oggi all'Europa. Ieri a Trèbes l'onda di sangue è arrivata come un'inaspettata tromba d'aria, eppure il terrorista era un personaggio già legato al mondo che gli ha ispirato o ordinato l'attacco. Il terrorismo conta in Francia 18mila candidati all'omicidio radicalizzati, 4mila pericolosissimi. Dovrebbero essere super sorvegliati eppure una nostra reticenza tutta europea probabilmente consente che possano riuscire in azioni inaspettate, che riescano a inverare il peggio della fantasia umana avendo ricevuto da Dio in persona l'ordine di conquistare il mondo a ogni costo.
Il terrorismo è poliedrico e ormai gigantesco: ammazza i bambini a Tolosa nel 2012, attacca un museo a Bruxelles purché sia ebraico nel 2014, nel 2015 mette in scena l'omicidio di massa di Charlie Hebdo e dell'Hypercacher, poi il Bataclan come apoteosi della morte nel 2015 (129 morti) poi l'aeroporto di Bruxelles e Nizza e più avanti Wuerzburg sul treno, e Monaco, e ancora in Francia a Rouen, e quindi il mercatino di Berlino nel 2016 e via via ancora da Londra, a Manchester, a San Pietroburgo, a Stoccolma, a Barcellona, sempre col controcanto dei continui morti israeliani e con un filo di preferenza per le vittime ebree, la geografia del terrorismo europeo è molto compatta.
Onnipresente, parla di tutte le cose di cui non si vuole parlare per paura di violare i principi sacrosanti della privacy e della libertà di opinione: parla di quartieri poveri, di scuole, di madrasse, di moschee, di giornali, film, spettacoli teatrali, di educazione dei bambini immigrati, di fastidi alle donne, di violenza di strada, della libertà religiosa. Parlare di terrorismo nella mentalità europea viola spesso le regole fondamentali che, nelle intenzioni del giudiziario impediscono il proliferare del razzismo antislamico. Anche la definizione di terrorismo, come si sa risulta impossibile perché richiede, per le istituzioni internazionali, una comunità di intenti che cancelli la possibilità che il mio terrorista sia il tuo combattente perla libertà, o il tuo «militante».
Siamo ancora quasi fermi al momento in cui, quando a Parigi llan Halimi fu rapito il 21 gennaio del 2006 da un gruppo formato da decine di giovani islamici che lo torturano fino alla morte leggendo il Corano e motteggiando il fatto che era ebreo, la polizia si rifiutò di ascoltare la madre che suggeriva un rapimento terrorista legato alla radicalizzazione dell'islam.
Lentamente, visto che sono centinaia gli attentati terroristi che come una tabe infestano il territorio europeo con epicentro in Francia, si sono compiute mosse importanti: si stringono i rapporti fra servizi segreti; la Commissione Europea ha appena votato una richiesta ai gruppi di social media di rimuovere entro un'ora i contenuti terroristi illegali, cioè esplicitamente dedicati alla propagazione della violenza.
Si dovrebbe qui applicare una forma di censura finalmente legata a un codice di condotta antiterrorista. Subito Facebook, YouTube, Google, Twitter hanno espresso il loro «sconcerto» per la violazione del diritto alla libertà di opinione che questa raccomandazione esprime.
Questo è lo stato delle cose, ma somiglia a quando l'Unione Europea fece fare una ricerca sull'antisemitismo e avendo scoperto che il più accanito è di parte musulmana, nascose i risultati. La difficoltà a combattere il terrorismo è volerlo conoscere, sapere cos'è veramente, misurare la crudeltà e l'idiozia di chi sceglie di uccidere donne, uomini, bambini, sicurissimo di andare per questo in un paradiso fra vergini innamorate e ottimi cibi e bevande, oppure semplicemente obnubilato da un odio radicato nella fede islamica di una società che si stringe intorno a testi, scuole, mense, amicizie.
Ho incontrato vari terroristi: sono imbattibili se non li si affronta bene, perché pensano l'impensabile, colpiscono ciò che a nessuno verrebbe in mente di colpire, vengono da scelte impalatabili, tipo la guerra in Siria, quando in molti casi, si poteva benissimo andare per un'altra strada.
Ma noi, soprattutto, non vogliamo affrontare una questione che ci porta a violare i nostri stessi principi di libertà e di privatezza. Eppure bisogna farlo per non soccombere.
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