Riprendiamo oggi 22/03/2018, dal GIORNALE a pag. 14, con il titolo "Israele svela la verità: 'Fermata con le bombe l'atomica di Assad' " il commento di Fiamma Nirenstein; dalla STAMPA, a pag. 14, con il titolo "Israele svela il raid contro il reattore di Assad e mette in guardia l’Iran sui piani nucleari"; dal FOGLIO a pag. 3, con il titolo "Flashback: il raid israeliano per distruggere il plutonio di Assad" l'analisi di Daniele Raineri; con il titolo "Così Israele ha impedito il caos nucleare in medio oriente", l'analisi di Giulio Meotti.
Il Manifesto titola, a pag. 13, "Israele 'confessa' l'attacco al reattore nucleare in Siria". Israele, quindi, secondo il quotidiano comunista è nella stessa situazione di un accusato sotto processo che avrebbe "confessato". L'odio del Manifesto per lo Stato ebraico non smette di raggiungere nuove vette.
Ecco gli articoli:
Il Giornale - Fiamma Nirenstein: "Israele svela la verità: 'Fermata con le bombe l'atomica di Assad' "
Fiamma Nirenstein
Gerusalemme Per capire l'emozione che come un'onda altissima ha investito Israele ieri mattina, quando a 11 anni di distanza sono stati resi noti i particolari della distruzione della base atomica siriana di Deir ez Zor, bisogna mettersi nei panni di un padre che ha salvato il figlio da morte certa riprendendolo per un braccio. Questo figlio non è soltanto il popolo di Israele ma il mondo intero: infatti la sede della centrale, Deir ez Zor, la città più grande della Siria orientale, fu catturata dall'Isis nel 2014 ed è rimasta nelle sue mani per più di tre anni. Immaginiamoci quindi non solo cosa sarebbe successo se oggi Assad, insieme ai suoi amici iraniani e Hezbollah, avesse nelle mani il plutonio e le strutture per la bomba atomica, ma anche quali pazzeschi ricatti i tagliagole avrebbero potuto imporre a tutti se Israele non avesse lanciato i suoi F16 e F15 in questa operazione di salvataggio del suo popolo e del mondo. «È molto raro che il capo del Mossad chieda al primo ministro di vederlo immediatamente» racconta nel suo libro appena uscito l'ex premier israeliano Ehud Olmert «Quella volta mi disse ecco la smoking gun». E sul tavolo si dispiegarono le incredibili foto rubate a Vienna a Ibrahim Matman, il capo siriano dell'operazione bomba, per cui quel cubo laggiù nel deserto, di cui né il Mossad né la Cia avevano indagato l'uso, si dimostrava un reattore nucleare che nel giro di giorni, se non immediatamente, sarebbe stato in grado di fornire a quell'individuo pazzoide e feroce che è Assad di Siria la bomba atomica. La tecnologia, fu subito chiaro, era fornita dalla Corea del Nord, ma la timidezza dei servizi israeliani era legata all'incapacità, a suo tempo, di capire che il Pakistan aveva fornito a Gheddafi la possibilità di costruire il suo reattore. Ma adesso Olmert vede la realtà dispiegate sul tavolo, la minaccia è immediata: il Mossad portò la «pistola fumante». Tuttavia già la discussione ferve e Aman, i servizi militari, rivendica la sua parte nell'osservazione dei fatti che tuttavia non era giunta alla conclusione. Il Mossad porta 30 foto rubate a Vienna dal computer del capo progetto siriano impegnato nel bar di un albergo con una signorina mentre vengono forzate la sua stanza e il suo computer. Olmert dopo riunioni molto nervose, mentre soprattutto ci si interroga sul pericolo che la struttura sia già «calda» e quindi, se colpito e ridotto in fumo, in grado di contaminare tutto il Medio Oriente, parla con George Bush. Alla fine di una discussione Bush dice tuttavia che gli Usa tenteranno la strada diplomatica. Olmert risponde: «Noi sappiamo che la struttura è pronta a usare la bomba, e quindi dobbiamo agire subito». Israele agisce da sola. Il raid di otto velivoli contro quell'anonimo quadrato di cemento prende corpo pochi minuti dopo la mezzanotte fra il 5 e il 6 di settembre. Un complicato sistema elettronico confonde il sistema antiaereo siriano, tonnellate di esplosivo distruggono fino nel profondo della terra il progetto imperialistico di uno dei peggiori tiranni del Medio Oriente, una struttura quasi identica a quella di Yongbyon in Nord Corea. Adesso il velo del silenzio è stato sollevato, le due grandi agenzie segrete di Israele confliggono; Ehud Barak che era ministro della Difesa si difende dalle accuse di Olmert di aver cercato di ritardare l'operazione. Israele è una società molto litigiosa, sempre. Resta il fatto che il mondo è già stato salvato dalla minacciata nucleare due volte dal coraggio di Israele: nell'81 con la distruzione della struttura di Osirak, in Irak, dove Saddam voleva costruire l'arma del suo impero, nel 2007 da quella di Assad... il seguito alla prossima puntata?
LA STAMPA - Giordano Stabile: "Israele svela il raid contro il reattore di Assad e mette in guardia l’Iran sui piani nucleari"
Giordano Stabile
Fino al decollo, in una notte tiepida di settembre, i piloti avevano scherzato sui nomignoli dati all’obiettivo, il «Cubo», detto anche «Cubo di Rubik», o «Scatola da aprire», uno dei nomi in codice. Il «Cubo» però era un reattore al plutonio, piantato in mezzo al nulla nel deserto siriano, a poche decine di chilometri da Deir ez-Zour. Erano le 10 e 30 del 5 settembre del 2007 quando i motori di quattro F-16 e quattro F-15, carichi di 16 tonnellate di bombe di tutti i tipi, cominciarono ad andare al massimo. L’aviazione israeliana si lanciava in una delle missioni più delicate della sua storia.
Il governo aveva battezzato la missione «Fruttero», ma non c’era nulla di idilliaco. I cacciabombardieri dovevano volare bassi, a 100 metri di altezza, in territorio siriano, con la strumentazione spenta, in silenzio radio, senza comunicare tra di loro. Fino all’ultimo i piloti erano stati tenuti all’oscuro dell’obiettivo. Sapevano però che avrebbero potuto ritrovarsi nel mezzo di una tremenda battaglia aerea, se Damasco avesse deciso di reagire. Non sapevano che il governo di Bashar al-Assad, per evitare imbarazzi, avrebbe invece deciso di far finta di nulla, e negare persino l’esistenza del reattore. E che la stessa Israele non avrebbe ammesso l’operazione.
Ieri, invece, il governo israeliano ha deciso di rivelare tutto. Un «avvertimento» alla Siria e all’Iran, ora che i venti di guerra soffiano di nuovo forte: «Abbiamo colpito 11 anni fa, possiamo colpire ancora», è il messaggio. A carte scoperte i piloti hanno potuto ora raccontare le loro ore più tese e più belle. «Era un lungo volo, in una notte nera – ha rivelato il colonnello “Amir” ai media israeliani -. Volavamo in un ambiente ostile. Se il sistema anti-aereo siriano si fosse risvegliato, ci saremmo ritrovati in un nido di vipere». Dopo quasi due ore i piloti vedono il «Cubo», una struttura quadrata, 40 metri per 40, che nasconde il segreto del regime siriano. Damasco ci lavora dalla fine degli Anni Novanta. Ma gli israeliani l’hanno scoperto alla fine del 2006, ed è diventato la loro ossessione.
Il Mossad era stato messo in allarme dall’accordo fra Muammar Gheddafi e gli Stati Uniti sullo smantellamento del programma nucleare libico, nel 2003. Gli israeliani erano rimasti all’oscuro. Cominciano a guardarsi attorno. Qualcun altro potrebbe aver avviato un programma simile. È la Siria. Assad ha attivato i contatti con i nordcoreani attraverso il capo della Commissione per l’energia atomica siriana, Ibrahim Othman. Nel marzo del 2007 Othman è a Vienna, a una riunione dell’Aiea. Il Mossad penetra nel suo appartamento. In pochi minuti «svuota» il suo computer. È la svolta. Documenti. E fotografie che dimostrano che dentro il Cubo si cela un reattore atomico a grafite, progettato per produrre plutonio. È un modello britannico, poi copiato dai nordcoreani e riprodotto a Yongbyon. Il Cubo è identico.
Il capo dei Servizi, Meir Dagan, riferisce al premier Ehud Olmert. «Non è più tempo di punti di domanda ma di punti esclamativi», è la sintesi: «Che facciamo?». Olmert risponde: «Distruggiamolo». C’è poco tempo per preparare la missione. Il ministro della Difesa Ehud Bara frena, vuole essere sicuro. Alla fine è il capo di stato maggiore a convincerlo: «I nostri piloti sono i migliori al mondo, fidati». Olmert è in contatto con il presidente americano George W Bush. La Casa Bianca è divisa, il vicepresidente Dick Cheney vorrebbe che fosse l’America a colpire, per «dare un avvertimento» ai nemici, cioè l’Iran. Alla fine Bush dà l’ok all’operazione israeliana.
E’ da poco passata la mezzanotte quando i piloti vedono il Cubo, grigio, confuso nell’oscurità. «Succede tutto in pochi secondi – racconta il colonnello “Amir” -. Tremende esplosioni illuminano la notte. Il sito è coperto di fumo, poi si vede che è demolito». Uno degli F-16 ha il compito di comunicare il successo alla base. La parola in codice è Arizona. Sono le 12 e 25. I piloti devono però tornare e a questo punto le difese siriane sono allertate. Puntano a Nord, verso la frontiera con la Turchia. La costeggiano a bassissima quota. Tutto sul filo, ma all’una e 30 gli aerei atterrano alla base.
«Tutti saltavano su è giù – ricorda ancora il colonnello -. C’era un’euforia indescrivibile. Quando siamo atterrati ad attenderci c’era il comandante della base di Hatzerim, Shelly Gutman. Ci ha abbracciati e si è lasciato andare: “Siete i campioni”». Ora i piloti potranno essere decorati per la missione. Ma il racconto di quella notte ha un valore soprattutto politico. Come ha puntualizzato l’attuale capo di stato maggiore, Gadi Eisenkot, la missione del 2007 è servita a ribadire la «dottrina Begin», cominciata con la distruzione del reattore di Saddam Hussein in Iraq nel 1981: «Israele non accetterà la costruzione di qualcosa in grado di minacciare la sua esistenza». L’Iran è avvertito.
Il Foglio - Daniele Raineri: "Flashback: il raid israeliano per distruggere il plutonio di Assad"
Daniele Raineri
Roma. Ieri la censura militare israeliana ha sollevato l’embargo sulla notizia della distruzione di un reattore nucleare nascosto nel deserto siriano nel settembre 2007. I jet israeliani rasero al suolo quel sito segreto perché serviva a produrre plutonio il cui unico utilizzo finale sarebbe stato la costruzione di un’arma nucleare. I giornali israeliani non si sono fatti trovare impreparati e hanno ricostruito l’operazione dopo più di dieci anni, grazie a fonti esclusive e meglio di quanto avevano fatto finora i giornali internazionali. Ecco i punti più interessanti. I servizi segreti di Israele furono colti completamente di sorpresa nel 2003 dalla notizia che l’America stava negoziando con la Libia lo smantellamento del programma nucleare voluto dal colonnello Gheddafi. Si chiesero se ci fosse qualche programma clandestino simile nei paesi vicini – e ostili – di cui loro non fossero a conoscenza e cominciarono a sorvegliare anche la Siria. Il reattore nucleare siriano in effetti c’era, sotto un cubo di cemento di quaranta metri per quaranta vicino al fiume Eufrate, la cui acqua attraverso una conduttura sotterranea serviva per il raffreddamento. Con intuizione geniale il regime aveva lasciato l’intera zona in stato di abbandono, non c’erano guardie, reticolati, misure di sicurezza apparenti, soltanto detriti in modo da non attirare sospetti. L’intelligence militare israeliana capì che lì sotto c’era un reattore soltanto grazie al rapporto di uno dei suoi ricercatori che, secondo una prassi accettata nella comunità degli esperti ebbe la chance di scrivere un rapporto in totale dissenso con la posizione ufficiale dei suoi superiori. Il ricercatore disse che la Siria voleva produrre plutonio grazie a un reattore fabbricato con l’aiuto della Corea del nord per costruire armi atomiche e colmare di colpo il gap con la potenza militare di Israele. Gli altri esperti ritenevano che il giovane presidente Bashar el Assad, con la sua educazione londinese, non fosse truce come il padre Hafez e non nascondesse questi propositi bellicosi. Si sbagliavano – e ora possiamo dirlo, dopo sette anni di guerra civile per non cedere il posto ereditato dal padre. La conferma venne da un’operazione segreta condotta all’inizio di marzo 2007 a Vienna: gli agenti israeliani entrarono nella camera d’albergo di un diplomatico siriano mentre lui era occupato altrove e copiarono tutto il materiale che era sul suo computer portatile. In gergo si chiama “evil maid attack”, l’attacco della cameriera cattiva, è uno dei modi più semplici per accedere a un computer – se il legittimo proprietario lo lascia incustodito. Trovarono schemi e foto del reattore in costruzione, il rapporto controcorrente era esatto e gli altri avevano torto. La posizione è interessante. Si trova nella regione di Deir Ezzor che è diventata il centro delle attività dello Stato islamico in Siria per tre anni interi, dall’estate 2014 all’autunno 2017 – i fanatici la chiamavano Wilayat al Khayr. Chissà cosa sarebbe successo se durante il collasso dell’esercito siriano gli uomini dello Stato islamico si fossero impadroniti di un reattore al plutonio ancora funzionante. E’ probabile che la comunità internazionale sarebbe stata costretta a lanciare un’operazione militare per impedire che tutto cadesse nelle mani dei terroristi. A quel punto, il governo israeliano era davanti a un dilemma. Era necessario distruggere il sito, ma cosa sarebbe successo se Assad avesse reagito con una guerra? L’anno prima c’era stata la guerra contro il gruppo libanese Hezbollah e molte città del paese, al nord, erano state colpite da missili. Distruggere il reattore nucleare poteva significare aprire un conflitto e questa volta gli abitanti del nord non avrebbero avuto nemmeno molto preavviso. Inoltre non era ancora in servizio il sistema antimissilistico Iron Dome. Si scelse di colpire, confidando nel fatto che senza rivendicare il raid aereo Assad non avrebbe avuto il coraggio di reagire. Gli americani furono avvisati in anticipo e l’allora presidente George W. Bush diede così la sua approvazione implicita: “A man’s gotta do what a man’s gotta do”.
IL FOGLIO - Giulio Meotti: "Così Israele ha impedito il caos nucleare in medio oriente"
Giulio Meotti
Roma. La notte del 5 settembre 2007 otto fra F-15 e F-16 israeliani partirono dalle basi di Hatzerim e Ramon per un volo fino a Deir El Ezzor, 450 chilometri dentro la Siria. Si stavano preparando da settimane a raggiungere una simile distanza, ma non sapevano ancora cosa avrebbero dovuto colpire. Quella sera arrivò l’ordine di distruggere un reattore nucleare della Siria, costruito con l’aiuto nordcoreano e di cui fino a poco tempo prima l’intelligence di Gerusalemme ignorava l’esistenza. Si temeva una débacle simile a quella che aveva preceduto la guerra dello Yom Kippur. Ma Israele riuscì “in una delle più straordinarie operazioni in 70 anni della sua esistenza”, come l’ha definita ieri Nahum Barnea su Yedioth Ahronoth. Per la seconda volta, Israele aveva eliminato una minaccia esistenziale. In un comunicato diffuso dall’esercito israeliano ieri si legge: “Il messaggio dell’attacco al reattore nucleare nel 2007 è che lo stato di Israele non permetterà che vengano sviluppate capacità che possano minacciare la stessa esistenza di Israele”. Ma Israele aveva anche cancellato una terribile fonte di caos in medio oriente. Da anni, su parte della stampa, in molti circoli diplomatici e pensatoi di politica estera, si è soliti definire Israele una “fonte di instabilità” in medio oriente (un sondaggio commissionato dalla Ue nel 2003 bollò lo stato ebraico come “principale minaccia alla pace nel mondo”, prima anche della Corea del nord). Israele si è in realtà rivelato la principale fonte di stabilità e sicurezza nella regione più caotica e violenta del mondo. Cosa sarebbe successo in Siria, dove il regime di Assad nel 2014 non ha esitato a usare le armi chimiche, se Damasco avesse ottenuto anche la bomba atomica? Israele ha colpito il reattore a Deir el Ezzor, un’area a lungo nelle mani dello Stato islamico. E se il plutonio fosse finito all’Isis? Israele potrebbe aver sventato un Califfato nuclearizzato (dopo l’11 settembre al Qaida aveva piani di attacco con le “bombe sporche”). Nel 1981, Israele bombardò il reattore nucleare di Saddam Hussein a Osirak. Era l’“Operazione Opera” decisa da Menachem Begin e contro il parere degli americani. Sembrava che quella di Baghdad dovesse essere la prima “bomba dell’islam”. L’Iraq, potenza emergente del Golfo e nello scacchiere turbolento del medio oriente, era considerato da Gerusalemme come la minaccia potenziale più pericolosa per la sua sicurezza (moriranno misteriosamente anche molti scienziati, egiziani e occidentali, che lavoravano al programma di Saddam). Saddam non aveva già esitato a usare le armi chimiche contro i curdi iracheni e i soldati iraniani. Cosa sarebbe successo se Israele non avesse bombardato Osirak e nelle guerre del 1991 e del 2003 l’Iraq avesse avuto la bomba atomica? Il vicepresidente americano Dick Cheney ringrazierà gli israeliani per aver facilitato il lavoro di Desert Storm. Ma c’è un terzo paese a cui Israele finora ha impedito di sviluppare tecnologia nucleare: l’Iran. E’ dal 1995 che si parla dell’atomica di Teheran e senza le pressioni politiche, militari e clandestine di Israele, oggi gli iraniani molto probabilmente ce l’avrebbero. E’ Israele che è riuscito a far imporre sanzioni all’Iran da parte della comunità internazionale, è Israele che da anni minaccia gli iraniani di uno strike (ci si andò vicini nel 2012) e si parla della mano israeliana dietro alle numerose uccisioni di scienziati atomici iraniani e al sabotaggio delle sue centrali (virus informatici come Stuxnet, esplosioni). In un medio oriente già pesantemente iranizzato, cosa sarebbe successo oggi se Teheran avesse anche l’atomica? Israele, piccolo come uno stato del Golfo, è grande perché ha in mano la sicurezza e la stabilità del medio oriente.
Per inviare la propria opinione, telefonare:
Il Giornale: 02/85661
La Stampa 011/65681
Il Foglio: 06/589090
oppure cliccare sulle e-mail sottostanti