Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 18/06/2017, a pag. 3, l'editoriale "La libertà di suonare a Tel Aviv".
La locandina del concerto dei Radiohead a Tel Aviv
Tutto è iniziato almeno un paio di mesi fa, con il solito aut aut del solito Roger Waters, ormai non più frontman dei Pink Floyd ma piuttosto leader del più redditizio movimento per il boicottaggio di Israele. Aveva detto ai Radiohead: dovete cancellare il vostro concerto a Tel Aviv – concerto previsto per domani. Thom Yorke, leader del gruppo, aveva risposto con un’intervista a Rolling Stone dicendo, in pratica: ci state dando degli ignoranti, ma non lo siamo. Semplicemente, non siamo d’accordo con il boicottaggio per motivi politici. E’ uno spreco incredibile di energie, che “crea divisioni, non unisce”. Alla puntuta risposta di Yorke, aveva replicato ancora l’altro campione del boicottaggio, il regista Ken Loach, con un editoriale sull’Independent. “Dovete decidere se stare dalla parte degli oppressi o degli oppressori. Così [cioè facendo un concerto a Tel Aviv, ndr] sostenete l’apartheid”. E sembra impossibile, ma a quel punto Yorke aveva ancora le forze per rispondere, via Twitter: suonare non significa fare endorsement a un governo. Non siamo d’accordo con la politica di Donald Trump ma non smettiamo di suonare in America, “la musica, l’arte e la ricerca dovrebbero costruire ponti, non muri”. Il tono persecutorio dei sostenitori del boicottaggio ha il suono del linciaggio mediatico nei confronti di chi la pensa diversamente, di chi crede che un concerto sia un concerto e basta. E conduce alla paradossale situazione di una band che è costretta a giustificarsi più volte per un concerto organizzato in un paese che aspetta da anni l’evento – come sabato scorso in sessantaduemila hanno aspettato a Tel Aviv i Guns N’ Roses, tre ore di musica e rock. Ma c’è una novità. Qualcuno, nel sistema musicale omologato e che spesso ha voltato le spalle a Israele, inizia a non poter più sentire la parola boicottaggio. Michael Stipe, voce e anima dei Rem, ha scritto ieri su Instagram: “Io sto con i Radiohead e la loro decisione di esibirsi”. E Stipe non può proprio essere definito un sostenitore di Israele, ma magari più realista: fascista è chi non fa suonare, non chi suona.
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