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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.05.2017 Un provvedimento giusto: no al velo negli ospedali in Lombardia
Cronaca di Luigi Ferrarella

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 maggio 2017
Pagina: 22
Autore: Luigi Ferrarella
Titolo: «I giudici: vietare il velo non è discriminazione»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/05/2017, a pag. 22, con il titolo "I giudici: vietare il velo non è discriminazione", la cronaca di Luigi Ferrarella.

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Luigi Ferrarella

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Vietare alle donne musulmane di indossare il velo islamico negli ospedali e negli uffici pubblici, come fa una delibera della Regione Lombardia, significa imporre loro un grosso sacrificio perché «comporta di fatto un particolare svantaggio per le persone che aderiscono a una determinata religione»: ma questo sacrificio non è discriminatorio di una religione o etnia, perché è «oggettivamente giustificato da una finalità legittima, ragionevole e proporzionata rispetto al valore della pubblica sicurezza, concretamente minacciata dall’impossibilità di identificare (senza attendere procedure che richiedono la collaborazione di tutte le persone che entrano a volto scoperto) le numerose persone che fanno ingresso nei luoghi pubblici individuati».

La I sezione civile del Tribunale di Milano rigetta così il ricorso con il quale quattro associazioni per i diritti degli immigrati chiedevano di dichiarare «discriminatoria» la delibera della Regione Lombardia del 10 dicembre 2015, che in forza dell’articolo 5 della legge 153/1975 vieta l’«uso di caschi protettivi o di qualunque altro mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento della persona in luogo pubblico o aperto al pubblico senza giustificato motivo». La giudice Martina Flamini (la stessa che aveva condannato la Lega per aver chiamato «clandestini» i richiedenti asilo) premette che, «a prescindere dall’interpretazione del dettato del Corano in merito all’obbligatorietà o meno del velo», la scelta di indossarlo «rientra nell’ambito della manifestazione del credo religioso» tutelato dalla Cedu; e stima che «il divieto di accesso a viso coperto in uffici ed enti pubblici» (come gli ospedali) comporta, in fatto, uno svantaggio per le donne che, per ragioni di tradizione e per professare il proprio credo religioso, indossano il velo, prevalentemente nelle forme del burqa e del niqab », rispettivamente il velo che copre interamente la donna con una griglia all’altezza degli occhi, e quello che invece copre tutto il volto lasciando scoperti solo gli occhi.

Ma lo svantaggio è «oggettivamente giustificato da una finalità legittima, costituita dalla necessità di garantire l’identificazione e il controllo al fine di pubblica sicurezza». Un sacrificio «proporzionato» sia perché «il capo di abbigliamento non è interpretato» nel divieto «come segno di una qualche appartenenza confessionale, ma nella sua oggettività», sia perché «interessa esclusivamente le persone che accedono in determinati luoghi pubblici, e per il tempo strettamente necessario alla permanenza». In linea, per la giudice, con Strasburgo quando nel 2005 nel caso «Phull contro Francia» legittimò «la rimozione del turbante o del velo per permettere i controlli negli aeroporti».

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