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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Lo Stato Islamico in Sinai: la connessione libica 21/02/2017
Lo Stato Islamico in Sinai: la connessione libica
Analisi di Zvi Mazel

(Traduzione di Angelo Pezzana)

http://www.jpost.com/Middle-East/ISIS-in-Sinai-the-Libyan-connection-482149

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La penisola del Sinai

Come può il Sinai, la sedicente provincia dello Stato Islamico, di derivazione Ansar Bait al-Maqdis, un’altra organizzazione terrorista, schierarsi contro l’esercito egiziano che ha ricevuto ingenti rinforzi negli ultimi tre anni? Molti analisti pensano che le forze egiziane siano male equipaggiate per combattere una guerriglia in aree urbane e montagnose. Per manifestare il proprio disappunto per la cacciata del presidente Morsi e dei suoi Fratelli Musulmani, il presidente Obama aveva sospeso in parte l’assistenza militare americana all’Egitto, rifiutando ogni aiuto al presidente Sisi nel creare speciali unità combattive dotate di validi equipaggiamenti. Dopo la messa fuori legge della Fratellanza Musulmana tutte le organizzazioni jihadiste nel Sinai si sono unificate nel “Ansar Bait al-Maqdis”. Ma per il popolare quotidiano Al Masri, che ha dedicato lo scorso 2 Febbraio un intero numero al problema, lo Stato Islamico riesce con successo a ottenere armamenti, trasformandosi “ da una piccola organizzazione dotata di pochi armamenti in qualcosa che assomiglia di più a un esercito regolare con armamenti sofisticati da non sottovalutare”.

Nel caos dopo la guerra civile in Libia negli anni 2011-2013, enormi scorte dell’esercito libico erano sul mercato. Così una enorme quantità venne contrabbandata da una nuova organizzazione jihadista, Ansae al-Sharia, nata nel sud del paese prima ancora che venisse ucciso Mohammed Gheddafi. Alcuni leader divennero membri del Interim Transitional Council che era alla guida del paese, avendo così accesso ai deposi di armi. C’erano i legami con “Al Qaeda nel Magreb islamico”, molto attiva nel nord Africa e nei paesi del Sahel, luoghi destinazione delle armi, anche se i quantitativi più grandi presero la via dell’Egitto, allora in pieno caos, per unirsi alle organizzazioni terroriste nella Penisola del Sinai e a Gaza. Ufficiali corrotti parteciparono al contrabbando delle armi. Secondo il giornale egiziano, nel 2012 quando arrivò nel Sinai il russo Kornet, un anti.tank a guida missilistica, le cose cambiarono.

Usato per la prima volta contro l’esercito egiziano nei pressi di Rafah, ha fatto molte vittime sia fra i soldati che fra i civili, in quanto ha una gittata di 5 km, è preciso nel colpire l’obiettivo. Ma non è stata l’unica arma sofisticata contrabbandata dalla Libia per lo Stato Islamico in Sinai. Ci furono anche missili Grad ( tipo quello lanciato recentemene su Eilat), razzi anti-tank con esplosivi a propulsione, missili Strela, fucili russi Kalashnikov ultimo modello per gli assalti, fucili austriaci Steyr per i cecchini, mitragliatrici pesanti del tipo russo DShK e molte altre, centinaia di migliaia di armi dai depositi di Gheddafi. Nelle mani di organizzazioni fanatiche, sono diventate una minaccia devastante. Secondo Al Masri Al Yom, le indagini condotte da organismi internazionali sul commercio delle armi hanno rivelato l’origine delle armi catturate dagli egiziani nel Sinai acquistate da Gheddafi provenissero dall’Unione Sovietica e poi dalla Russia, il maggior fornitore, anche se Gheddafi ne acquistò anche da Francia, Italia, Gran Bretagna, persino dalla Corea del Nord.

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Abdel Fattah Al Sisi

Le indagini quotidiane da parte egiziana nel Sinai del nord, con l’aiuto degli anziani delle varie tribù, ma anche da altri abitanti, rivelarono agli inizi del 2011, che la sicurezza della Penisola era sempre più a rischio a causa del caos egiziano e della Libia, con l’uso di armi sofisticate nelle mani degli jihadisti, mai viste prima nella Penisola. Nello stesso tempo, i militanti jihadisti, venuti da Gaza e dalla Libia, molti stranieri, insegnarono l’uso delle nuove armi nelle zone intorno alle città di Shaikh Zuweid, Rafah e El Arish. In pochi mesi, mentre l’Egitto era governato dal Consiglio Supremo dell’Esercito, ottennero successo dopo successo. Nessuno sapeva a chi rivolgersi per affrontare le minacce in modo risolutivo: membri delle forze di sicurezza abbandonavano la Penisola rientrando in massa al Cairo, non essendoci più un comando in grado di dare ordini. Terroristi di Anasr Bait al-Maqdis attaccavano le forze armate e i checkpoint, i soldati si trovavano a doversi confrontare con armi di cui non conoscevano neppure l’esistenza.

Nel 2014, un attacco scatenatosi contro una stazione di polizia in una zona strategica a el Arish, solo grazie allo straordinario coraggio degli ufficiali a difesa e della polizia evitò il massacro. Le condutture che trasportavano il gas a Israele sono state sabotate fino alla loro disattivazione. L’elezione di Morsi non mise fine al contrabbando né agli attacchi. Il nuovo ministro della difesa, nominato dal presidente, Abdel Fattah al Sisi, riorganizzò le forze armate e lanciò una campagna nel Sinai per eliminare i terroristi prima che potessero rafforzarsi, ma venne fermato dallo stesso Morsi. Quando Morsi venne deposto, Ansar Bait al–Maqdis si era già organizzato e addestrato. Alleatosi con Abu Bakr al Baghdadi e con lo Stato Islamico portò finanziamenti e collaborazione.

Nel luglio 2015, dopo che al Sisi venne eletto presidente, il movimento ha lanciato un attacco a tutto campo su Shaikh Zuwid, dove speravano di fondare un Emirato islamico. Le forze della sicurezza ebbero la meglio dopo una intensa battaglia; 21 soldati e poliziotti morirono, così come più di 100 terroristi. Come riferì il quotidiano egiziano, i militanti di Anasr al Sharia, con l’aiuto degli ufficiali libici che ‘consegnarono’ armi e munizioni dai magazzini militari, per poi contrabbandandarle attraverso i 1200 km di confine, incluso quello ufficiale di El Saloum. Magazzini nascosti in depositi sotterranei vicino alle oasi di confine di Siwa e Farafra, adatti a ospitare jeeps super equipaggiate dotate di armamenti. Una parte degli armamenti venivano dirottati verso il nord, in Egitto – Assiut e Beni Souef- e da lì verso il Sinai. Ma la maggior parte passò attraverso i sentieri occidentali del deserto e strade poco frequentate verso la Penisola del Sinai e la Striscia di Gaza. I luoghi di incontro venivano decisi con i cellulari. Venivano segnalati i checkpoint, macchine guidate da civili precedevano i camion che trasportavano le armi contrabbandate per avvisare il pericoli dei controlli, in modo da far cambiare il percorso. Il Consiglio Superiore del controllo degli armamenti, impegnato sul territorio nazionale, non si rendeva conto in modo sufficiente di quanto stava accadendo, anche se Morsi aveva scelto il non intervento per una scelta ideologica.

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Farafra, nel Sinai

Sisi aveva comunque capito la gravità della minaccia, una volta arrivato al potere ordinò all’esercito di mettere fine ai rifornimenti di armi nel Sinai per lo Stato Islamico. Il compito non era facile. Il confine era desertico e montagnoso. I rinforzi venivano inviati, ma i contrabbandieri contrattaccavano, sequestrando armi e posizioni alle pattuglie. Nell’oasi di Farafra, un attacco di sorpresa a un avanposto militare nel luglio 2014 uccise 27 soldati. Nell’aprile 2015, un aereo egiziano scambiò un gruppo di turisti per contrabbandieri aprendo il fuoco. 12 turisti messicani persero la vita. Eppure la migliorata cooperazione fra l’esercito nazionale libico, guidato dal generale Khalifa Haftar portò a un controllo più severo al confine, con il risultato la diminuzione del contrabbando. Le forze egiziane scoprono ancora magazzini clandestini. Recentemente il Presidente Sisi ha dichiarato che erano state scoperte munizioni in grado di produrre 1.000 tonnellate di esplosivi!. Anche dall’altra parte del confine le forze libiche hanno scoperto un deposito sotterraneo 70 contenitori di esplosivi, circa mezza tonnellata, sufficienti –a detta del locale comandante- per distruggere un edificio di 20 piani in un raggio di 4.000 metri quadrati. La Guerra è tutt’altro che finita e lo Stato Islamico in Sinai continua a ricevere armi dalla Libia, trasferendone una parte a Hamas a Gaza nel quadro della comune collaborazione.

Secondo Al Masri al Yom, ufficiali libici sostengono che il contrabbando, attraverso il confine con Libia e Egitto con il Sudan, ha trovato al via per rifornire le organizzazioni terroriste attive in Algeria, Tunisia, Niger, Mali e persino in Siria. Poco si sa sugli armamenti “scomparsi” dai magazzini di Gheddafi. Un porta parola dell’esercito libanese ha stimato il quantitativo in 21 milioni di pezzi. La maggior parte è stata contrabbandata fuori dal paese – soprattutto in Egitto – o distrutta nella guerra civile in Libia. Questo costituisce un pericolo enorme con disastrose conseguenze per Egitto e Israele. Possiamo solo stupirci per la mancanza di previsione da parte di Obama e dell’Unione Europea – sotto la guida di Francia e Gran Bretagna – nell’aver rovesciato Gheddafi, l’unico che poteva garantire un paese tribale unito. Nel caos che ne è derivato le tribù hanno le loro milizie che rispondono a interessi locali. Sebbene gli stati occidentali sapessero perfettamente le dimensioni dell’arsenale accumulato dalla Libia in molti anni, non diedero importanza a questo aspetto. Non debbono averci pensato su due volte, avrebbero capito come una marea di rifugiati sarebbe partita da quelle spiagge…

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Zvi Mazel è stato ambasciatore in Svezia dal 20012 al 2004. Dal 1989 al 1992 è stato ambasciatore d’Israele in Romania e dal 1996 al 2001 in Egitto. È stato anche al Ministero degli Esteri israeliano vice Direttore Generale per gli Affari Africani e Direttore della Divisione Est Europea e Capo del Dipartimento Nord Africano e Egiziano. Collabora a Informazione Corretta.


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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