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Il Foglio Rassegna Stampa
12.01.2017 Martin Heidegger antisemita e nazista
Analisi di Luca Gili

Testata: Il Foglio
Data: 12 gennaio 2017
Pagina: 2
Autore: Luca Gili
Titolo: «Quando il filosofo che racconta la politica si trasforma in puro ideologo»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 12/01/2017, a pag. 2, con il titolo "Quando il filosofo che racconta la politica si trasforma in puro ideologo", l'analisi di Luca Gili.

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Martin Heidegger, il filosofo di Hitler

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Donatella Di Cesare, ex vice presidente della Fondazione Heidegger 

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Gianni Vattimo, che ha introdotto in Italia il pensiero del nazista Heidegger

I filosofi non hanno mai avuto molta fortuna nel giudicare la politica. Già Platone si convinse che il tiranno di Siracusa bramasse ascoltare i suoi consigli politici, ma, sbarcato in Sicilia, finì subito in una prigione da cui fu liberato in modo rocambolesco dal suo amico Archita di Taranto. Ma accanto a questi marchiani errori di valutazione, che ci mostrano il grande filosofo come un ingenuo piombato nella House of Cards siracusana, le prese di posizione di altri filosofi che hanno sostenuto regimi autoritari lasciano sgomenti. Di recente ha fatto scalpore la pubblicazione dei cosiddetti Quaderni neri in cui Martin Heidegger getta la maschera e si mostra come un nazista e un antisemita coerente.

Non che la cosa abbia destato molta sorpresa tra gli addetti ai lavori. Anche senza il bisogno di apologie esplicite della violenza, come quelle del “nostro” Giovanni Gentile, filosofo ufficiale del fascismo, l’irrazionalismo di Heidegger va perfettamente d’accordo con la barbarie: hoc volo, sic iubeo, sit pro ratione voluntas diceva Giovenale. Stimati interpreti di Heidegger, come Gianni Vattimo, hanno elogiato i regimi dittatoriali sudamericani e hanno attribuito gli eccessi dello stalinismo al capitalismo. Più di recente, nel suo fortunato volume Heidegger e gli ebrei (Bollati Boringhieri, Torino, 2014), Donatella Di Cesare ha sostenuto che sì, Heidegger era antisemita e questo non è bello, ma aggiunge, con equilibrismo funambolico, che senza la filosofia di Heidegger non potremmo capire Auschwitz.

Ma se le intemperanze dei filosofi continentali possono destare meno sorpresa, data la loro proverbiale allergia per il ragionamento e la riflessione, molti si sorprenderanno di sapere che anche buona parte della intellighenzia analitica non ha opposto resistenze alle sirene delle ideologie novecentesche. Neven Sesardic, filosofo croato cresciuto sotto il regime di Tito, ha appena dato alle stampe When Reason Goes on Holiday. Philosophers In Politics (Encounter, New York). Nella prefazione nota che oltre la cortina di ferro la filosofia analitica era popolare perché era vista come una disciplina che aveva il coraggio di dire che una cosa è vera o falsa, se ad attenta analisi la si coglie come tale – un atto rivoluzionario in un contesto in cui era vero ciò che il partito diceva essere vero. Ma la sorpresa di Sesardic è stata grande quando ha visto che molti dei grandi filosofi della tradizione analitica erano vittime delle stesse ideologie che avevano sedotto i Lukács e gli altri intellettuali organici del partito oltre cortina.

Il libro è zeppo di aneddoti, dal più noto antisemitismo di Gottlob Frege, il padre della logica contemporanea, alla meno nota adesione allo stalinismo di Rudolf Carnap. Donatella Di Cesare ha mostrato in modo convincente che l’antisemitismo è uno dei pilastri “filosofici” del pensiero stesso di Heidegger. Frege, invece, si occupò di logica e di filosofia del linguaggio e, se non altro, la sua produzione è del tutto scollegata dalle affermazioni violente che costellavano i suoi scritti privati – benché ci sia chi ha scritto, come la femminista Andrea Nye, sostengano che la logica stessa, con il suo freddo rigore razionale, sia intrinsecamente maschile, violenta e destinata a opprimere la vita, le emozioni e gli affetti delle donne. Pochi anni dopo Frege, il filosofo oxoniense A. J. Ayer si chiede se aderire al Partito comunista britannico. Era il 1937, l’anno delle terribili purghe staliniane e il partito comunista britannico era di provata fede stalinista. Ayer decise di non aderire, non tanto per l’orrore dei crimini di Stalin, ma perché la dialettica di Marx non lo convinceva. Più tardi Hilary Putnam, influentissimo filosofo di Harvard, aderì al Progressive Labor Party, il partito maoista americano, e non sono documentate sue prese di posizione contro i crimini di Mao. Non solo: in pubblico e in privato Putnam cercò di distruggere la carriera dei suoi colleghi che non condividevano le sue passioni politiche. Pochi si salvano dalla avvincente ricostruzione di Sesardic – una lettura salutare per guardare con distacco molti idoli di carta.

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