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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.01.2017 I terroristi non sono folli ma soldati del terrore islamico
Editoriale di Angelo Panebianco

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 gennaio 2017
Pagina: 1
Autore: Angelo Panebianco
Titolo: «I terroristi non sono folli ma soldati del terrore»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 03/01/2017, a pag. 1-24, con il titolo "I terroristi non sono folli ma soldati del terrore", l'editoriale di Angelo Panebianco.

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Angelo Panebianco

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Dopo ogni attentato dei jihadisti in Europa (forse accadrà anche ora, dopo la strage di Capodanno a Istanbul), riappare sempre la stessa divisione: fra quelli che dicono che «la religione non c’entra», sono solo gli «interessi» (materiali) a spiegare tutto, e quelli che sostengono che la religione sia la vera causa. Semplificare va bene, serve per capire situazioni complesse, ma se si semplifica troppo si finisce per non capire niente. Quando è in gioco la vita di tante persone non capire niente è pericoloso, sbagliare diagnosi è il modo più sicuro per restare indifesi. Perché, a dispetto di ogni evidenza, a dispetto dei Santi (è il caso di dirlo), tante persone negano che quella dichiarata, non solo contro altri musulmani ma anche contro gli occidentali, sia una guerra religiosamente motivata?

Due sono le ragioni principali. La prima è che ammettere che l’Islam c’entri significa doversi porre — e porre anche ai musulmani (la maggioranza) che si tengono lontani dal jihad — domande scomode, fastidiose, sugli atteggiamenti del mondo islamico nei confronti della società aperta occidentale e sugli aspetti della loro tradizione che hanno generato la sfida jihadista. È più rassicurante prendere per buono quanto i rappresentanti delle comunità musulmane sostengono dopo ogni attentato, ossia che «l’Islam non c’entra», nulla ha a che spartire con quei quattro (solo quattro?) esaltati .

Per negare l’evidenza si ricorre a una serie di rassicuranti affermazioni. Per esempio, si definisce «folle» l’attentato. Ma non c’è niente di folle: l’attentatore è un soldato, combatte una guerra dichiarata da qualche organizzazione (ieri Al Qaeda, oggi l’Isis, domani un’altra). Quel soldato è la versione contemporanea dei combattenti per la causa islamica dell’età medievale e della prima età moderna. Un altro modo per rassicurarsi collettivamente sul fatto che l’Islam non c’entra consiste nell’evidenziare che l’attentatore, prima di convertirsi all’islamismo radicale, era spesso un piccolo delinquente con precedenti penali. Quei precedenti, non la religione, spiegherebbero la sua azione. Si dimentica che anche molti dei protestanti e dei cattolici che nel Cinquecento commettevano le violenze più efferate contro persone della fede opposta, erano dei malvissuti.

Criminali e spostati di ogni tipo sono sempre stati la bassa manovalanza nelle guerre religiose, etniche o di altro genere. Né possiede alcun significato il fatto, come si è talvolta accertato, che quegli attentatori conoscano poco della religione in nome della quale combattono. Vale sempre l’esempio dei sopra citati protestanti e cattolici. Capi a parte, molti dei più esagitati e violenti erano, dal punto di vista religioso, degli sprovveduti, la loro «competenza» era racchiusa in pochi slogan. Ma nessuno si sognerebbe di negare la natura religiosa di quel conflitto.

La seconda ragione per la quale in tanti rifiutano di riconoscere il carattere religioso della guerra dichiarata dall’islamismo radicale è forse più importante. Ed è anche il motivo per il quale i capi jihadisti, come risulta dalle loro dichiarazioni, pensano che l’Europa sia il ventre molle dell’Occidente, un insieme di Paesi che — non importa quanti anni o decenni di lotta saranno necessari per raggiungere lo scopo — dovrà prima o poi arrendersi, sottomettersi. La ragione ha a che fare con la scristianizzazione. Fra tutte le aree del mondo l’Europa è quella in cui il processo di secolarizzazione (la scomparsa del sacro dalla vita individuale e collettiva) ha raggiunto i massimi livelli: nella sua parte protestante come in quella cattolica (e il fatto non è contraddetto dalla popolarità di cui gode anche fra i non credenti, anche fra tanti atei dichiarati, l’attuale Pontefice).

Contrariamente a quanto immaginavano gli illuministi (quelli francesi, non quelli anglosassoni), la scristianizzazione non ha eliminato la «superstizione», non ha reso gli europei «più razionali». Ha invece aperto la strada a varie forme di regressione culturale. Per citare solo la più impressionante: sono ormai legioni coloro che pensano seriamente che non ci siano differenze fra uomini e animali (domestici e non). È arduo, per una società siffatta, accettare l’idea che ci sia gente disposta a uccidere e a farsi uccidere in nome di un credo religioso. La secolarizzazione/scristianizzazione porta con sé l’impossibilità di capire un fenomeno del genere. Si noti che la secolarizzazione — quando si parla di estremismo islamico — sembra talvolta lambire le stesse autorità religiose cristiane mettendole in contraddizione con se stesse.

Se si nega alla lotta armata dei jihadisti carattere religioso, se si sostiene che in quel caso la religione è un pretesto (che nasconde gli interessi materiali in gioco), una specie di «sovrastruttura», di «oppio dei popoli», non ci si avvede che un simile ragionamento potrebbe essere esteso logicamente fino a ricomprendere le scelte religiose di chiunque, cristiani inclusi. E gli interessi? Non ci sono interessi in gioco? Politici, economici, eccetera? Ma certo che ci sono. Anche nei conflitti religiosi pesano, eccome, gli interessi. Nella Germania del Cinquecento diversi principi tedeschi scelsero di appoggiare la causa protestante o quella cattolica per convenienza politica. E tanti nobili, mercanti e contadini badavano, oltre che alla salvezza dell’anima, ai benefici terreni.

Le grandi potenze, i loro sovrani, si schieravano da una parte o dall’altra sulla base di calcoli dettati dalla ragion di Stato (tenevano conto sia dei rapporti di forza internazionali che degli interessi commerciali in gioco, nonché dei sentimenti religiosi dei propri sudditi). Il gioco degli interessi era così complicato che potevano persino realizzarsi alleanze temporanee fra potenze protestanti e potenze cattoliche. Proprio come accade nel Medio Oriente attuale, dove divisioni religiose (ad esempio, fra sunniti e sciiti), divisioni nazionali (ad esempio, fra turchi e curdi), logica di potenza e interessi economici (petrolio e altro), interagiscono, dando luogo a un intricatissimo mosaico. Religione e «interessi» non si escludono mai a vicenda. Gli essere umani sono complicati. Anche quando pensano «all’Al di là» non smettono, per lo più, di ricercare vantaggi nell’al di qua.

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