Perché votare sì al referendum
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli
Cari amici,
Informazione Corretta di regola non interviene in temi di politica interna e si limita a parlare di Medio Oriente e di temi connessi. Vi sono però delle eccezioni, e la mia cartolina di oggi è una di queste.
Siamo a una settimana dal referendum e la discussione infuria, anche con toni molto violenti, soprattutto da parte dei sostenitori del no. Basta pensare agli ultimi interventi di Beppe Grillo, che ha dato a Renzi della “scrofa ferita” e agli elettori del sì il titolo di “assassini”. Altri interventi fanno meno notizia ma sono più pervasivi. A me hanno chiesto quanto ero stato pagato, mi sono arrivate fotografie di cani che defecavano sulla bandiera del PD, un’immagine di Hitler che fa un gesto come a indirizzare chi guarda di lato, con la didascalia “Alle docce!”.
Hanno creduto di offendermi anche cambiando il mio titolo in “professoressa” Volli, come se il genere femminile fosse un’offesa. A parte questi tratti di fascismo verbale, che meritano di essere analizzati a parte, la questione del referendum è molto seria e merita di essere discussa razionalmente, per prendere una decisione sensata.
Non aiutano in questo i toni allarmistici e spesso isterici dei sostenitori del no, che parlano di “svolta autoritaria”, mentre il testo non rafforza affatto i poteri del presidente del Consiglio, com’era previsto in proposte precedenti; parlano di una riforma del Governo, mentre è stata votata dalle Camere (ciascuna in due letture; dicono che la scelta dell’elezione indiretta del senato (diffusa in diversi paesi democratici e già presente per altre cariche nella nostra legislazione) sarebbe una limitazione della libertà di voto, che il comma di un articolo in cui si dice che le leggi debbono tener conto dei vincoli degli accordi internazionali e dell’ordinamento dell’Unione Europea (un comma che c’era già e che al posto di “ordinamento dell’Unione Europea” si parlava di “ordinamento comunitario” facendo riferimento al vecchio nome dell’istituzione europea) sarebbe addirittura la “cessione della sovranità nazionale”. Per capire bene quali sono le novità vi consiglio di prendervi il tempo di confrontare il vecchio testo con il nuovo. Ci sono delle comode pagine a doppia colonna con il vecchio testo e il nuovo. Questo per esempio è il lavoro fatto dalla Camera dei Deputati: http://documenti.camera.it/leg17/dossier/pdf/ac0500n.pdf .
Scoprirete al primo sguardo, per esempio, che i primi 48 articoli, quelli che riguardano i diritti fondamentali dei cittadini, non sono affatto toccati dalla riforma. Sul referendum bisogna gioudicare razionalmente, lo ripeto. E questo va fatto su due piani. I contenuti della riforma e le conseguenze politiche del voto. Sul primo punto, diciamolo chiaramente, non cambia il contesto della nostra vita, non si toccano i diritti politici e civili, non si altera la forma di stato. Non è affatto una rivoluzione. E’ una riforma, solo una riforma, non una rivoluzione, della macchina politica.
Le funzioni del parlamento, della Corte Costituzionale, del Governo, delle regioni, della magistratura, ecc. ecc. restano sostanzialmente le stesse. Vi sono alcune modifiche che razionalizzano il processo di decisione. Spariscono enti inutile come il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro e le province. Il Senato viene trasformata in una camera delle autonomie, con la riduzione del numero dei senatori e la loro elezione attraverso i consigli regionali e quelli comunali più importati.
Non essendo una fotocopia dell’altra camera ed essendo riunito solo part time, il senato perde molte funzioni, come la fiducia al governo, l’intervento nella legislazione ordinaria (ma non in quella di rilevanza regionale o in quella costituzionale). Come succede in molti paesi (fra cui per esempio la Gran Bretagna), la funzione parlamentare si accentra sulla Camera, che continua naturalmente a essere direttamente eletta da tutti. I
l governo ottiene una corsia preferenziale per le sue proposte, ma in cambio le regole sui decreti sono più stringenti. E’ possibile consultare su certe leggi, come quelle elettorali, direttamente la Corte Costituzionale, evitando il ricorso ai tribunali dopo che sono entrate in funzione. Le leggi sono approvate senza il ping pong fra le due camere che ha rallentato e reso confusa la legislazione negli ultimi decenni. Alcune materie che erano competenza congiunta di Stato e regioni ritornano all’esclusiva legislazione statale, evitando conflitti logoranti e paralisi, come q uella che ha fatto saltare ieri una parte della riforma della pubblica amministrazione perché le regioni erano state sì consultate e si erano pronunciate a maggioranza a favore, ma un paio non erano d’accordo Insomma, la riforma semplifica la macchina dello stato, aiuta a prendere decisioni, chiarisce le responsabilità.
Si sarebbe potuti essere più radicali in queste scelte, ma il parlamento che ha approvato la riforma non consentiva interventi troppo decisi. E’ già un miracolo che il Senato abbia acconsentito alla diminuzione dei suoi poteri, difficilmente avrebbe accettato la sua abolizione pura e semplice. Il regime politico che esce dalla riforma è sostanzialmente lo stesso, solo ha perso i lacci e laccioli che erano stati imposti nel 1947, cioè in piena guerra fredda, per evitare che il governo potesse funzionare senza mettersi d’accordo con la minoranza.
Il consociativismo, i compromessi, la partitocrazia, i mali riconosciuti da tutti del sistema politico italiano nascono da qui. E in effetti questa riforma non è molto diversa da quella che era stata scritta molte volte da esperti, commissioni, organi parlamentari.
Come tutte le cose al mondo non è e non può essere perfetta. Ma è un progresso e grande. Per questo sul piano del contenuto il referendum merita il Sì.
Il secondo piano è quello delle conseguenze politiche. E’ abbastanza semplice ragionarci sopra. Se vince il sì, le cose continuano ad andare come sono andate finora. Nonostante tutte le polemiche che sono state sollevate, io penso che il governo Renzi sia il migliore da molto tempo. Ha fatto dei progressi notevoli in tema di diritti civili, organizzazione dello stato, gestione dell’economia, dialettica con l’Unione Europea. Su certe cose che ha fatto non sono affatto d’accordo, per esempio sull’”accoglienza” indiscriminata all’immigrazione irregolare. Ci sono stati un paio di brutti incidenti, molto significativi soprattutto per noi che ci occupiamo di Israele, come l’astensione all’Unesco e le lettere mandate agli italiani di Gerusalemme come se la città stesse in un’inesistente stato di Palestina. Ma queste sono state trappole costruite da pezzi di amministrazione che vorrebbero perseguire la tradizionale politica filoaraba dello stato italiano.
E Renzi direttamente nel primo caso, il comitato per il Sì nel secondo sono intervenuti e hanno chiesto scusa – il che non è poco. In molte altre circostanze – visite di ministri, accordi internazionali, di recente l’appoggio contro gli incendi - questo governo ha mostrato una sincera volontà di amicizia con lo stato di Israele.
L’assalto al referendum non viene fatto per difendere la Costituzione, come recitano gli slogan, ma per azzoppare Renzi. E condotto da un’accozzaglia (il termine è stato criticato ma giusto, dato che significa “insieme disordinato di persone o cose, per lo più disparati tra loro” http://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=accozzaglia ), in cui si uniscono le posizioni più disparate: c’è l’Anpi e gli islamisti dell’Ucoi (questo non meraviglia, dato quel che fa l’Anpi il 25 aprile), c’è Vendola e Salvini, Berlusconi e De Magistris, D’Alema e Brunetta, Casa Pound e la CGIL, c’è naturalmente Grillo con i suoi, Zagrebelski e i no tav, il Manifesto, il Fatto e il Giornale.. Insomma tutta l’opposizione al governo e tutti quelli che sperano di ottenere vantaggi dalla sua caduta. E’ legittimo naturalmente.
Ma intanto lasciatemi notare che con un paio di eccezioni che certo non sono al centro dello schieramento (la Lega e Forza Italia, più qualche isolato), tutto il resto è fortemente antisraeliano, se non proprio antisemita. Nella compagnia c’è Piccardo, il capo della Fratellanza Musulmana in Italia e anche un certo Paolo Barnard, che è il più accanito predicatore antisionista sulla rete. E tutti gli altri. E’ un dato da considerare. Ma lasciamolo da parte e andiamo al sodo.
Il problema è che succede si vince il no. O se vogliamo essere ancor più concreti, chi vince davvero. Mi sembra ovvio che in una coalizione, soprattutto se disorganica e senza patti, conti il più grosso. Bene, i sondaggi delle ultime settimane danno il PD fra il 33,5 e il 30% - ma il Pd per l’appunto sarebbe lo sconfitto , nella nostra ipotesi, battuto anche grazie al tradimento delle minoranze. Subito dopo viene il 5 stelle , fra il 27,6 e il 31,3. Gli altri soggetti sono terribilmente indietro: La lega è fra l’11 e il 13, Forza Italia fra il 10 e il 14, Fratelli d’Italia, Sel e Ndc stanno fra il 3 e il 5, tutti gli altri valgono come i prefissi telefonici, zero e qualcosa; insomma i 5 stelle valgono da soli ben più di tutto il resto dell’opposizione riunito (la fonte è questa: http://www.termometropolitico.it/sondaggi-politici-elettorali, ma più o meno tutti i sondaggi dicono lo stesso). Dunque è evidente, se il primo, il Pd, perde e litiga e magari si spacca, chi è il vincitore se prevale il No? Beppe Grillo e i suoi.
La spinta del referendum li porterà magari al sorpasso, è chiaro che Renzi sarà logorato e o subito o nel giro di qualche mese portato alle dimissioni. Si profila uno scontro elettorale all’inizio del ‘17, in cui vince il movimento 5 Stelle. Con le regole attuali avrà probabilmente la maggioranza in Parlamento. Se ci si mette d’accordo per cambiare la legge elettorale (ma non è affatto detto che ci si riesca), avrebbe comunque più di un terzo dei voti. E le maggioranze allora sono o un blocco da Bersani a Salvini, che mi sembra francamente improbabile; o una maggioranza fra estrema sinistra (Sel, Bersani, d’Alema) e i discepoli di Grillo. In ogni caso è molto probabile che chi vota no, consegni le chiavi del governo al Movimento 5 stelle. E questa, a mio modo di vedere è una catastrofe storica, paragonabile al calcolo dei comunisti che nel ‘22 in Italia e nel ‘33 in Germania, decidendo di non unirsi alla sinistra moderata (che chiamavano “socialfascisti”) consegnarono l’Europa ai fascisti veri, con tutto quel che ne seguì.
Sto esagerando? In tutta onestà, non credo. Il Movimento 5 stelle è la cosa più pericolosa che sia arrivata in Italia dal 1919, quando un giornalista al soldo dei francesi fondò i “fasci di combattimento”, facendo finta di essere modernissimo, al di là della destra e della sinistra, non corrotto come gli altri. Da un lato i 5 stelle sono l’equivalente di quel movimento di Tsipras che ha devastato la Grecia (anche se tutti danno la colpa all’Unioe Europea, la responsabilità è loro), di Podemos in Spagna e soprattutto della catastrofe politica, umana ed economica del movimento di Chavez e Maduro in Venezuela. Che questi “movimenti popolari” abbiano la simpatia di un politico peronista come Bergoglio, rende più grave il mio allarme. Dall’altro l’organizzazione interna del movimento di Grillo è del tutto anomala anche rispetto ai totalitarismi. Se Stalin faceva almeno finta di fare i congressi e Mussolini fu rovesciato il 25 luglio da un organismo che si chiamava Gran Consiglio del fascismo, fra i 5 stelle non c’è neanche questa caricatura di democrazia. Il loro sistema di potere è quello di una società commerciale, con dei proprietari, non di un movimento politico. Infine il personale politico che ha raccolto è pessimo, impreparato, incapace di gestire le complessità della vita contemporaneo, timoroso del nuovo, anche se finge di essere tecnologico. Una serie di cose che sono emerse in questi ultimi mesi mostrano anche che onestà e disinteresse assoluto proclamati sono quanto meno dubbi, nella realtà. Fra le altre cose, la loro ideologia è terzomondista e appassionatamente antisraeliana. Dunque un loro governo sarebbe la catastrofe. La distruzione economica del paese, la fine della libertà politica, l’instaurazione di un sistema di governo opaco e antidemocratico.
Basti pensare acome il giovane Casaleggio ha letteralmente ereditato dal padre dopo la sua morte il comando sul movimento, senza che nessuno abbia neanche finto di discutere l’eredità. Bisogna impedire questa catastrofe. Anche se la riforma fosse pessima, bisognerebbe votare sì. Ma pessima non è, è piuttosto buona, e quindi le persone che esaminino bene la scelta non possono non votare sì.
Chi si illude che la vittoria del no significherebbe il ritorno di Berlusconi, il decollo di Salvini, la riaffermazione della prospettiva operaista, qualunque utopia di questo tipo, nutre illusioni masochiste e pericolose. C’è una sola strada per tenere aperta la partita della democrazia italiana ed è votare Si.
Ugo Volli