Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 19/11/2016, l'intera pag.3, dal titolo "Tutti i falchi di The Donald", con le biografie dei primi tre nominati da Trump, a cura di Massimo Gaggi.
Se avesse vinto Hillary Clinton, ci chiediamo se il Corriere avrebbe titolato "Tutte le colombe di Hillary". Ne dubitiamo, ma con Trump tutto è permesso, proprio quella attitudine ostile che gli ha dato la vittoria. Quand'è che i media impereranno la lezione? Noi preferiamo aspettare i fatti, le biografie che accuratamente evidenziano affermazioni fuori dal loro contesto non ci sono mai piaciute. Giudicheremo dai fatti, non dalle demonizzazioni. Come eravamo stati contrari al coro di applausi per Obama da parte di tanti esperti quando elogiavano la sua politica estera. Noi eravamo contro, ma non per principio, bensì dai risultati che ha ottenuto. Ricordate il Premio Nobel? gli venne assegnato sulla parola. E si è visto il disastro che la sua visione del mondo ha provocato.
Massimo Gaggi, in queste brevi biografie, ha fatto l'opposto. Li ha processati e già condannati.
Massimo Gaggi
Ecco il tre neo-nominati:
Michael Flynn
A luglio, durante la convention repubblicana, grande fu la sorpresa nel vedere che sul palco dell'arena di Cleveland, a guidare i cori che invitavano a mandare in galera Hillary Clinton, non c'era un attivista scatenato, ma il generale Michael Flynn: un ufficiale di grande capacità caduto in disgrazia per aver assunto su guerre e terrorismo atteggiamenti incompatibili con quelli del Pentagono e della Casa Bianca. Un personaggio ora risorto nei nuovi panni di fan di Donald Trump che, nominandolo consigliere perla Sicurezza nazionale, gli ha dato ampi poteri. Sarà lui la voce più influente sulla politica estera, la presenza Militate Usa nel mondo e la lotta al terrorismo a fianco di un presidente che ha poca dimestichezza con queste materie. Flynn puntava più in alto: capo del Pentagono o segretario di Stato. Ma i suoi atteggiamenti radicali, criticati anche da molti repubblicani, la mancanza di equilibrio che l'ha reso inviso ai capi militari, un'avventurosa apparizione a fianco di Vladimir Putin un anno fa e alcuni conflitti d'interesse (è titolare di una società di consulenza in rapporti d'affari con ambienti vicini al governo turco e di altri Paesi mediorientali, oltre che con la Russia) hanno suggerito un incarico diverso: una carica non soggetta alla ratifica da parte del Senato. Tanti i paradossi di un personaggio irascibile che probabilmente piace a Trump proprio per quella mancanza di equilibrio. Di famiglia irlandese, tuttora registrato nelle liste elettorali come democratico, militare giudicato di grandi capacità per come era riuscito a smantellare reti di ribelli in Iraq e Afghanistan, quattro anni fa il generale Flynn era stato scelto da Obama in persona come nuovo capo della Dia, B servizio segreto dei militari. Ben presto, però, Flynn aveva cominciato a prendere posizioni pubbliche contrarie alle politiche della Casa Bianca, facendo Infuriare gli stessi militari. Laddove Obama invitava a evitare conflitti di civiltà, Flynn giudicava un atteggiamento RAZIONALE (scritto da lui in maiuscolo su Twitter) aver paura del mondo musulmano. Rottura e uscita di scena nel 2014: prepensionato a 56 anni. Due anni passati a covare la rabbia: ora la rivincita.
Jeff Sessions
L'ultima volta che Jeff Sessions affrontò il giudizio del Senato — 30 anni fa, quando Ronald Reagan lo nominò giudice federale — la sua candidatura fu bocciata tanto dai parlamentari democratici quanto da diversi repubblicani, dopo un esame severo condotto da un (allora) giovane senatore progressista: Joe Biden. Troppi giudizi controversi, soprattutto su questioni razziali. Un suo vice nero testimoniò di essere stato intimidito: «Attento a come ti rivolgi a un bianco». E lui in tribunale aveva mostrato scarso rispetto per un avvocato afroamericano chiamandolo «ragazzo». Anche una battuta micidiale sul Ku Klux Klan: «Non avevo nulla contro di loro fino a quando non ho scoperto che molti fanno uso di marijuana». Sessions rimase in Alabama divenendo «attorney general» e poi, au anni fa, senatore dello Stato. Un conservatore molto radicale ma rispettato da compagni di partito e avversari per la sua competenza giuridica e la sua integrità. Trump gli deve riconoscenza perché, quando aveva tutto il partito contro, Jeff fu fl primo a rompere i ranghi salendo sul carro del «tycoon»: una mossa coraggiosa che provocò la reazione furibonda del suo «compagno di banco», il senatore texano Ted Cruz. Oggi il politico dell'Alabama che sarà il ministro della Giustizia di Donald Trump cerca di placare i suoi molti critici: «Non sono il Sessions che 3o anni fa è stato presentato in modo distorto all'opinione pubblica». E I suoi spiegano che jeff non è razzista, non è insensibile al problemi dei neri, si è impegnato perla difesa dei diritti civili in Alabama. Ma è radicalmente contrario a ogni percorso che porti i lavoratori clandestini a ottenere la cittadinanza Usa ed è contro la legalizzazione della marijuana che è ormai un fatto acquisito In buona parte dell'America, dal Colorado alla California. I democratici si accingono a processarlo durante gli «hearing» in Congresso, ma stavolta per bocciarlo dovrebbero portare dalla propria parte diversi senatori repubblicani. Ma oggi anche quelli che lo criticano nel partito conservatore, lo rispettano e si dicono pronti a votarlo.
Mike Pompeo
Campano di origine, nato in California da una famiglia di militari ma cresciuto in Kansas, Stato che ha rappresentato in Congresso dal 2010, Mike Pompeo è un «uliti» della destra radicale, schierato da anni con i Tea Party contro l'establishment repubblicano. Ma è anche un professionista della politica molto preparato e, a differenza del generale Flynn, un uomo dal sangue freddo. Primo del suo corso all'accademia di West Point, studi perfezionati nell'esclusiva «Law School» dell'Università di Harvard, prima di darsi alla politica Pompeo (ora 52enne) ha lavorato in uno studio legale e ha fondato una società aerospaziale di successo. Definito da chi lo conosce bene «acuto, brillante, silenzioso», il deputato del Kansas, che ha conosciuto il mondo dei servizi segreti da membro del comitato «intelligence» della Camera, è parso al neopresidente la scelta giusta per la guida della Cia. In lui Trump ha trovato competenza e affidabilità, ma Pompeo è anche un «fan» di alcune delle politiche più radicali e controverse proposte dal «tycoon» entrato in politica e contestate da molti nella stessa destra Usa. Pompeo è un grande nemico dell'accordo per il nucleare iraniano: alcuni giorni fa ha scritto un articolo per il Weekly Standard sollecitando la sua cancellazione. L'esponente dei Tea Party giustifica, poi, l'uso di «tecniche non convenzionali» (cioè la tortura) negli interrogatori e ha criticato aspramente Obama per averle proibite, mentre è favorevole a mantenere in attività 11 carcere speciale di Guantanamo e ha suggerito la pena di morte per la «talpa» dell'Nsa Edward Snowden. Molto critico nei confronti dei musulmani, soprattutto gli imam che non si impegnano a fondo contro il terrorismo, Pompeo alla Cia aumenterà di certo la sorveglianza sugli islamici d'America Ma, al tempo stesso non fa di tutta l'erba un fascio prendendo le distanze dall'intero mondo musulmano come il generale Flynn. Orgoglioso delle sue origini italiane, Pompeo fa parte tanto dell'organizzazione dei parlamentari italo-americani quanto della Niaf, l'associazione degli italiani d'America, ma ha fatto, curiosamente, una scelta religiosa diversa: cattolico fin dalla nascita come tutti gli altri, Pompeo è poi divenuto presbiteriano.
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