Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 18/11/2016, a pag. 46, con il titolo "Shafak, la Turchia, la libertà: 'In galera con un tweet' ", l'analisi di Ida Bozzi.
Ida Bozzi
Elif Shafak
Empatia e un forte messaggio contro l’isolazionismo: con questa cifra si è aperta ieri sera la quinta edizione di BookCity Milano (che si chiude domenica), in un Teatro Dal Verme affollato per l’evento inaugurale con la scrittrice turca Elif Shafak. E un applauso commosso ha salutato Piergaetano Marchetti, presidente della Fondazione «Corriere della Sera», una delle 4 Fondazioni che compongono l’Associazione che promuove BookCity insieme al Comune di Milano (con Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Fondazione Umberto ed Elisabetta Mauri, Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori). Marchetti ha scelto infatti di aprire la serata con un omaggio a Umberto Veronesi, citando da un suo libro: «Io credo in una società in cui i libri esistano sempre».
Sui valori di armonia e ascolto ha insistito anche il sindaco Giuseppe Sala, nel conferire alla scrittrice il Sigillo della Città: «Elif Shafak ha celebrato — ha affermato — la varietà e la ricchezza delle radici culturali di Istanbul. E comprensione, ascolto di voci e tradizioni differenti sono i valori che Milano intende promuovere». L’atmosfera di armonia è stata sottolineata anche dal presidente di quest’edizione, Achille Mauri, che ha elogiato lo sforzo di editori e del Comune per un’edizione cresciuta perfino in questi giorni, fino a oltre 1.400 eventi. «Se tutti noi qui leggessimo il 5% in più — ha concluso — cambieremmo perfino il Pil del nostro settore».
Ma è stato nel corso della conversazione con Elif Shafak, condotta dalla giornalista e scrittrice Rula Jebreal, che il messaggio di tolleranza è stato ribadito più volte, insieme a un forte allarme sulla situazione turca. A cominciare dai ringraziamenti al sindaco e a Milano, infatti, Shafak ha introdotto subito il tema del pluralismo: «Sono molto contenta e molto onorata. Nata in Francia, ho vissuto in Turchia e mi considero londinese. Ora anche milanese. Quando mamma è diventata una diplomatica abbiamo cominciato a viaggiare. Così ho imparato che si può avere un’appartenenza multipla». Così è iniziata la conversazione con l’autrice, con riferimenti alla Brexit e alle elezioni americane, che hanno strappato numerosi applausi a scena aperta. «C’è una politica — ha continuato Shafak — che spinge per un’identità unica, gli estremisti di tutto il mondo non amano la complessità. Ti dicono, per esempio, che se sei musulmano puoi essere solo musulmano. Ma noi abbiamo molte identità. Quello invece è un atteggiamento contrario alla natura umana, che è fluida come l’acqua».
Alla domanda di Jebreal sulla Brexit o sulla scelta dell’elettorato americano, Shafak ha raccontato quello che accadeva quando era bambina in Spagna: «Ero l’unica turca della scuola internazionale e ricordo che quando un turco (Alì Agca, ndr ) cercò di uccidere il Papa (Giovanni Paolo II, 13 maggio 1981, ndr ), per molti mesi gli altri bambini se la presero con me e mi fecero sentire come se fossi stata io la colpevole». E ha commentato: «Dovremmo essere andati avanti rispetto a questo, invece stiamo andando indietro. Prendono sempre più piede isolazionismo, nazionalismo, xenofobia, fino a ciò che io chiamo il tribalismo. In tutto il mondo: Turchia, ma anche Ungheria, Polonia, e in molti Paesi in cui si affermano democrazie illiberali. I governi vanno al potere con i mezzi della democrazia e poi reprimono le libertà, con populismo, tribalismo, e poi misoginia: è tutto collegato».
E dopo aver ricordato le violenze crescenti contro le donne in Turchia, ha continuato: «Vengo da un Paese che fu un grandioso impero cosmopolita e multiculturale ma che non sembra apprezzarlo. Perdendo il cosmopolitismo la Turchia ha perso molto. Il Regno Unito rischia di fare lo stesso errore». Il dialogo è continuato con altre analisi, sull’«ansia» e la paura degli immigrati («anche i progressisti dovrebbero usare più intelligenza emotiva per capire chi oggi ha tanta paura») per arrivare al dopo golpe nel suo Paese: «Un giro di vite terribile. Ci sono 130 giornalisti in prigione in Turchia, e scrittori, fumettisti, linguisti, di cui chiediamo l’immediata liberazione. Noi turchi democratici dobbiamo contrastare questa situazione, che sta diventando pesante. Si rischia anche a parlare, se critichi il governo ti tacciano di essere un traditore. Si rischia per un saggio, per una poesia o un tweet. Le parole in Turchia sono diventate molto pesanti». Ma ha chiuso con una luce: «Se guardo i politici turchi sono pessimista, ma quando guardo il popolo turco, i nostri giovani, le donne, le minoranze del Paese, allora sono un po’ più fiduciosa».
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