Riprendiamo da AVVENIRE di oggi, 17/11/2016, a pag. 15, con il titolo "Primo sì in Israele per la sanatoria sugli avamposti", il commento di Susan Dabbous; dal MANIFESTO, a pag. 7, con il titolo "Avamposti coloniali illegali: primo sì al colpo di spugna", il commento di Michele Giorgio.
Ancora una volta, i giornali che più diffondono odio contro Israele sono Avvenire e il Manifesto. Susan Dabbous e Michele Giorgio diffondono odio e menzogne attaccando senza freno le scelte del governo israeliano.
Susan Dabbous termina l'articolo ricostruendo un episodio in questo modo: "Ieri, nel corso di alcuni scontri a Nablus, è stata uccisa una donna palestinese. Aveva 39 anni, la sua identità non è stata comunicata. È stata colpita nella città vecchia, teatro di violenze negli ultimi mesi tra forze di sicurezza e bande armate". E' un esempio tipico di disinformazione, menzogna omissiva e doppio standard: non viene ricordato il motivo per cui la donna è stata uccisa, non si fa cenno al terrorismo palestinese ma soltanto a generiche "bande armate", si diffonde l'idea che sia una vittima di Israele anziché una terrorista.
Michele Giorgio scrive del "sindaco israeliano di Gerusalemme", Nir Barkat. Perché "israeliano"? Giorgio avrebbe descritto Sala come "il sindaco italiano di Milano"? E' ovvio che Nir Barkat è israeliano perché Gerusalemme - semplicemente - è una città di Israele, la capitale per giunta. Aggiungere l'aggettivo "israeliano" vuole significare una cosa sola: far passare l'idea che debba esistere un sindaco non israeliano a Gerusalemme, ovvero che sia una città che non appartiene a Israele. Con una parola soltanto, la delegittimazione genocida dell'intero Stato ebraico.
Ecco gli articoli:
AVVENIRE - Susan Dabbous: "Primo sì in Israele per la sanatoria sugli avamposti"
Susan Dabbous
La Knesset
Passo storico ieri alla Knesset. Il Parlamento israeliano ha approvato, con lettura preliminare, una proposta di sanatoria retroattiva per legalizzare gli avamposti ebraici di Anona, vicino Ramallah, sorti su proprietà privata palestinese. Non si tratta dell'annuncio dell'ennesima colonia illegale, bensì dell'inizio di un braccio di ferro legale, che per la prima volta vede il Parlamento scavalcare una decisione della Corte Suprema dello Stato ebraico. I giudici infatti si erano già pronunciati sulla necessità di evacuare le case, abusive e costruite non a norma, entro il prossimo 25 dicembre, data in cui l'esercito avrebbe dovuto procedere alla demolizione.
Le 40 famiglie che avrebbero dovuto lasciare le loro abitazioni si sono rivolte al governo, trovando l'appoggio del premier Benjamin Netanyahu e del ministro della Difesa Avidor Liebermann. Contrari erano invece il ministro delle Finanze, Moshe Kahlon, e quello dell'Istruzione, Naftali Bennet. Il primo per rispetto della magistratura, il secondo per antagonismo nei confronti del premier. Con un prevedibile colpo di scena, i due leader contrari al condono hanno però fatto votare i propri parlamentari in linea con l'esecutivo. Nessuno, infatti, aveva intenzione di aprire una crisi di governo.
Una dura condanna è arrivata dall'opposizione. «Questa è una legge da incubo. È il calare delle tenebre su un abisso», ha commentato il leader laburista Isaac Herzog. «La Knesset vota una proposta che va contro la legalità israeliana e contro il diritto internazionale». Contro l'iniziativa si sono espressi la leadership palestinese, l'Egitto, la Giordania e l'Amministrazione Usa. Il provvedimento passa ora in commissione. Intanto, sale la tensione con i palestinesi. Ieri, nel corso di alcuni scontri a Nablus, è stata uccisa una donna palestinese. Aveva 39 anni, la sua identità non è stata comunicata. È stata colpita nella città vecchia, teatro di violenze negli ultimi mesi tra forze di sicurezza e bande armate.
IL MANIFESTO - Michele Giorgio: "Avamposti coloniali illegali: primo sì al colpo di spugna"
Michele Giorgio
Nir Barkat, sindaco di Gerusalemme
La maggioranza di destra israeliana si è ricompattata e, superate le perplessità del partito Kulanu, ha approvato ieri alla Knesset, con lettura preliminare, la proposta di legge sulla «sanatoria» retroattiva degli avamposti coloniali ebraici, la Regulation Law, eretti in Cisgiordania anche su terreni privati palestinesi in violazione del diritto internazionale e della stessa legge israeliana. Il provvedimento passa ora in commissione. Se approvato dal Parlamento in via definitiva (dopo tre letture) potrebbe, tra le altre cose, salvare Amona, il più grande degli almeno 100 avamposti coloniali, di cui la Corte Suprema ha nuovamente chiesto lo sgombero entro il 25 dicembre perché costruito su terreni privati palestinesi.
Il premier Netanyahu e il ministro della Difesa Lieberman continuano a manifestare dubbi sulla Regulation Law proposta da Naftali Bennett, ministro dell'istruzione e leader del partito ultranazionalista «Casa Ebraica», sull'onda della vittoria di Donald Trump negli Stati Uniti. Bennett è convinto che Israele debba approfittare subito della posizione espressa da Trump durante la campagna elettorale e dopo il voto. Secondo il neo presidente le colonie ebraiche, in continua espansione nei Territori palestinesi occupati da Israele nel 1967, non rappresentano un ostacolo per la soluzione del conflitto. Per questo Bennett è stato il primo a sostenere la Regulation Law poi adottata e formalizzata da tre deputati della destra. Invece Netanyahu e Lieberman, che pure sono aperti sostenitori della colonizzazione, sono più prudenti.
Il ministro della Difesa (che vive nella colonia di Nokdim, a sud di Betlemme) ritiene che Israele debba trarre vantaggio in un modo diverso dalla linea della futura Amministrazione, richiedendo gli Usa di riconoscere le cosiddette «aree omogenee di insediamento ebraico in Cisgiordania». Si tratta di Ariel, Maaleh Adumim e Gush Etzion, i tre principali «distretti» coloniali in Cisgiordania. Washington, nella visione di Lieberman, dovrebbe pronunciarsi a favore della loro legalizzazione in cambio della rinuncia di Israele ad espandere le colonie più isolate. «Se la nuova Amministrazione Usa ratificasse la formula Bush-Sharon - ha affermato Lieberman riferendosi ad una intesa del 2004 tra George W. Bush e l'ex premier israeliano Ariel Sharon - non dovremmo più costruire altrove. Se possiamo concentrare le costruzioni in zone dove già abitano l'80 per cento dei coloni e non al di fuori, questa sarebbe una buona cosa».
Il ministro della Difesa ha anche rivelato che i consiglieri di Trump hanno inviato messaggi in cui chiedono a Israele di astenersi dal fare passi ulteriori in Cisgiordania prima che la nuova Amministrazione si sia formalmente insediata. I ministri israeliani più estremisti non hanno alcuna intenzione di aspettare mentre le 40 famiglie di Amona continuano a mobilitarsi, pronte a resistere, anche con la forza, all'ipotesi di evacuazione da parte dell'esercito e della polizia. Già dieci anni fa, quando fu ordinato lo sgombero di alcune case dell'avamposto (creato nel 1995), gli abitanti non esitarono a scatenare scontri violenti. E se dovesse intervenire l'esercito per evacuare Amona, potrebbero essere i palestinesi a pagarne subito le conseguenze.
Qualche giorno fa il sindaco israeliano di Gerusalemme, Nir Barkat, ha avvertito che di fronte alla «cacciata» dei coloni di Amona la sua amministrazione intensificherà la demolizione delle case arabe «abusive» nella zona Est della città. Proprio a Gerusalemme il movimento dei coloni, attraverso il loro braccio esecutivo nella città vecchia, l'organizzazione Ataret Cohanim, ha chiesto ai giudici di ordinare l'evacuazione di 72 famiglie palestinesi dall'area di Batan al Hawa, nel quartiere di Silwan. Si tratta di famiglie che vivono lì dagli anni Cinquanta, su terre che negli anni passati le autorità israeliane hanno trasferito, attraverso più passaggi, alla Ataret Cohanim, che ora vuole espellere i palestinesi e sostituirli con cittadini ebrei. Un anno fa la famiglia Abu Nab fu cacciata via perché viveva, secondo i documenti in possesso dei coloni, in un edificio che più di cento anni fa ospitava una sinagoga.
Per inviare la propria opinione ai quotidiani, telefonare:
Avvenire 02/6870510
Il Manifesto 06/689191
Oppure cliccare sulle e-mail sottostanti