Riprendiamo dal MANIFESTO di oggi, 11/11/2016, a pag. 7, con il titolo "Festeggia la destra israeliana: 'Gerusalemme sarà nostra' ", il commento di Michele Giorgio; dall' UNITA', con il titolo "La sua prima mossa è per Israele, colpo alla pace con i palestinesi", il commento di Umberto De Giovannangeli.
Tempo fa Michele Giorgio e Umberto De Giovannangeli erano i gemelli della disinformazione estrema contro Israele. Oggi UDG, dopo la svolta nel centrosinistra voluta da Renzi e il varo della nuova Unità, non scrive molto su Israele. Non più un gemello, dunque, ma un nipotino.
Il nipotino ogni tanto torna a scrivere sullo Stato ebraico, e lo fa disinformando. Su Michele Giorgio ci ripetiamo: ancora una volta scrive un articolo che gronda odio e propaganda e dipinge Israele come un Paese militarista che opprime i "poveri palestinesi", mentre nel suo articolo il terrorismo palestinese scompare sempre come per magia.
Ecco gli articoli:
Come funziona la disinformazione contro Israele
IL MANIFESTO - Michele Giorgio: "Festeggia la destra israeliana: 'Gerusalemme sarà nostra' "
Michele Giorgio
Sprizzano felicità da tutti i pori i coloni israeliani e i ministri ultranazionalisti del governo di destra di Benyamin Netanyahu. Il neo eletto Donald Trump confermerà quanto aveva promesso a vantaggio di Israele in campagna elettorale. Almeno questo è ciò che sostiene uno dei suoi consiglieri più noti, Jason Greenblatt, candidato alla posizione di inviato in Medio Oriente della futura Amministrazione americana. «Trump non vede nelle colonie ebraiche un ostacolo alla pace», ha detto Greenblatt intervistato ieri da Galei Tzahal, la radio delle forze armate israeliane. Il consigliere ha aggiunto che il presidente eletto considera un errore l'evacuazione delle colonie ebraiche a Gaza nel 2005.
Parole che hanno mandato in visibilio i coloni e i loro leader, alcuni dei quali seduti su importanti poltrone ministeriali. E devono essere state accolte con favore anche da Netanyahu. Il premier in queste ore evita di uscire allo scoperto ma la posizione di Trump è in linea perfetta con quanto lui va ripetendo da anni: la colonizzazione ebraica della Cisgiordania e di Gerusalemme Est è innocua e la responsabilità della tensione, delle violenze e del fallimento del negoziato è da attribuire soltanto ai palestinesi e ai loro leader. La voce di Greenblatt è diventata musica celestiale per i nazionalisti israeliani quando il consigliere di Trump ha garantito che la nuova Amministrazione non imporrà una soluzione di pace a Israele e, più di tutto, che confermerà la promessa di trasferire l'ambasciata statunitense da Tel Aviv a Gerusalemme. In questo modo gli Usa riconoscerebbero l'intera città, inclusa la zona palestinese occupata nel 1967, come capitale dello Stato ebraico.
«Trump è un uomo di parola», ossia non sarà come i suoi predecessori Democratici e Repubblicani, ha assicurato Greenblatt, «perché riconosce il significato di Gerusalemme per il popolo ebraico, a differenza dell'Unesco». Per il tycoonora fioccano gli inviti dei coloni e dei «templari» fautori della ricostruzione del Tempio sulla Spianata delle moschee di Gerusalemme. Il deputato Yehuda Glick, che a una conferenza sul tempio di qualche giorno fa ha incitato alla rottura dello status quo ribadito dall'Unesco con la sua risoluzione del mese scorso, ha invitato Trump a «salire» al Monte del Tempio. Poetico Yochai Damari, capo del Consiglio regionale delle colonie di Hebron. «Stiamo sentendo il battito delle ali della storia. Questa rivoluzione del 2016 mi riporta a 40 anni fa, alla rivoluzione del 1977 (quando la destra vinse per la prima volta le elezioni in Israele, ndr)...Se avremo successo potremo dire di essere all'alba di un nuovo giorno per gli insediamenti e per lo Stato di Israele nel suo complesso».
Un altro leader dei coloni Yossi Dagan, ricordando di aver attivamente aiutato la campagna di Donald Trump, ha esortato il governo a revocare il blocco alla costruzione di nuovi insediamenti perché, ha avvertito, il presidente americano eletto si sta rivelando più israeliano degli israeliani. «Conosco le persone che circondano Trump - ha spiegato - alcune donano agli insediamenti israeliani e sono anche più a destra di alcuni dei nostri ministri». Con queste premesse le intenzioni di Trump, se messe in pratica, si riveleranno una miscela esplosiva capace non tanto di far saltare l'ipotetico rilancio del negoziato israelo-palestinese - inutile peraltro visti i rapporti di forza e il fallimento ormai riconosciuto ovunque della soluzione dei «Due Stati», a causa proprio della colonizzazione - quanto di innescare gravi tensioni religiose nella regione.
Trump vuole regalare, definitivamente, Gerusalemme a Israele e non sembra rendersi conto di cosa comporterebbe questa mossa. Gerusalemme Est non è soltanto rivendicata dai palestinesi come loro futura capitale politica. La Spianata delle Moschee, nella città vecchia, è il terzo luogo santo dell'Islam e già troppe volte quelle pietre si sono bagnate di sangue di fronte ai tentativi di infrangere uno status quo che Israele si è impegnato a rispettare. L'ignoranza e l'ottusità politica del nuovo presidente americano rischiano di appiccare un incendio devastante in tutta la regione.
L'UNITA' - Umberto De Giovannangeli: "La sua prima mossa è per Israele, colpo alla pace con i palestinesi"
Umberto De Giovannangeli
La destra israeliana, saldamente al governo, avveva accolto con entusiasmo senza pari la vittoria di Donald Trump. E «Donny» non ha fatto trascorrere neanche un giorno per ripagare di tanto affetto. Con una promessa che se mantenuta getterà altra benzina sul fuoco di un Medio Oriente in fiamme.
Andiamo con ordine. Sono trascorse poche ore dall'annuncio della vittoria di Trump, che da Gerusalemme arrivano le prime entusiastiche dichiarazioni. «È finita l'era dello Stato palestinese», commenta Naftali Bennett, ministro dell'Educazione e leader del partito di destra religiosa «Focolare ebraico», espressione più oltranzista del movimento dei coloni. «La sua vittoria - ha aggiunto - è una formidabile occasione di Israele per annunciare l'immediata revoca del concetto di uno Stato palestinese nel cuore della nostra terra, che va direttamente contro la nostra sicurezza contro la giustezza della nostra causa». «Questa - ha proseguito Bennett - è la concezione del presidente eletto così come compare nel suo programma politico e di sicuro deve essere la sua politica».
A ruota, solo temporale, segue la dichiarazione di Benjamin Netanyahu. Il premier israeliano ha espresso soddisfazione per il risultato del voto. Trump «è un amico sincero dello Stato di Israele. Agiremo insieme per portare avanti la sicurezza, la stabilità e la pace nella nostra regione», ha detto il premier israeliano. «Il forte legame tra Usa e Israele si basa su valori, interessi e destino comuni. Sono sicuro che Trump ed io - ha concluso - continueremo a rafforzare l'alleanza speciale tra i due Paesi e la eleveremo a nuove vette». Per «Bibi» il mai amato Obama è già archiviato.
Un passo indietro, molto breve nel tempo. Venticinque Settembre 2016: il candidato repubblicano alla presidenza egli Stati Uniti incontra il premier d'Israele. Ecco la promessa: «Gerusalemme è stata la capitale eterna del popolo ebraico per oltre 3000 anni». Di conseguenza una amministrazioneTrump «riconoscerebbe Gerusalemme come capitale indivisibile dello Stato d'Israele», recita il comunicato emesso dallo staff di Trump al termine del «cordialissimo» colloquio con Netanyahu. L'allora candidato alla Casa Bianca parla dunque di Gerusalemme come della «capitale eterna del popolo ebraico per oltre tremila anni» e assicura che gli Usa sotto la sua amministrazione alla fine accetteranno il mandato (legge approvata nel 1995 ma mai attuata da alcun presidente, ndr) del Congresso a riconoscere Gerusalemme capitale indivisa dello Stato di Israele aveva reso noto in quell'occasione lo staff di «Donny».
Al neo presidente sembra importare poco o niente che quello dello status di Gerusalemme è da sempre uno dei nodi cruciali, mai sciolti, del conflitto israelopalestinese. E dalla sua memoria viene rimosso il fatto che per un miliardo e 600 milioni di musulmani Al Quds (Gerusalemme) è, con la Spianata delle Moschee, il terzo luogo sacro dell'Islam, dopo Mecca e Medina. Così come altro nodo strategico è quello della colonizzazione ebraica dei Territori palestinesi: su questa materia esistono tomi di documenti, di risoluzioni delle Nazioni Unite, di prese di posizioni critiche di tutti, o quasi, i leader europei (oltre che di tutti quelli arabi), nonché del presidente uscente Barack Obama e dell'attuale Segretario di Stato John Kerry. Trump va avanti sulla sua strada, tant'è che uno dei suoi dei più stretti consiglieri Jason Greenblatt dichiara alla Radio militare israeliana che il presidente eletto «non vede negli insediamenti un ostacolo alla pace». «Non appartiene certamente alla visione di Trump - ha spiegato - la condanna dell'attività di insediamenti», da parte israeliana. Greenblatt - in predicato secondo alcuni di essere nominato inviato di Trump per il Medio Oriente - ha poi confermato che l'ambasciata Usa sarà portata a Gerusalemme, come annunciato dal presidente in campagna elettorale.
L'isolazionismo professato da Trump non vale dunque per Israele. Ad esultare è anche il sindaco ultranazionalista di Gerusalemme, Nir Barkat: «In campagna elettorale - rimarca Barkat - il presidente eletto aveva ribadito più volte l'intenzione, in caso di vittoria elettorale, di trasferire l'ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme. Realizzare questa promessa sarebbe un fatto storico non solo per lsraele ma per tutti gli Ebrei». In un Medio Oriente in fiamme, Donald Trump rischia di divenire un «presidente piromane». In Terrasanta, ma anche in Siria, lasciando campo libero alla Russia di Putin e a un dittatore sanguinario come Bashar al Assad. E in Libia, disimpegnando l'America da ogni sforzo per porre fine al caos armato che da oltre cinque anni segna il Paese nord africano. Messaggio a Bruxelles e, in particolare, a Roma: vedetevela voi.
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