Riprendiamo oggi, 30/10/2016, due cronache sulla gaffe del vice minitro israeliano per gli affari regionali Ayoub Kara ( ne abbiamo scritto ieri http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=64246) La prima di Davide Frattini, sul CORRIERE della SERA a pag.5, la seconda di Leonardo Coen sul FATTO Quotidiano, a pag.8. Entrambi preceduti da un nostro commento.
Ayoub Kara
Davide Frattini: " La gaffe del druso Ayoub che stringe le mani della destra europea e tratta con i siriani"
Davide Frattini
La notizia della gaffe di Ayoub Kara, trova poco spazio sui quotidiani italiani, come è giusto che sia, una gaffe è una gaffe, uno scambio di scuse e stop. Fanno eccezione il Corriere della Sera - che paventa addirittura un annullamento della visita di Mattarella in Israele! - in un lungo articolo di Marzio Breda (che non riprendiamo) e con un commento di Davide Frattini, una sorta di biografia del vice ministro druso autore della infausta dichiarazione, che invece pubblichiamo. I due pezzi coprono l'intera pag.8!. Frattini ne racconta luci e ombre, a nostro giudizio molte più le prime delle seconde, utili per capire la personalità del vice ministro Kara anche se Frattini preferisce attribuirgli quella che ormai è l'accusa politicamente corretta che quasi tutti i giornalisti richiamano come una verità quando invece la verità, quella vera, ma che non si deve scrivere, è l'opposto: "Da viceministro per la Cooperazione regionale ha l’incarico di sussurrare ai Paesi arabi quello che il governo Netanyahu non può proclamare in pubblico. Cerca alleanze in Medio Oriente tra le nazioni sunnite ma è chiuso al dialogo con i palestinesi, rigido su questo punto quanto il suo capo: «Non c’è nessuna possibilità di negoziati con loro».Frattini lo sa bene, ma scrive l'incontrario, nel pezzo che segue:
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME
Il giorno in cui Benjamin Netanyahu gli ha dato l’incarico da viceministro Ayoub Kara è finito all’ospedale. «Stress da nomina» hanno diagnosticato i medici, il suo cuore si è calmato solo quando l’aritmia delle trattative con il premier si è stabilizzata e il politico druso ha ottenuto il premio per la fedeltà. Anche se avrebbe voluto una poltrona intera nel governo di destra: è l’obiettivo che ha sempre mancato, fino a ripetere nei comizi «non voglio finire come il Mahdat Yusuf della politica» riferendosi al giovane soldato druso lasciato a morire durante gli scontri con i palestinesi, erano gli anni della Seconda Intifada. Di venire abbandonato sul campo di battaglia diplomatico Kara ha già rischiato: nel 2010 aveva deciso di incontrare Heinz Christian Strache a Vienna e l’aveva esaltato come un «amico». La comunità ebraica austriaca aveva giudicato inaccettabile che un rappresentante israeliano stringesse la mano al leader di un partito xenofobo e aveva scritto una lettera di protesta a Netanyahu. Il primo ministro allora aveva perdonato uno dei suoi alleati più stretti nel Likud. E l’aveva graziato pure dopo un altro passo falso sulla mappa internazionale: quattro anni fa Kara aveva inviato un consigliere in Bulgaria a trattare con i capi dell’opposizione siriana, in contraddizione con la strategia israeliana di non intervento nel conflitto. I drusi raggiungono quasi il 2 per cento della popolazione e abitano per la maggior parte sulle alture del Golan, catturate alla Siria nel 1967 e annesse. Dall’altra parte del confine vivono cugini, fratelli, parenti lontani, travolti dal caos della guerra civile. Nell’ufficio in Parlamento, sotto al biancazzurro della bandiera israeliana, Kara ha appeso la preghiera per lo Stato ebraico che gli è stata regalata dai volontari di Zaka, gli infermieri religiosi che intervengono per raccogliere i resti delle vittime dopo gli attentati. È fedelissimo a Netanyahu e al Likud come suo nonno era fedelissimo alla nascente nazione: comprava terre in nome delle organizzazioni ebraiche nel Nord del Paese, due dei suoi figli furono uccisi dai nazionalisti arabi. Come tutti i drusi, gli unici arabi israeliani a prender parte alla leva obbligatoria, i Kara hanno combattuto con orgoglio nell’esercito. Ayoub ha perso due fratelli sul confine con il Libano, egli stesso è rimasto ferito. In politica non vuole essere identificato con le sue origini – «sono israeliano, punto» – e quando da ragazzo ha frequentato un istituto di studi agricoli vicino a Haifa è stato ospitato da una coppia di sopravvissuti alla Shoah: «Per me sono la mia famiglia. Recito i loro nomi ogni anno il giorno dell’Olocausto». Da viceministro per la Cooperazione regionale ha l’incarico di sussurrare ai Paesi arabi quello che il governo Netanyahu non può proclamare in pubblico. Cerca alleanze in Medio Oriente tra le nazioni sunnite ma è chiuso al dialogo con i palestinesi, rigido su questo punto quanto il suo capo: «Non c’è nessuna possibilità di negoziati con loro».
Leonardo Coen: "Mattarella, missione Israele, imbarazzi e l'ombra di Renzi"
Leonardo Coen
Pieno di supposizioni/pettegolezzi è la cronaca di Loeonardo Coen, come sempre impregnata di ostilità verso Israele, fino al punto di scrivere " Il Colle sconta le posizioni del premier", dove per 'Colle' va inteso Mattarella e 'premier' riteniamo Renzi. Le parole di Kara (un falco!) diventano "miserabili" - il che ci pare una enorme esagerazione - un aggettivo che Coen si guarda bene dall'usare nei confronti della risoluzione Unesco. Che poi l'essere Kara vice ministro della cooperazione ragionale "uno dei massimi responsabili israeliani", questa pure ci sembra una valutazione del tutto esagerata. Non manca un attacco a Renzi - sempre colpevole di tutto - anche delle scelte evidentemente autonome della Farnesina. Da notare l'uso del verbo "inviperito" attribuito a Netanyahu e all'Unione delle Comunità ebraiche italiane.
Ecco il pezzo:
Gerusalemme- Adesso che il nostro presidente Sergio Mattarella è in Israee per una visita di Stato di quattro giorni, con estensione ai Territori palestinesi, ci si affanna per minimizzare l'incidente di Roma. L'imbarazzo è palpabile. La condanna, da parte del governo israeliano, delle infelici e miserabili parole di un suo viceministro in visita al Vaticano che ha commentato, con acido cinismo, le scosse di terremoto dell'altra sera, non ne cancellano la rozzezza e la protervia: "Una punizione divina all'Italia per essersi astenuta dalla votazione dell'U-nesco sulla Città Vecchia di Gerusalemme che, a giudizio di Israele e delle comunità ebraiche del mondo, ha negato i legami millenari di Israele con l'ebraismo". "Condanniamo e ripudiamo quanto detto", ha infatti replicato il ministero degli Esteri israeliano, "sono affermazioni disdicevoli e sarebbe stato meglio se non fossero state pronunciate. Il viceministro Kara ha espresso le sue scuse, sottoscritte da questo dicastero. Sono parole che non rispecchiano in alcun modo le profonde relazioni tra i due popoli" e tra i due Paesi. Israele vuole chiudere in fretta la faccenda, per diramare il comunicato non è nemmeno stata attesa la fine dello Shah-bat, il giorno di riposo. Un segnale che è stato notato e raccolto, con la dovuta attenzione, a Roma, dove nei giorni scorsi, prima che sorgesse anche questa complicazione, si esprimeva il rammarico per una visita fatalmente offuscata dalla votazione sull'Unesco, che ha provocato l'interruzione dei rapporti di cooperazione tra l'agenzia delle Nazioni Unite ed Israele. La diplomazia è la spregiudicata arte dell'ipocrisia. Inutile nascondere che la già complicata visita in Israele del presidente Sergio Mattarella è stata avvelenata dalla (micatanto) incauta dichiarazione del druso Ayooub Kara, membro del Likud - formazione di destra che è il partito del premier Benjamin Netanyahu - nonché viceministro della Cooperazione regionale d'Israele, dunque uno dei massimi responsabili israeliani. Kara ha rozzamente dato flato alla rabbia. Non si può negare che la deprecata risoluzione dell'Unesco sui luoghi sacri di Gerusalemme è passata anche per l'astensione di parecchie delegazioni, tra le quali quella italiana. Renzi, dopo la visita alla Casa Bianca e i colloqui con Obama, ha clamorosamente sconfessato l'operato della nostra delegazione, ma ha atteso ben sette giorni per farlo. UNA PLATEALE tirata d'orecchi a Paolo Gentiloni, ministro degli Esteri, che è stato il parafulmine della Farnesina, con la quale Renzi in passato ha più volte polemizzato, come nel caso della nomina di Federica Mogherini odi quella del nuovo ambasciatore presso l'Unione europea. In un'intervista al Corriere della Sera, il premier ha spiegato, non senza arditi ragionamenti, che la scelta dell'Italia sulla Città Vecchia di Gerusalemme (l'abolizione dei nomi ebraici per il Monte del tempio o Spianata delle Moschee, in arabo) era stata dettata per accrescere il numero degli astenuti. Tesi che ha inviperito Gerusalemme e l'Unione delle Comunità Ebraiche italiane, non senza ragione, visto che sotto il Monte del Tempio c'è il Muro del Pianto. Kara è considerato un "falco" e non è nuovo a provocazioni di questo genere. Il problema è che le sue posizioni riflettono quelle dei più oltranzisti, uno che più volte ha detto che Israele non può "fare la pace coi palestinesi perché non c'è nessuno tra loro con cui fare la pace". Mattarella domani incontrerà il presidente israeliano Reuven Rivlin, ma il giorno dopo si vedrà a Betlemme con Mahmoud Abbas, il presidente palestinese, poisirecheràaGerico,al palazzo del califfo Hisham, restaurato dall'Italia e dove, il 20 ottobre scorso, è stato scoperto il più grande mosaico del Medioriente. Il Quirinale ci tiene a far sapere che il viaggio di Mattarella si svolge nel quadro di un atteggiamento politico ben preciso: promuovere il dialogo fra Israele e Palestina, all'insegna di una responsabilità condivisa per affrontare la situazione nell'area. Un'impresa, considerate le condizioni di assoluta instabilità della regione, con l'offensiva contro l'Isis, la guerra siriana, il ruolo di Iran, Arabia Saudita, Turchia, Russia.
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