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Il Foglio Rassegna Stampa
26.10.2016 Bret Stephens: 'Tradito da Trump, voterò Hillary'
Intervista a cura di Paola Peduzzi

Testata: Il Foglio
Data: 26 ottobre 2016
Pagina: 1
Autore: Paola Peduzzi
Titolo: «'Io tradito dal partito repubblicano'»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 26/10/2016, a pag. 1, con il titolo "Io tradito dal partito repubblicano", l'intervista di Paola Peduzzi a Bret Stephens.

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Paola Peduzzi

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Bret Stephens

Milano. Bret Stephens è da sempre contro Donald Trump, una volta disse che l’elezione di Hillary Clinton, che lui non ama per niente, è un “survival event”, una scelta per la sopravvivenza. Nella sua ultima column – sul Wall Street Journal tiene la rubrica “Global View”, per la quale ha vinto il Pulitzer nel 2013 – scrive che come i suoi genitori furono traditi dalla sinistra americana, ora lui si sente tradito dal Partito repubblicano. “Gli eroi politici di mio padre erano Franklin Roosevelt e Harry Truman. Mia madre fece la volontaria nella campagna del senatore Eugene McCarthy nel 1968. Ma il partito di George McGovern non era fatto per loro. Quando la sinistra si trasformò in ‘Amerika’, loro continuarono a fidarsi dell’America. Ora tocca a me vedere il Partito repubblicano che s’allontana da me”.

Bret Stephens non sa prevedere che cosa accadrà dopo il voto dell’8 novembre, ma “il Partito repubblicano è ora per me già ampiamente irriconoscibile”. Stephens va nel dettaglio, spiega che cosa è cambiato nelle questioni vere, importanti, non c’entrano soltanto l’immagine negativa di Trump, le sue uscite sulle donne o sulle elezioni truccate. C’entra che sull’immigrazione, nel dibattito del 1980 tra Ronald Reagan e George H. W. Bush, entrambi condividevano l’idea di creare una società aperta, nella quale “rendiamo possibile per gli immigrati venire qui legalmente con un permesso di lavoro e quando iniziano a lavorare e a guadagnare qui, pagano le tasse qui”.

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Donald Trump, Hillary Clinton

Nel “fervore populista di costruire un muro con il Messico e deportare milioni di esseri umani, dov’è il Partito repubblicano oggi?”, chiede Bret Stephens, aprendo così una serie di domande incalzanti che spaziano dal commercio – ricorda Adam Smith e Milton Friedman, “figure canoniche del conservatorismo”, e ricorda l’ultimo messaggio radio di Reagan presidente: “Dobbiamo stare attenti ai demagoghi che sono pronti a dichiarare guerre commerciali contro i nostri amici, indebolendo la nostra economia, la nostra sicurezza nazionale, l’intero mondo libero, mentre cinicamente sventolano la bandiera americana” – alla politica estera – “Tra le denunce di routine di Trump sui nostri alleati presunti scrocconi e Newt Gingrich che dubita del fatto che la Nato debba difendere l’Estonia da un’aggressione russa, tra l’attacco al globalismo di alt-right e il nuovo amore di Sean Hannity per Wikileaks e il suo fondatore, Julian Assange, dov’è il Partito repubblicano oggi?”.

Ma c’è soprattutto un discorso culturale, scrive Stephens: per anni i conservatori hanno pubblicato libri in cui sottolineavano l’importanza dell’indole, della personalità, per preservare le istituzioni democratiche. “Questi libri non erano sbagliati. La personalità conta. L’esempio di un leader colora la cultura dell’azienda, dell’istituzione, del paese che guida. Desideriamo un presidente che possa seguire le ‘Regole di civiltà e di comportamento dignitoso’ di George Washington. Regola numero uno: ‘Ogni azione fatta in compagnia dovrebbe mostrare qualche segno di rispetto per i presenti’”. Bret Stephens sa che riceverà un sacco di lettere in cui gli si contesta il fatto che Hillary Clinton ha una personalità pessima e che la sua presidenza sarà apocalittica, “queste deviazioni rappresentano la via usuale che seguono le persone quando cercano di giustificare gli sbandamenti morali della propria parte”. Ma Stephens non vuole stare in un partito con l’assunto “sempre più dubbio” che sia un po’ meno peggio dell’opposizione. “Se non posso avere indietro il mio Grand Old Party, preferisco aiutare a costruirne un altro”.

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lettere@ilfoglio.it

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