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Informazione Corretta Rassegna Stampa
11.10.2016 L’angelo della morte volteggia su Aleppo
Analisi di Mordechai Kedar

Testata: Informazione Corretta
Data: 11 ottobre 2016
Pagina: 1
Autore: Mordechai Kedar
Titolo: «L’angelo della morte volteggia su Aleppo»

L’angelo della morte volteggia su Aleppo
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)

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Aleppo

Dovremo sentire i tamburi della guerra apocalittica di Gog e Magog? Esistono culture la cui principale occupazione è distruggere se stessi e gli altri, dove la qualità della vita e la vita stessa non hanno più alcuna importanza. Ciò che conta sono l’onore, il sovrano, il potere e lo Stato, anche quando si tratta di uno Stato artificiale; tutto questo vale molto di più della vita di una popolazione pacifica che vorrebbe solo continuare a vivere.

La Siria sta esalando l’ultimo respiro. Da quando i ribelli anti-Assad hanno scelto i settori orientali di Aleppo come loro quartier generale, Russia e Siria hanno deciso che circa un quarto di milione di uomini, donne e bambini non meritino di vivere. Putin e Assad credono che la vita di 250.000 cittadini sia meno importante dell’eliminazione di qualche centinaio di ribelli, e molto meno importante del governo di Assad su Aleppo. Se la Russia avesse davvero voluto porre fine alla crisi, avrebbe acconsentito alla caduta dello Stato artificiale conosciuto come Siria. Per essere ricordato dopo la sua scomparsa nei libri di storia, come è avvenuto per URSS, Jugoslavia, Cecoslovacchia e prima ancora, per gli imperi ottomano e austroungarico, tutti erano un insieme di gruppi etnici e religiosi che non sono mai riusciti a diventare una nazione unita. Questo è stato il problema di fondo anche degli Stati arabi, e nel momento in cui è arrivata la resa dei conti, hanno smesso di funzionare.

Se la Russia avesse davvero voluto risolvere i problemi della Siria, si sarebbe accordata con gli americani e con chi sostiene i ribelli che combattono contro Assad, il macellaio alawita, per discutere come poter risparmiare i civili, lasciare le città come entità vitali e raggiungere l’unica conclusione possibile: che nessun alawita, considerato un eretico dai musulmani che costituiscono la maggior parte degli abitanti della zona, può governare a lungo in Medio Oriente. E’ questo, e nient’altro, il problema di fondo della Siria e non è certo sorto oggi. C’era già dietro alla rivolta dei Fratelli Musulmani contro Hafez, il padre di Bashar Assad, che tra il 1976 e il 1982 aveva lasciato sul terreno 50.000 morti.

La rivolta di oggi, iniziata nel 2010, ha già decuplicato quel numero di morti, mezzo milione di persone, e minaccia di continuare. La Russia sta investendo tutta la sua potenza militare (finora) convenzionale per mantenere in vita il regime di Assad, anche se non ha alcuna speranza di poter continuare a governare un Paese dove la maggior parte della popolazione lo vuole cacciare. Nel corso delle ultime due settimane la Russia ha alzato il livello della sua partecipazione e sta bombardando sistematicamente, con le forze aeree di Assad, i settori orientali di Aleppo e in particolare gli ospedali, dove lo staff medico ridotto all’osso e i feriti abbandonati senza cure, sono diventati scudi umani nelle mani dei ribelli. Ma questi ultimi agiscono secondo le leggi della guerra? Certo che no, ma ciò non può in alcun modo giustificare la risposta orribile di Russia e Siria.

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Vladimir Putin con Bashar al Assad

La situazione ad Aleppo, dove centinaia di migliaia di persone stanno morendo di fame, per malattie e bombardamenti, ha finalmente suscitato una reazione da parte del governo degli Stati Uniti d’America, che negli ultimi cinque anni e mezzo è stato a guardare in irresponsabile silenzio questo genocidio. Gli Stati Uniti hanno sospeso i colloqui con la Russia sul futuro della Siria, anche se questo gesto non ha avuto assolutamente alcun effetto, ad eccezione di una settimana durante la festa di Id al Fitr; in realtà ha dato alla Russia un minimo di copertura per l’escalation del suo coinvolgimento militare contro i civili di Aleppo. Gli Stati Uniti hanno anche minacciato di aumentare il loro sostegno ai ribelli se la Russia avesse continuato a bombardare Aleppo. Putin ha reagito spostando i missili terra-aria a lunga gittata S-300 al sistema antimissili terra-aria a Tartus, sostenendo che questo è soltanto un modo per proteggerne il porto militare. Proteggere da chi, esattamente? I ribelli non hanno alcuna forza aerea. La gittata di questi missili è di 200 chilometri e chiaramente mettendoli a Tartus, significa coprire l’intero spazio aereo del nord-ovest della Siria, incluse Aleppo e Latakia, nel caso in cui gli aerei occidentali vengano schierati contro i bombardieri di Assad, o, il cielo non voglia, quelli di Putin.

Un altro passo compiuto dalla Russia è quello di fermare i colloqui con gli Stati Uniti sulla limitazione da parte delle due nazioni dell’approvvigionamento di plutonio. Il plutonio non ha usi diversi da quelli militari, per cui limitando la quantità detenuta da ciascun Paese, dovrebbe ridursi il pericolo di una guerra nucleare tra le due superpotenze. La cessazione dei colloqui è un segnale eloquente che la Russia intende davvero mostrare i muscoli nei confronti degli Stati Uniti, i quali, da parte loro, stanno fingendo di aumentare le sanzioni economiche contro la Russia, introdotte pochi anni fa, quando la Russia aveva invaso l’Ucraina e annesso la Penisola di Crimea. Gli Stati Uniti sospettano che la Russia sia coinvolta nel progetto nucleare della Corea del Nord, a dispetto delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Dal canto suo, la Russia è coinvolta nell’industria nucleare/balistica iraniana, che ha permesso all’Iran di far approvare a proprio favore l’accordo nucleare dello scorso anno. Tutto questo fa trasparire che i bombardamenti su Aleppo sono la goccia che ha fatto traboccare il vaso, un passo di troppo per la Russia, che gli americani, con la presidenza Obama che volge al termine, non possono prendere sotto gamba per due motivi principali: il primo, il disinteresse di Obama verso la bandiera americana ormai ammainata in Medio Oriente e accettare che l’area si trasformi in una sfera di influenza russa. Una America perdente che se ne va dalla regione con la coda tra le gambe. Gli americani possono decidere di non combattere, ma sanno anche che cosa significa essere umiliati e lo vogliono evitare con tutte le loro forze.

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Barack Obama

Il secondo motivo sono le prossime elezioni Usa: Obama e Clinton si rendono conto che una sconfitta americana in Medio Oriente metterebbe l’amministrazione democratica, Obama oggi e Clinton se sarà eletta, in una posizione terribile di fronte agli elettori, i quali possono anche non volersi impegnarsi in una guerra, ma non sono d’accordo a essere rimossi con umiliazione da un’altra regione - oltre che dall’Ucraina - dove Putin ha semplicemente preso il sopravvento. Un’umiliazione ovvia che potrebbe anche portare a una vittoria repubblicana. Questo pone un dilemma difficile per l’attuale amministrazione: com’è possibile porre fine alla distruzione di Aleppo e al governo criminale di Assad, senza che gli Stati Uniti siano coinvolti e senza cedere ai dettami di Putin che vuole governare la futura Siria, quando la questione siriana è stretta nella morsa che stringe l'Ucraina, la Corea del Nord, l’Iran, i negoziati sul plutonio e le sanzioni economiche?

Il cerchio è troppo solido per essere fatto quadrare attraverso mezzi diplomatici, soprattutto perché l’America da un lato sta facendo di tutto per evitare di usare la propria forza, mentre dall’altro sta ancora usando il suo enorme potere nell’area. La storia delle relazioni internazionali non ha mai registrato una situazione simile tra le potenze mondiali; la Guerra Fredda tra USA e URSS si basava su una reale minaccia reciproca di pari portata che avrebbe potuto portare alla distruzione totale, in un’epoca in cui i Presidenti degli Stati Uniti hanno parlato e agito con decisione e hanno usato determinate azioni militari (ad esempio, la Guerra di Corea e quella in Vietnam). Oggi il confronto è tra una potenza globale che usa la propria forza senza ritegno per aiutare gli alleati e allargare i propri interessi, e un’altra potenza che ha deciso di non impiegare la forza, persino abbandonando alcuni paesi alleati.

L’America vede la distruzione della Siria e sa precisamente chi sarà chiamato a finanziare la sua ripresa. Ma ha già abbastanza problemi economici interni e non ha alcun desiderio di partecipare alla sua ricostruzione, anche se ha aiutato i ribelli. In quanto al futuro, ciò che è importante adesso, è che un quarto di milione di civili in Aleppo vogliono sopravvivere. La Russia, sicura di sé e della legittimità della sua causa, sta distruggendo la Siria senza battere ciglio, mentre Washington è paralizzata. Mai in passato si era presentata una simile situazione di squilibrio, ed è per questo motivo che non concordo con quegli analisti che ritengono che si stia per tornare alla Guerra Fredda.

La situazione odierna è completamente diversa e non può essere spiegata con termini presi dal lessico politico internazionale del passato. Dovremo sentire i tamburi di guerra apocalittica di Gog e Magog? Non lo so, non sono un profeta. Tuttavia, la situazione è preoccupante, perché qui in Israele viviamo in una regione fragile e piena di crisi, che una volta riusciva a risolvere i propri problemi, ma che ora sta diventando il terreno ideale per il conflitto tra una potenza internazionale che aspira all’egemonia globale e un’altra che è alla ricerca di una via d’uscita, con il minimo danno per se stessa e alla regione. E’ praticamente impossibile colmare il divario tra questi due opposti modelli di pensiero. E la mancanza di un collegamento potrebbe portare la regione a degenerare in una situazione in cui tutti saranno perdenti.

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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