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Corriere della Sera Rassegna Stampa
13.09.2016 Breve compendio di storia egiziana
Sergio Romano per una volta informa correttamente

Testata: Corriere della Sera
Data: 13 settembre 2016
Pagina: 49
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Le piaghe dell'Egitto: il suo ruolo nella regione»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 13/09/2016, a pag. 49, con il titolo "Le piaghe dell'Egitto: il suo ruolo nella regione", la lettera di Lorenzo Milanesi e la risposta di Sergio Romano.

Capita di rado che Sergio Romano scriva un articolo corretto. E' il caso di quello odierno: anche gli orologi guasti due volte al giorno segnano l'ora giusta. Nulla da aggiungere alla sua sintetica ricostruzione della storia egiziana degli ultimi decenni.

Ecco l'articolo:

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Sergio Romano

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Abdel Fattah Al Sisi

È ben strana la parabola politica dell’Egitto. Fino a una certa epoca, diciamo fino a Sadat o poco dopo, è stato considerato un anello importantissimo degli equilibri nel vicino Oriente. La funzione, poco a poco, è venuta meno come conseguenza degli attriti interni che hanno logorato, oscurandone il carisma, la credibilità internazionale. A tutto ciò si sono aggiunti i fatti libici. Ora è governato da una dittatura militare. Ma potrà, nel tempo, riacquistare il ruolo perduto e restituire alla zona il perduto fattore di equilibrio? 


Lorenzo Milanesi - Milano  


Caro Milanesi,
Negli anni in cui il suo presidente era Gamal Abdel Nasser l’Egitto fu uno Stato laico, panarabista e molto ambizioso. I giovani arabi della prima generazione post-coloniale, come Gheddafi, divoravano il suo libro (Filosofia della rivoluzione) e consideravano il leader egiziano un modello da imitare. Vi furono momenti, allora, in cui l’Egitto sembrò destinato a recitare in Medio Oriente una parte simile a quella dello Stato di Mohammed Ali e dei suoi successori nella fase della grande modernizzazione egiziana di stampo occidentale durante l’Ottocento. Il disegno fallì soprattutto per due motivi: il panarabismo parve a molti Stati arabi la maschera dietro la quale si nascondeva il nazionalismo egiziano e la vittoria israeliana nella Guerra dei sei giorni diminuì considerevolmente la credibilità militare del Paese.

Negli anni di Sadat e Mubarak l’Egitto fu un po’ meno laico. Molti dirigenti della Fratellanza musulmana lasciarono le prigioni in cui erano stati rinchiusi all’epoca di Nasser e alcuni di essi riuscirono, qualche anno dopo, a conquistare un mandato parlamentare sui banchi della opposizione. Ma fecero la loro apparizione sulla scena politica, contemporaneamente, gli estremisti islamici che uccisero Sadat durante una grande parata militare il 6 ottobre 1981. Prima di morire, tuttavia, Sadat aveva lasciato in eredità al suo successore la evoluzione positiva dei rapporti con Israele. Aveva perduto la guerra del 1973, ma con una azione militare che aveva riscattato il Paese dalle sue precedenti sconfitte; e aveva fatto a Gerusalemme un viaggio di riconciliazione e di pace. Mubarak ereditò quindi un Paese che aveva buoni rapporti con il suo vecchio nemico e con i maggiori Stati europei, poteva contare sull’amicizia e sull’aiuto finanziario degli Stati Uniti, sembrava capace di tenere a bada gli islamici senza ricorrere ai metodi di Nasser.

Questo edificio, come sappiamo, è crollato dopo le grandi rivolte arabe del 2011. Ma vi sono state anche responsabilità occidentali. Gli Stati Uniti e l’Europa hanno creduto che dalle dimostrazioni di piazza Tahrir sarebbe emerso uno Stato democratico e non hanno capito che dietro i giovani non vi erano partiti politici capaci di assicurare il governo del Paese. Sono stati colti di sorpresa dalla vittoria della Fratellanza musulmana nelle prime elezioni politiche dopo le dimissioni di Mubarak e hanno commesso un nuovo errore quando hanno creduto che la Fratellanza sarebbe divenuta un movimento liberal-democratico. Hanno tirato un sospiro di sollievo quando i militari hanno ripreso in mano il controllo della situazione, ma non hanno potuto dirlo ad alta voce perché il pubblico elogio di un maresciallo delle forze armate alla guida del Paese non sarebbe stato democraticamente corretto. Oggi il regime ha una maggiore stabilità ed è indispensabile alla guida della regione. Ma ha ancora molti nemici e li vede, in qualche caso, anche dove non ci sono.

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