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Il Foglio Rassegna Stampa
07.09.2016 Lo Stato islamico punta Roma. Ruolo ed errori della CIA in Siria
Analisi di Daniele Raineri

Testata: Il Foglio
Data: 07 settembre 2016
Pagina: 2
Autore: Daniele Raineri
Titolo: «La CIA ha un problema in Siria - La nuova rivista dello Stato islamico si chiama 'Roma'»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 07/09/2016, a pag. II, con i titoli "La CIA ha un problema in Siria", "La nuova rivista dello Stato islamico si chiama 'Roma' ", due servizi di Daniele Raineri.

Ecco gli articoli:

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Daniele Raineri

"La CIA ha un problema in Siria"

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Per anni il programma d’addestramento per ribelli siriani da parte dell’America e di alleati occidentali e regionali (soprattutto: Gran Bretagna, Arabia Saudita, Giordania) è stato un segreto custodito bene della guerra civile siriana. Si sapeva della sua esistenza, perché i ribelli gettati di nuovo nella mischia sui fronti della Siria parlano con i loro compagni e con i giornalisti, ma non c’erano immagini, video e informazioni dai campi di addestramento – nascosti sotto una cappa imperforabile di riservatezza – e non era possibile dare un minimo di contesto. Questo soltanto era noto: a partire dalla fine del 2012 circa, l’America trasferisce alcuni combattenti siriani selezionati in non meglio specificate basi militari in Giordania per un programma d’addestramento curato da istruttori americani e inglesi, ma anche di paesi arabi, che dura per un periodo imprecisato. Del numero di reclute selezionate si sa che è basso, così marginale che per adesso non ha fatto una differenza grande sul campo.

Questo programma a volte è citato dai grandi media: per esempio, in un pezzo del New York Times del settembre 2013 il presidente americano Barack Obama per rassicurare un senatore che lamenta l’assenza di iniziativa dell’America in Siria gli dice: “Cinquanta uomini addestrati da noi sono già entrati in Siria”. Il Washington Post e il Wall Street Journal hanno scritto a più riprese che il governo americano era sul punto di ingrandire il programma, ma poi la notizia è rimasta sospesa. Molti di questi uomini fanno parte del cosiddetto Fronte sud, che combatte a sud della capitale Damasco e vicino al confine con la Giordania. Quel fronte segue con più disciplina il ritmo delle decisioni politiche internazionali, segno che ha relazioni con l’esterno più strutturate, ed è meno compromesso con i gruppi jihadisti, perché ogni ibridazione rischia di fare perdere l’appoggio esterno.

Negli anni il focus di questi gruppi sponsorizzati è cambiato. Se prima erano forze addestrate per fare la guerra contro il governo di Assad, in modo da creare pressione, ora sono forze create e rispedite in Siria per lottare contro lo Stato islamico, che tra il 2012 e il 2014 è diventato un nemico prioritario in quell’area. Qui si scrive “programma” singolare, ma in realtà i programmi sono almeno due: uno che fa capo al Pentagono e un altro che è sotto la responsabilità della Cia. In entrambi i casi, c’è un uso generoso di uomini delle Forze speciali americane come addestratori. La parola più importante in questo preambolo è “selezionati”: sono combattenti siriani selezionati, quindi passati attraverso un processo che in inglese è detto “vetting” per indagare sul passato, i precedenti e l’ideologia di ogni recluta, in modo da escludere gli estremisti. Si tratta, come è facile comprendere, di una responsabilità pesante. I siriani che passano la selezioni sono “vetted”, e vetted infatti è diventato nella propaganda dello Stato islamico un sinonimo di “venduti, asserviti, fantocci”. In Siria ci sono anche le Forze democratiche siriane, formate soprattutto da curdi, appoggiate pure loro dalle Forze speciali di paesi occidentali.

Le Forze curde sono a nord, questi gruppi arabi in guerra pure loro in guerra contro lo Stato islamico sono invece più a sud, nella vastissima zona di deserto che da Raqqa attraversa la provincia di Deir Ezzor e arriva fino al confine iracheno, dove la città di al Bukamal guarda come in uno specchio una città irachena dall’altra parte del confine che si chiama al Qaim. Al Bukamal e al Qaim sono due città storiche dello Stato islamico: da lì durante la guerra contro gli americani passavano tutti i volontari che dalla Siria andavano a raggiungere gli uomini di Abu Mussab al Zarqawi (il capo dello Stato islamico di allora, che non si chiamava Stato islamico ma era in tutto e per tutto come lo Stato islamico, però con meno mezzi a disposizione). Quel pezzo di strada è uno degli snodi principali dei traffici dello Stato islamico e non è un caso che due delle ultime false morti di Abu Bakr al Baghdadi dichiarate troppo prematuramente dal governo iracheno siano state localizzate lì: perché è un posto dove è probabile che al Baghdadi passi avanti e indietro. I gruppi addestrati dagli americani hanno il compito di rendere questo via vai più rischioso, di intercettare gli spostamenti in quel corridoio (che corrisponde, guardando la mappa, al corso del fiume Eufrate) e se possibile, di liberare le città locali.

I gruppi inalberano i vessilli verde bianco neri dell’Fsa, l’esercito libero siriano, vale a dire di quei primi gruppi che a partire dal 2011 cominciarono una guerra contro il governo di Assad, ma ormai sono passati cinque anni: questi sono gruppi appena formati, non più di un anno di vita, e quelle bandiere stanno a significare che non si riconoscono nell’assortimento di milizie che oggi in Siria combatte in nome di Assad, ma che stanno dalla parte dell’opposizione. Per ora, tutta la loro attenzione è assorbita dagli estremisti. Dopo anni di opacità e di segretezza a proposito del programma d’addestramento militare americano, lo Stato islamico ha fatto a suo modo uno scoop. Durante un raid fallito da parte di uno di questi nuovi gruppi che si chiama “Nuovo esercito siriano”, lo Stato islamico ha catturato alcuni computer e telefonini dei combattenti vetted. Le immagini, i video e le chat audio estratte da quelle memorie elettroniche sono state usate dallo Stato islamico per confezionare un un video (messo su Internet la sera di mercoledì 27 luglio) che svela per la prima volta cosa succede all’interno delle basi giordane.

Fatta la tara alla propaganda jihadista, è il il documento più completo come sono addestrati e cosa fanno questi gruppi appoggiati dall’occidente in Siria. E’ una guerra invisibile e combattuta in silenzio da gruppi poco conosicuti e da cellule dormienti – ovvero da fazioni che sono all’interno dello Stato islamico e nell’attesa della liberazione collaborano passando informazioni contro gli estremisti e commettennedo atti di sabotaggio. Ora è diventata un po’ più visibile. Il Nuovo esercito siriano è spesso abbreviato in inglese come NSyA, da New Syrian Army, e per comodità lo si indica così anche qui. Il materiale trovato dallo Stato islamico è compromettente dal punto di vista degli estremisti: oltre a diversi primi piani degli istruttori e degli agenti occidentali che addestrano i siriani, ci sono anche scene che si combinano bene con la propaganda del gruppo. In una, per esempio, un consulente d’immagine biondo spiega a un comandante siriano come pronunciare il suo discorso davanti a una telecamera per risultare più convincente.

“Il movimento delle mani va bene, ma è meglio se stai fermo con le gambe. Non andare veloce, abbiamo tempo…”, dice l’istruttore americano in arabo. In un’altra scena lo stesso comandante si lancia in una citazione del Corano ma s’impappina, cosa che lo Stato islamico fa subito notare. Gli estremisti hanno messo un’abilità velenosa nel montaggio del video per far risaltare spezzoni che normalmente finirebbero negli scarti e invece qui assumono, fotogramma dopo fotogramma, la forza di un confessione di colpevolezza davanti a un tribunale islamista. Ci sono i normali momenti di relax, l’istruttore occidentale che balla per scherzo assieme alle reclute, le facce sceme davanti alla telecamera, i canti anti estremisti, le lezioni di tiro, gli uomini che indicano con orgoglio gli stemmi americani sui giubbetti antiproiettili, tutto trasformato in una serie di assist involontari al giudizio paranoico e omicida dello Stato islamico: “Siamo filo occidentali come ci dipingete”. In una sequenza gli uomini dello Stato islamico mostrano un ribelle seduto in classe durante una lezione, poi al poligono durante un addestramento e infine mentre è decapitato.

E’ da notare che i video prodotti dal gruppo, specie quelli importanti come questo, erano sottoposti all’approvazione di Abu Muhammad al Adnani, il leader dello Stato islamico ucciso il 30 agosto dagli americani. Chiediamo a Rao Komar, un giovane freelance americano che si è specializzato nel seguire l’NSyA e ha fonti interne nel gruppo, quando è avvenuta il combattimento in cui il gruppo ha perso il materiale compromettente nelle mani dello Stato islamico. “C’è stata una battaglia per liberare al Bukamal il 28 e il 29 giugno. Il Nuovo esercito siriano e i loro alleati hanno lanciato un’offensiva dalla loro base di al Tanf verso la città di al Bukamal controllata dallo Stato islamico nella Siria orientale. Il primo giorno l’NSyA e i suoi alleati hanno ottenuto qualche successo, hanno preso la vecchia base aerea in disuso di Hamadan, il villaggio di Sukkariya e parti di al Bukamal. Il secondo giorno sono stati spinti fuori da quell’area e costretti a retrocedere nel deserto.

All’offensiva hanno preso parte alcune centinaia di combattenti, anche se non tutti facevano parte del Nuovo esercito siriano. Il NSya era soltanto uno dei tre gruppi che partecipavano all’operazione, anche se ne aveva il comando. Altri gruppi dell’Fsa, Le forze del martire Ahmad al Abdo e L’esercito dei leoni dell’Est, hanno anche loro giocato ruoli importanti. Anche gli uomini di una cellula dormiente irachena appoggiata dagli americani, I fantasmi del deserto, hanno avuto un ruolo essenziale,i loro uomini hanno lanciato attacchi contro lo Stato islamico ad al Bukamal e contro aree a sud di al Qaim in Iraq”. Come funzionano l’addestramento e il vetting dei combattenti siriani? “Non si sa abbastanza per commentare sul processo di vetting e addestramento – dice Komar – Tuttavia, la maggioranza del NSya sono sunniti arabi del governorato di Deir Ezzor. Molti dei combattenti vengono dai vecchi gruppi dell’Fsa che sono stati cacciati dallo Stato islamico. Molti erano rifugiati in Turchia, prima che la Difesa americana li reclutasse. Alcuni combattenti del NSyA erano in altri gruppi del Fsa come L’esercito dei leoni dell’est. L’addestramento ricevuto dal NSyA è generalmente più accurato degli altri gruppi. Oltre all’uso delle armi da fuoco e all’addestramento base di fanteria, ci sono materie più complesse: come chiamare i raid aerei e l’appoggio dell’artiglieria , come usare i missili controcarro, come usare gli strumenti di comunicazione.

Nel video lo Stato islamico mostra l’equipaggiamento preso ai “vetted”, cosa c’è? “Il video dello Stato islamico mostra una grande quantità di armi ed equipaggiamento catturati dal NSyA, molto del quale è arrivato dagli americani. Un punto interessante: il video mostra molte munizioni ancora nelle scatole e certo equipaggiamento per le comunicazioni, entrambe cose che non si portano in prima linea. Quando l’NSyA è stato cacciato fuori da al Bukamal molta parte di questo materiale è stato abbandonato all’aeroporto abbandonato di Hamdan che serviva da base avanzata durante l’operazione”.

Cosa è andato male nell’offensiva? “L’operazione di al Bukamal è fallita per colpa di una combinazione di fattori. C’è qualche fatto che suggerisce che gli americani hanno tolto l’appoggio degli aerei per andare a bombardare a Falluja e che questo ha causato la sconfitta del NSyA, ma questo non è stato il solo motivo. Gli elementi delle tribù sunnite irachene come i fantasmi del deserto non sono riusciti ad avanzare contro lo Stato islamico ad al Qaim, e questo ha permesso ai rinforzi dello Stato islamico di arrivare e di colpire l’NSyA sia da ovest sia da est. La mancanza di uomini è un altro grosso problema perché l’NSyA e gli alleati hanno affrontato una forza dello Stato islamico più numerosa e arroccata in difesa. L’operazione potrebbe essere partita troppo presto, qualcuno dentro il gruppo dice che ci volevano più combattenti per vincere. Attaccare attraverso il deserto è difficile ed è molto facile per chi si difende arrivare ai fianchi di chi attacca, e sembra proprio quello che è successo perché il convoglio di NSyA e martiri di Ahmad al Abdo è caduto in un’imboscata dei combattenti dello Stato islamico durante la ritirata”, dice Komar al Foglio. E perché sono andati in battaglia con tutto quel materiale video con loro? “La perdita di quei dati è stata un grande fallimento da parte del NSyA. E’ probabile che anche quei dati siano stati estratti dai computer presi come bottino quando lo Stato islamico ha riconquistato il vecchio aeroporto Hamadan che era usato come una base avganzata dal NSyA durante l’offensiva”.

E ora, cosa succede in quella zona dopo questa sconfitta? “Al momento l’NSyA sta ancora conducendo operazioni ed è coinvolto da vicino nel fornire intelligence alla Colaizione sui bersagli dello Stato islamico da colpire in Iraq e in Siria. Sono stati impegnati anche in alcune missioni minori vicino Akashata (lungo il confine tra Iraq e Siria). Non è chiaro quali piani abbiano adesso, ma sono ancora una minaccia significativa contro lo Stato islamico in quell’area, anche grazie soltanto alla loro rete di cellule dormienti. Le operazioni contro lo Stato islamico sono aumentate nell’ultimo mese. In generale, l’NSyA dovrebbe riuscire a riprendersi dal punto di vista militare dalla sconfitta che ha subito ad al Bukamal, non è stato un colpo tale da mettere fuori combattimento iol gruppo. Però il materiale video fatto uscire dallo Stato islamico è stato molto dannoso per il prestigio del NSyA e ha causato alcune dispute interne al gruppo. L’NSya è stato cacciato dal Fronte dell’autenticità e dello sviluppo (Asala waal Tanmiya: un’alleanza di gruppi ribelli appoggiati da Stati Uniti e Arabia Saudita ) anche in parte per colpa di quel video della battaglia di al Bukamal”.

"La nuova rivista dello Stato islamico si chiama 'Roma' "

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La rivista dell'Isis (Rumiyah significa Roma)

Lunedì sera lo Stato islamico ha messo su Internet il primo numero della sua nuova rivista, “Rumiyah”, che in arabo è una forma desueta della parola Roma. La rivista è stata pubblicata da al Hayat, che è la casa produttrice del gruppo che si occupa delle traduzioni della propaganda in più lingue per raggiungere una audience più vasta. La rivista esce in sette lingue, tra cui inglese, russo, arabo, francese e uiguro (la lingua più diffusa tra i musulmani cinesi),in versioni che sono leggermente diverse a seconda della lingua. Rumiyah ci riguarda, perché rinnova ancora una volta un cocnetto cara alla propaganda baghdadista: la caduta di Roma è un obbiettivo a lungo termine del gruppo. La pubblicazione di Roma si va ad aggiungere a tutta un’altra serie di segnali minacciosi contro l’Italia che ronzano con maggiore frequenza dalle prodzuioni dello Stato islamico: l’inserimento di video di politici italiani come il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il premier Matteo Renzi e il minsitro degli Esteri Paolo Gentiloni; le citazioni di Roma sempre più isnistenti; le immagini di monumenti italiani come il Colosseo e la Torre di Pisa nei manifesti e nei video.

Non è affatto da escludere che lo Stato islamico abbia in preparazione un attacco contro Roma e che il nome della nuova rivista sia stato scelto per suonare come una profezia riguardo un fatto che deve ancora accadere – il gruppo islamista indulge molto in questo genere di schemi grandiosi. Lo Stato islamico ha altre riviste in lingue diverse dall’arabo, la più famosa è Dabiq, in inglese. Dabiq è un piccolo villaggio siriano a dieci chilometri dal confine con la Turchia che secondo la profezia sarà la scena della battaglia dell’Apocalisse tra l’esercito dell’Islam e quello del demonio.

Lo Stato islamico ama adattare quella profezia alla situaizone di adesso, autonominandosi come esercito dell’islam e mettendo le forze nemiche nel ruolo di armata diabolica. Oggi però Dabiq rischia di uscire presto fuori dal controllo dello Stato islamico, a causa dell’operazione “Scudo dell’Eufrate” comicniata il 23 agosto dall’esercito turco e da alcuni gruppi armati dell’operazione siriana. “Roma”, in questo senso, permette allo Stato islamico di essere meno legato a una profezia a scadenza ravvicinata. Del resto anche nel 2006 uno dei capi storici del gruppo, l’egiziano Abu Hamza al Muhajir, credeva che la fine del mondo fosse vicina e ordinò ai suoi uomini di disperdersi in tutto l’Iraq, in attesa degli eventi –– salvo poi ricredersi e rimangiarsi gli ordini. In fondo alla rivista un hadith, un detto attribuito al profeta Maometto, ricorda che prima cadrà Costantinopoli e poi cadrà Roma – e questo allunga ancora di più i tempi. Dabiq era aperta sempre da una citazione di Abu Mussab al Zarqawi (ucciso nel giugno 2006) sulla battaglia apocalittica che si preparava nel villaggio siriano. Rumiyah invece è aperta da una citazione di Abu Hamza al Muhajir: “O monoteisti, gioite, perché grazie ad Dio non riposerete dalle fatiche del jihad che sotto le fornde di olivo di Roma”.

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