Riprendiamo da LA STAMPA e da IL FOGLIO due servizi sui giri di vite del Sultano turco. Ci sarebbe da ridere se la situazione non fosse tragica. Fra tanto orrore - culturale e non - almeno una notizia positiva c'è: ai turchi verranno risparmiati i 'capolavori' del Premio Nobel Dario Fo, mentre in Italia continueremo a sorbirceli, come è giusto che sia, starà a noi evitarli.
La Stampa-Giordano Stabile: " Erdogan censura Shakespeare, in scena solo testi turchi " pag.14
Giordano Stabile
Anche Shakespeare minaccia la Turchia. Perlomeno lo «spirito nazionale» incarnato dagli autori locali. Quindi meglio toglierlo dal cartellone della più importante compagnia, il Turkish State Theatres, una vera istituzione culturale, che non stata risparmiata dall’opera di «pulizia» annunciata dal presidente Recep Tayyip Erdogan dopo il fallito golpe gulenista del 15 luglio. Qui la purga ha riguardato le persone ma anche le opere. E dalla stagione 2016-2017 sono spariti il Bardo inglese, Anton Cechov, Bertolt Brecht, e anche il nostro Dario Fo. Sostituiti dalle pièce di autori rigorosamente turchi. La stagione si apre il 4 ottobre, prevede otto opere che saranno portate in 65 teatri in tutto il Paese. «Siamo umanisti nazionalisti - spiega Nejat Birecik, vice presidente dell’associazione dei teatri di Stato -. Apriremo la stagione in tutti i teatri solo con testi locali per contribuire all’unità e all’integrità della patria e rafforzare i sentimenti nazionali e religiosi». «Il sipario della Turchia si apre con il Teatro turco» è lo slogan della stagione, che ha eliminato anche alcune opere turche non in linea con il nuovo spirito, come «La storia ottomana in fotografia» di Turgut Ozakamn e «Il vicolo cieco» di Tuncer Cucenoglu, già bandite durante la campagna elettorale dell’anno scorso. Per Orhan Aydin, un noto attore di teatro dissidente, è un atto «di fascismo». «Shakespeare, Brecht fanno parte della storia mondiale, sono autori immortali che hanno fatto grande anche lo State Theatres. Non ci sarebbe senza le loro opere. Come può rinunciarci?». E non ci sono solo le pièce cancellate ma anche «decine di attori, ballerini e registi» di altri teatri, finiti sotto inchiesta perché sospettati di «gulenismo»: «Birecik ha chiesto al teatro di Bursa di licenziare molti attori a contratto», per esempio. E basta un sospetto per finire nelle liste di prescrizione. Le purghe hanno investito anche il mondo dell’arte mentre è notizia di ieri che altri 820 militari sono stati cacciati dalle forze armate, e 648 di loro messi in galera. I giornalisti in carcere, altro dato comunicato ieri, sono 108. E poi c’è l’arresto di una reporter americana, Lindsey Snell, bloccata mentre cercava di attraversare il confine sulla Siria per realizzare un reportage sui ribelli. Un fermo che rischia di rendere ancora più tesi i rapporti fra Ankara e Washington, ai minimi termini dopo il fallito golpe, la richiesta pressante di estradizione verso la Turchia dell’imam Fetullah Gulen, rifugiato in Pennsylvania e ritenuto la mente del colpo di Stato, e l’operazione contro i curdi dello Ypg, alleati dell’America in funzione anti-Isis, in Siria. Con l’attacco a Shakespeare, però, secondo l’analista del Think Tank Clarion Project William Reed, la svolta conservatrice della Turchia post-golpe si incammina verso una direzione preoccupante. Una sorta di «repubblica islamica ottomana» che ricorda le prime fasi della rivoluzione khomeinista in Iran. Certo la Turchia, Paese sunnita e soprattutto ancora ufficialmente «laico», è diversa. Ma le politiche «contro le minoranze cristiana, ebrea, curda, yazida, alevita» stanno erodendo questo carattere secolare. Anche i crescenti sentimenti anti-occidentali ricordano la rivoluzione in Iran. La crisi alla base Nato di Incirlik non è finita, e la mobilitazione popolare per farla chiudere o «nazionalizzarla» continua con proteste e sit-in. Prendersela con Shakespeare e Brecht è il sintomo di qualcosa di più ampio. Perché lo «spirito nazionale» che rimanda alla gloriosa storia ottomana rimanda a «un impero musulmano», l’ultimo che assegnava anche il titolo di Califfo al sovrano di Istanbul.
Il Foglio-Editoriale: " Il potere di Erdogan sulla stampa estera "
Uno scandalo ancora più inaccettabile è l'assenza del governo francese, che pare non aver mosso un dito contro le minacce del sultano turco, in difesa di un giornale pubblicato in Francia. Una dimostrazione in più che il Je Suis Charlie Hebdo non è servito a nulla, visto come Hollande considera la libertà di stampa.
Un giornale turco con sede in Francia chiuderà dopo aver ricevuto centinaia di minacce di morte a causa delle critiche rivolte al presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Zaman, che è apertamente ostile al regime islamista in Turchia, ha annunciato la chiusura citando “rischi per la sicurezza”. Il direttore, Emre Demir, ha detto che il partito Akp di Erdogan è dietro le oltre duecento minacce di morte ricevute dal quotidiano parigino. Nel febbraio scorso, in Turchia, Zaman era stato commissariato dal governo con l’accusa di essere legato al movimento dell’imam Fethullah Gülen, indicato da Erdogan come l’istigatore del fallito colpo di stato. La repressione in Turchia ha avuto dunque conseguenze anche in Francia. In una intervista a Politis, il redattore capo di Zaman France denuncia “una vera e propria volontà di importare la repressione in Europa e in Francia”. Zaman non è certo il primo caso. Il presidente della Turchia ha querelato Mathias Döpfner, numero uno della Springer Verlag, la più grande e prestigiosa case editrice tedesca, perché aveva espresso solidarietà a Jan Böhmermann, giornalista della tv pubblica tedesca attaccato, messo sotto processo e condannato pubblicamente da Angela Merkel su richiesta di Ankara per avere fatto della satira contro il presidente turco. Erdogan ha ordinato l’arresto di Ebru Umar, giornalista turco-olandese che lo aveva irriso su Twitter, e ha intentato causa contro il giornale De Telegraaf, che ha pubblicato una caricatura di Erdogan come una scimmia che schiaccia la libertà di parola. Erdogan ha pure chiesto che venga processato il comico olandese Hans Teeuwen, che durante un intervento a Rtl si è scagliato contro il presidente turco, ricoprendolo di epiteti e concludendo che il “il sultano”, secondo lui, avrebbe ancora una fellatio in sospeso da praticargli. A chiudere gli occhi sulla guerra di Erdogan alla libertà di espressione si finisce con l’annuncio, apparso due giorni fa sul sito internet della testata turca con base a Parigi: “L’aventure Zaman France se termine”. Intanto, Can Dündar è esiliato a Berlino. Quanto impiegherà il sultano a mettere gli occhi sulle nostre di testate?
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