Riprendiamo da ITALIA OGGI, a pag. 14, con il titolo "Le Olimpiadi di Berlino e gli ebrei", l'analisi di Roberto Giardina.
"[Negli anni '20] Gli ebrei tedeschi si adoperarono vedendo nei giochi uno strumento di pacificazione e di normalizzazione dei rapporti internazionali. Hitler era contrario: lo spirito olimpico di de Coubertin contrastava con l´ideologia nazista, di una razza ariana superiore e dominante. I giochi furono assegnati a Berlino nel 1931, e due anni dopo, conquistato il potere, Hitler cambiò idea": questo in estrema sintesi il nucleo dell'analisi di Roberto Giardina, che mostra come - senza volerlo - gli ebrei tedeschi ebbero una parte nel concedere a Hitler su un piatto d'argento la possibilità, tramite le Olimpiadi, di una propaganda di cui non avrebbe dovuto beneficiare. Dal passato si devono trarre insegnamenti per il presente e il futuro. Con il nemico che ci vuole eliminare o sottomettere non si fanno compromessi, così come non si sarebbero dovuti cercare 'tedeschi buoni' quando la Germania cadde nelle mani dei nazisti.
Ecco l'articolo:
Roberto Giardina
Le Olimpiadi di Berlino cominciarono il primo agosto del 1936, un sabato, e il tempo era come oggi, cielo nuvoloso e autunnale. A ottant´anni dai giochi nazisti, mentre sono in corso le Olimpiadi a Rio, sono già apparsi diversi articoli rievocativi. E al cinema viene proiettato un film sulla vita di Jesse Owens, l´atleta di colore che rovinò una giornata a Hitler vincendo una medaglia d´oro sotto i suoi occhi. Si ricorda il documentario di Leni Riefenstahl, e la discriminazione degli atleti ebrei. Tutto già noto. In libreria, puntualmente, è apparso “Berlin 1936- Sechzehn Tage im August”, sedici giorni ad agosto (Siedler Verlag- 303 pag.; 19,99 Euro) di Oliver Hilmes. Una cronaca quasi ora per ora dell´Olimpiade che fu un trionfo per la propaganda del III Reich. Hilmes è nato nel 1971, aveva un anno quando si svolsero le Olimpiadi di Monaco, che videro l´attacco palestinese al villaggio olimpico: dieci atleti israeliani furono uccisi (alcuni probabilmente dai militari tedeschi nel tentativo fallito di liberarli).
Il suo libro è una cronaca ricostruita attraverso giornali, diari dei protagonisti, interviste, e tralascia l´aspetto politico dei giochi. Un tragico paradosso della storia, di solito trascurato, è che le Olimpiadi furono assegnate alla Germania grazie agli sforzi di influenti personalità ebraiche, nella Repubblica di Weimar. I tedeschi avevano cercato di ospitare l´Olimpiade già nel 1916, ma i giochi non si disputarono a causa della guerra. Dopo la sconfitta, la Germania partecipò solo nel 1928 all´Olimpiade di Amsterdam. Gli ebrei tedeschi si adoperarono vedendo nei giochi uno strumento di pacificazione e di normalizzazione dei rapporti internazionali. Hitler era contrario: lo spirito olimpico di de Coubertin contrastava con l´ideologia nazista, di una razza ariana superiore e dominante. I giochi furono assegnati a Berlino nel 1931, e due anni dopo, conquistato il potere, Hitler cambiò idea. Ma all´estero si protestava contro i giochi con la svastica: si diffondevano le notizie sulla persecuzione degli ebrei già in atto, e degli avversari politici internati a Dachau, il primo campo di concentramento.
Si era ancora in tempo a revocare l´assegnazione. Il “Baltimore Jewish Time” chiese ad Avery Brundage, presidente del Comitato Olimpico Usa, di ostacolare lo svolgimento dei giochi. Ma Brundage e il belga Henri de Baillet-Latour, presidente del CIO, risposero che non c´era nulla da temere. Gus Kirby, tesoriere del Comitato Olimpico americano, non si accontentò, fece pressioni su Brundage finchè questi si decise a partire per la Germania, e “controllare con i suoi occhi”. Niente per cui preoccuparsi, confermò al ritorno. Dopo, si difese sostenendo che nel suo viaggio era sempre stato circondato da funzionari nazisti che gli avevano impedito di “vedere”. Ma Brundage era a sua volta un antisemita, e nel suo club non erano ammessi gli ebrei. E dopo il viaggio in Germania, si era lamentato in diverse lettere agli amici che la stampa statunitense fosse sotto il controllo degli ebrei. E gli Stati Uniti nel selezionare i loro campioni esclusero diversi atleti ebrei “per non irritare il padrone di casa”.
Per fornire un alibi a Hitler, fu sfruttata anche la campionessa Helene Mayer, che a 17 anni aveva vinto la prima medaglia d´oro nel fioretto ai giochi di Amsterdam. Era bionda, alta, con gli occhi azzurri, uno “splendido esemplare ariano”. In realtà il padre di Helene Ludwig Mayer, un noto medico di Offenbach, era ebreo. Lei quindi, secondo la burocrazia nazista, era una Halb-Jüdin, una mezza ariana. Per calcolo, si poteva chiudere un occhio. La giovane viveva da tempo negli Stati Uniti, dove era molto nota. Charles Sherill, del comitato olimpico, si recò a Berlino per convincere il Führer: l´invito a Helene avrebbe tolto dai pasticci sia la Germania, sia gli americani. La ragazza avrebbe potuto rifiutare? Sarebbe ingiusto, direi crudele, tramutarla in una complice. Aveva 25 anni, era una fervente patriota, si sentiva tedesca, come gli ebrei che si erano battuti per portare i giochi a Berlino. E disse di sì, anche se il suo club sportivo di Offenbach l´aveva già espulsa. Partecipò all´Olimpiade del ´36 per vincere “davanti a Hilter”, ma fu sconfitta in finale dall´ungherese Ilona Elek-Schachter. La medaglia di bronzo andò all´austriaca Ellen Preis. La stampa nazista fu costretta a sorvolare che sul podio erano salite tre atlete ebree. Helene vinse il titolo ai campionati del mondo l´anno dopo, nel 1940 ottenne la cittadinanza americana, tornò in Germania solo nel 1952, morì l´anno seguente di cancro. A Monaco, una strada porta il suo nome, nel villaggio olimpico, a pochi metri da dove avvenne l´attacco palestinese.
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