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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
09.08.2016 Per Erdogan i nemici da combattere sono i curdi, non i terroristi dello Stato islamico
Commento di Marta Ottaviani, editoriale del Foglio

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Marta Ottaviani
Titolo: «Gas, accordi economici e patto anti curdi in Siria - Erdogan ha un'alternativa alla Nato»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 09/08/2016, a pag. 10, con il titolo "Gas, accordi economici e patto anti curdi in Siria", il commento di Marta Ottaviani; dal FOGLIO, a pag. 3, l'editoriale "Erdogan ha un'alternativa alla Nato".

Ecco gli articoli:

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Erdogan non bombarda lo Stato islamico ma i curdi

LA STAMPA - Marta Ottaviani: "Gas, accordi economici e patto anti curdi in Siria"

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Marta Ottaviani

Il presidente della Repubblica turca, Recep Tayyip Erdogan, lascia per la prima volta il Paese dal golpe fallito dello scorso 15 luglio e, dato significativo, come destinazione non ha scelto né l’Unione europea, né gli Stati Uniti, ma la Russia di Vladimir Putin. Proprio ieri, all’agenzia russa Tass, il capo di Stato di Ankara ha parlato di «nuovo inizio». «Nei colloqui con il mio amico Vladimir - ha dichiarato Erdogan - credo che si aprirà una nuova pagina nelle relazioni bilaterali». Sembrano lontani anni luce le tensioni di qualche mese fa, quando il presidente turco aveva reagito con rabbia alle parole del Capo del Cremlino, che aveva accusato lui e la sua famiglia di commerciare petrolio proveniente dai territori controllati dallo Stato islamico. La visita di oggi potrebbe vedere la nascita di un nuovo asse destinato a pesare sulla geopolitica di tutta la regione.

La via della seta
Quello che oggi planerà a San Pietroburgo è un Recep Tayyip Erdogan pieno delle migliori intenzioni, ma anche molto determinato: si presenterà al cospetto di Putin con il sorriso, ma non certo con il cappello in mano. Il Capo di Stato di Ankara sa perfettamente che il ripristino delle relazioni economiche ai livelli precedenti l’abbattimento del caccia russo dello scorso 24 novembre conviene a entrambi. Se la Mezzaluna infatti rischia un danno da quasi 10 miliardi di dollari, anche per Mosca, secondo partner commerciale della Turchia, significherebbe una boccata di ossigeno. C’è poi una proiezione comune sui mercati dell’Asia Centrale e dell’Estremo Oriente. Ankara sembra sempre più ansiosa di entrare di forza, anche per diminuire la dipendenza dall’Europa e dagli Stati Uniti, che con i loro investimenti rappresentano i maggiori finanziatori del boom economico del Paese.

Un nuovo Mediterraneo
Ma i punti più caldi dell’incontro fra i due capi di Stato riguarda l’agenda internazionale. Il vero motivo degli ultimi dissapori fra Ankara e Mosca ha un nome solo: Siria. Più volta Vladimir Putin aveva messo in guardia Erdogan in persona dall’immischiarsi negli affari di Damasco. Il presidente turco non gli ha dato retta e oltre a non aver ottenuto la caduta di Bashar al-Assad, la destabilizzazione della Siria si è tradotta in un flusso di rifugiati sul territorio nazionale che ormai sfiora i tre milioni e che nonostante l’accordo con l’Unione europea sta creando non pochi problemi di ordine interno ed economico. Erdogan porta in dote a Putin un Paese sotto il suo stretto controllo, forze armate incluse, ma soprattutto la buona volontà di ricucire con l’ingombrante vicino. Ma, anche in questo caso, è pronto a chiedere in cambio un adeguato compenso. Sono almeno due le richieste che Erdogan metterà sul piatto in cambio di vedere Assad rimanere al suo posto. La prima è garantire l’indivisibilità del suolo siriano. Questo significherebbe impedire la formazione di una regione autonoma controllata dai curdi sul modello di quella irachena, che potrebbe dare vita a nuove rivendicazioni nella minoranza che vive sul suolo turco e che ha già molte tensioni all’attivo con il governo di Ankara. La seconda è indulgenza nei confronti del Fronte Al-Nusra, una delle realtà dell’opposizione siriana contro Assad, recentemente uscito da Al Qaeda.

IL FOGLIO: "Erdogan ha un'alternativa alla Nato"

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Recep Tayyip Erdogan

La gigantesca manifestazione di domenica a Istanbul in favore del governo turco del presidente Recep Tayyip Erdogan e contro il fallito golpe del 15 luglio, con oltre un milione di persone in piazza e la partecipazione di quasi tutti i partiti d’opposizione (esclusi i curdi dell’Hdp) è una prova di forza impossibile da ignorare. Ogni atto politico di Erdogan è un messaggio inviato a un interlocutore, e con il bagno di folla domenicale il presidente turco ha inteso mandare due messaggi ben chiari fuori dai confini del paese: che non è mai stato tanto forte e che la Turchia, per la stragrande maggioranza, sta con lui – poco importa se a facilitare il sentimento di unità nazionale sono intervenute purghe e licenziamenti che hanno interessato decine di migliaia di oppositori e cittadini turchi. Messaggi innegabili, che Erdogan, come suo solito, ha tinto di una decisa retorica anti occidentale.

Se la settimana scorsa era il turno delle accuse all’Italia per le indagini sul figlio del presidente capaci di minare i rapporti tra i due paesi e per le dichiarazioni dell’italiana Mogherini, domenica è toccato alla Germania, “fomentatrice di terroristi” del Pkk. Durante la manifestazione, continuo è stato l’accenno a nemici esterni che avrebbero sostenuto e propiziato il golpe da fuori. Quando oggi Erdogan vedrà il suo omologo russo Vladimir Putin a San Pietroburgo, per sancire un disgelo dopo un anno di tensioni, il messaggio di Erdogan diventerà ancora più chiaro: il sultano sta cercando, con questa e altre manovre, un’alternativa a un’alleanza con l’occidente e con la Nato che rischia di rivelarsi non più conveniente o troppo stretta per le sua ambizioni smisurate.

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