Riprendiamo dalla STAMPA di oggi 08/08/2016, a pag. 6, con il titolo "Belgio, l'Isis rivendica l'attacco: 'A Charleroi un nostro soldato' ", la cronaca di Leonardo Martinelli; dal CORRIERE della SERA, a pag. 7, con il titolo "Charlie Hebdo, la beffa del 'terzo uomo'. Scagionato dalla polizia: è un terrorista?", la cronaca di Elisabetta Rosaspina.
Gli errori che l'Europa continua a commettere nella lotta contro il terrorismo islamico sono enormi. Il terrorista di Charleroi aveva due decreti di espulsione ma poteva circolare comodamente in Belgio; inoltre non era in carcere perché "mancavano posti liberi".
Se è in questo modo che l'Occidente intende difendersi dalla guerra scatenata dal terrorismo islamico, questa guerra verrà persa. Francia e Belgio sono soltanto esempi che ben rappresentano l'incapacità di fronteggiare con fermezza i pericoli che sovrastano tutti noi. Il discorso vale anche per la Francia.
Ecco gli articoli:
LA STAMPA - Leonardo Martinelli: "Belgio, l'Isis rivendica l'attacco: 'A Charleroi un nostro soldato' "
Leonardo Martinelli
Soldati di guardia alla stazione centrale di Bruxelles
Si chiama Hakima Dhamna, poliziotta belga e musulmana praticante. Delle due agenti a essere aggredite a colpi di machete, nel pomeriggio di sabato, a Charleroi, è la più grave: è già stata operata a più riprese, per delicati interventi di chirurgia plastica e ricostruttiva. E non è finita, anche se dovrebbe essere fuori pericolo.
Musulmano era anche il giovane algerino, 33 anni, all’origine dell’attentato, rivendicato ieri dallo Stato islamico attraverso l’agenzia ufficiale Amaq: un clandestino, ma in Belgio già dal 2012, fuori dai radar dell’intelligence, ma una vecchia conoscenza della polizia per aver commesso reati comuni.
Dopo quest’assalto choc, in pieno giorno, è aumentata la presenza della polizia a Charleroi e più numerosi sono diventati i controlli per strada. Dopo gli attentati a Bruxelles, lo scorso 22 marzo, gli sforzi di prevenzione si erano concentrati sulla capitale. Ma il premier Charles Michel ha deciso di rafforzare la presenza delle forze dell’ordine anche nelle città più piccole e meno scontate, come Charleroi. Qui, comunque, al commissariato di polizia, già dal sabato sera hanno voluto assicurare l’accesso del pubblico, quasi a mostrare che non saranno i terroristi ad averla vinta.
Sabato, poco prima delle 16, Hakima e la sua collega, Corinne Raymond, entrambe sulla quarantina, con una notevole esperienza alle spalle, assicuravano proprio i controlli di accesso all’edificio, sul boulevard Pierre Mayence. L’uomo ha subito estratto il machete dal suo zainetto e si è avventato sulle due donne, prima di essere colpito dagli spari di una terza poliziotta.
Corinne ha riportato ferite meno gravi, ma ieri è stata comunque sottoposta a un secondo intervento con l’obiettivo di ripristinare l’uso della mascella. Sia lei sia Hakima appartengono alla polizia investigativa: non dovevano fare quel tipo di controlli, ma alla polizia di Charleroi sono sotto organico, come in tutto il Belgio, alle prese con le necessità di sicurezza post attentati. E così avevano accettato quel turno. Ed è stata forse la loro esperienza a impedire il peggio: che l’uomo entrasse nel palazzo e facesse una strage. Lui ha afferrato Hakima, la voleva sgozzare. Ma lei ha reagito e si è salvata, anche se poi lui ha infierito sul suo volto. La famiglia di Hakima, che non è sposata e non ha figli, è «completamente sotto choc, perché lei è una musulmana praticante e per loro tutto questo è ancora più assurdo, doppiamente incomprensibile», hanno detto i colleghi.
L’uomo, che è morto sabato, per le ferite riportate, si trovava in Belgio dal 2012. E, come indicato da Theo Francken, sottosegretario belga responsabile dei migranti, era già stato oggetto di due decreti di espulsione, verso il suo Paese d’origine, l’Algeria, che, però, non avrebbe voluto riprenderlo. Il giovane, che viveva a Charleroi, dove frequentava una moschea salafita, sarebbe dovuto finire in carcere, ma non era stato possibile, per mancanza di posti in cella. La polizia ha già effettuato diverse perquisizioni al suo domicilio e presso la sua famiglia, ma non è ancora chiaro se avesse dei fiancheggiatori o se si trattasse di un lupo solitario, che da solo si è radicalizzato. Per l’Isis, in ogni caso, non ci sono dubbi: in un comunicato l’hanno riconosciuto come «uno dei soldati dello Stato islamico».
CORRIERE della SERA - Elisabetta Rosaspina: "Charlie Hebdo, la beffa del 'terzo uomo'. Scagionato dalla polizia: è un terrorista?"
Elisabetta Rosaspina
Contro le armi dei terroristi le matite non bastano
Scagionato da qualunque responsabilità nella strage di Charlie Hebdo , il giovane cognato di Sherif Kouachi, uno dei due fratelli assassini, è stato intercettato al confine turco mentre cercava, probabilmente, di raggiungere la Siria per arruolarsi nelle fila dell’Isis. La notizia, pubblicata ieri dal settimanale francese Le Journal du Dimanche , getta un’altra ombra sull’efficienza dei servizi segreti nazionali e occidentali che il ventenne Mourad Hamyd, se davvero stava seguendo la rotta del jihad, è quasi riuscito a beffare. Per 50 ore, subito dopo l’attentato del 7 gennaio 2015 al giornale satirico, il ragazzo — allora studente liceale — era stato arrestato e sospettato di essere «il terzo uomo», come minimo il «palo» dei fratelli Said e Sherif Kouachi, cui la polizia stava ancora dando la caccia.
Accompagnato dal padre, Mourad si era presentato spontaneamente, la mattina dell’8 gennaio, al commissariato della sua città, Charleville-Mézières, 230 chilometri a nordest di Parigi: un amico lo aveva avvisato che il suo nome circolava in Internet quale presunto complice della coppia di killer, che due giorni più tardi sarebbe stata eliminata in una sparatoria con la polizia. Ma Mourad aveva da opporre l’alibi di ferro fornito dai compagni di classe e dagli insegnanti del liceo Gaspard-Monge: la mattina dell’assalto a Charlie Hebdo il ragazzo risultava nel suo banco, a seguire le lezioni di matematica e filosofia. Nel pomeriggio era andato a fare compere e a scuola guida, del tutto ignaro del massacro appena compiuto a Parigi dal marito di sua sorella Izzana, Sherif, che del resto sosteneva di vedere di rado. La sua sorpresa e la sua indignazione, mentre protestava per il suo nome «infangato» e il suo avvenire «compromesso», apparivano genuini, l’alibi teneva, e Mourad è tornato alla sua vita di anonimo maturando, ha ottenuto il diploma, si è iscritto alla facoltà di Scienze e Tecnologia, senza più far parlare di sé.
Le indagini avevano restituito il ritratto di un ragazzo tranquillo, addirittura timido, religioso ma senza eccessi, figlio minore un operaio marocchino dipendente della Citroën. Mai un problema nel suo quartiere, neppure una denuncia a suo carico. Un anno, sette mesi e tre settimane più tardi, quello stesso ragazzo si presenta al confine fra la Bulgaria e la Turchia con, nello zaino, un guardaroba non propriamente da escursionista: divisa paramilitare, guanti, scarpe pesanti. Non ha armi con sé, ma gli agenti alla frontiera drizzano le antenne. Qualche giorno prima, il 25 luglio scorso, i genitori di Mourad ne hanno denunciato la scomparsa. Non credono che sia partito in vacanza. Ammettono di temere che sia diretto in Siria o in Iraq. Nel 2008, l’anno delle nozze con Izzana, Sherif Kouachi era stato arrestato poco prima di sparire in Medio Oriente, e condannato a tre anni per aver partecipato al reclutamento di uomini per Al-Zarqawi, «l’emiro di Al Qaeda» in Iraq. Il fratello, Said, negli anni successivi andava a veniva con lo Yemen. Informata della segnalazione dei genitori, la Procura di Charleville-Mézières si rivolge alla polizia giudiziaria di Reims, che conferma: Mourad risulta schedato con la lettera «S» dei soggetti pericolosi per la sicurezza dello Stato. Quelli che hanno dato segni di fanatismo, che hanno tentato di raggiungere i campi battaglia del Califfato, o ne sono tornati.
Sono le persone quantomeno da tenere d’occhio e sono già più di ventimila in Francia, metà delle quali per eccesso di simpatie islamiste. Il 28 luglio Mourad viene fermato al suo ingresso in Turchia dalla Bulgaria dove è arrivato in treno attraverso l’Ungheria e la Serbia. I servizi turchi informano gli omologhi francesi e lo inviano in un centro di detenzione in attesa di approfondimenti. Gli uffici dell’antiterrorismo di Parigi emettono un ordine di cattura internazionale, mentre si aprono spiacevoli interrogativi: Mourad è riuscito a ingannare tutti fin dall’inizio? Oppure è stato sedotto dalle sirene del Califfo in tempi più recenti? O, ancora una volta, è vittima di un errore? La risposta, sperano gli investigatori, verrà dall’analisi del suo computer e del suo telefono cellulare. Il più presto possibile.
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