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La Repubblica Rassegna Stampa
07.08.2016 La folle invenzione del paradiso islamico
Commento di Kamel Daoud

Testata: La Repubblica
Data: 07 agosto 2016
Pagina: 24
Autore: Kamel Daoud
Titolo: «Il Paradiso del jihadista»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 07/08/2016, a pag.24, con il titolo "Il Paradiso del jihadista", il commento di Kamel Daoud

Per avere info sul coraggioso scrittore algerino, tra le molte pagine di IC, cliccare su questo link: http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=4&sez=120&id=62078

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Kamel Daoud

BIisognerebbe un giorno rappresentare topograficamente il paradiso secondo l'immaginario musulmano, ma non solo di epoca medioevale, perché per molti musulmani il paradiso è ancora oggi al centro del dibattito politico, della predicazione e dell'immaginario. Il paradiso come obiettivo per l'individuo o il gruppo ha gradualmente
sostituito il sogno dello sviluppo della stabilità e della ricchezza promessi dalla decolonizzazione postbellica nel cosiddetto modo arabo.
Oggi si immagina un futuro felice solo dopo la morte, non prima . Il paradiso è addobbato di delizie fantasticava l' editorialista di un quotidiano islamista algerino durante l'ultimo Ramadan, il mese del digiuno, per poi passare a descrivere le piacevolezze e le gioie che attendono i fedeli dopo la morte.
Questo paradiso fantastico dipinto come luogo di piaceri, con sesso e vino, gioielli d'oro e abiti di seta è l'opposto della vita terrena e delle frustrazioni vissute nei paesi arabi afflitti da problemi economici, guerre e sanguinose dittature.
Il Firdaus ( lontano antenato del termine "paradiso," di derivazione persiana) veniva promesso dal Corano ed è stato descritto nei secoli con dovizia di particolari dalla letteratura religiosa Ma negli ultimi anni il paradiso è diventato anche la terra sognata dai poveri, dai disoccupati, dai fedeli - e dai jihadisti, grazie a certe elite religiose che lo propugnano nella loro strategia di reclutamento.
E una nuova versione del concetto di felicità imperante mezzo secolo fa. All'epoca i paesi del Magreb e del Medio Oriente - nati dalla decolonizzazione spesso ottenuta con la violenza contro le forze occupanti che avevano loro imposto guerre, povertà e miseria - speravano in un futuro di indipendenza, egualitarismo, sviluppo, benessere, giustizia e coesistenza pacifica.
Quell'utopia realizzabile perseguita dalle elite socialiste, comuniste e persino da alcune monarchie, era un sogno politico comune che legittimava i nuovi regimi agli occhi dei rispettivi popoli e dei governi stranieri. La decolonizzazione fu l'epoca dei grandi slogan sullo sviluppo dei popoli e la modernizzazione grazie a grandi progetti infrastrutturali.
Ma quel sogno non ha retto al passare del tempo per colpa della crudeltà di quei regimi autoritari e per gli insuccessi politici della sinistra nel mondo arabo.
Oggi bisogna essere musulmani - per fede, cultura o luogo di residenza - per avere piena consapevolezza della nuova utopia, l'utopia post-mortem che circola nell'Islamosfera di Internet e degli spazi mediatici, che condiziona l'immaginario delle persone, il linguaggio politico, i sogni da bar e la disperazione delle giovani generazioni.
Il paradiso è tornato in voga, descritto in dettagli incredibili da predicatori, imam e dalla letteratura islamista.
Il punto forte di queste descrizioni sono le donne, promesse in gran numero come ricompensa per i giusti. Le donne del paradiso, le houris, sono vergini belle, sottomesse e languide, che alimentano una forma allucinante di islamismo erotico a cui i jihadisti aspirano e che spinge gli altri uomini a fantasticare per sfuggire all'insoddisfazione sessuale nella vita quotidiana.
Attentatori suicidi o misogini, il sogno è lo stesso.
E il paradiso delle donne? Se gli uomini possono avere a disposizione decine di vergini che cosa aspetta le donne, considerando i pregiudizi maschilisti di quelli che sulla terra creano i sogni? I predicatori danno risposte anche divertenti: la ricompensa della donna è essere sposa per l'eternità, i coniugi sono destinati a godere di perpetua felicità coniugale, in buona salute, fermi all'età simbolica di trentatrè anni. E se la donna è divorziata? Un predicatore risponde che nell'aldilà si risposerà con un uomo a sua volta divorziato.
Stranamente questo sogno del paradiso musulmano si trova di fronte un altro sogno, al contempo opposto e analogo: l'Occidente. Luogo di passioni o di odio per il credente musulmano come per il jihadista, l'Occidente licenzioso rappresenta un'altra faccia del paradiso musulmano.
Si sogna di andarci, da migrante o da martire. Si sogna di andare in Occidente, di vivere e morire là o di sottometterlo e distruggerlo. La nuova utopia del paradiso musulmano oggi pesa sul mondo arabo. Motiva le masse, dà senso alla loro disperazione, le aiuta a sopportare la realtà e compensa la tristezza, come faceva ai tempi della decolonizzazione la promessa di un paese ricco e felice.
Ma il paradiso nell'aldilà alimenta fantasie che creano malessere, perché anche se lo si vuole ignorare, nel profondo si è consapevoli che prima di andare in paradiso bisogna morire.
Traduzione di Emilia Benghi

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