Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 05/08/2016, a pag. 26, con il titolo "L'estremismo dell'Isis è totalitarismo religioso", l'analisi di Giovanni Belardelli.
Citare Hannah Arendt sull'argomento "totalitarismo" dopo che grazie a lei Heidegger si è salvato da Norimberga ci sembra inopportuno.
"Come il nazismo puntò a sterminare qualunque ebreo, così l’Isis esorta a uccidere a caso, qualunque cristiano o europeo, qualunque islamico considerato infedele", sottolinea Belardinelli, ma dimentica che il Corano esorta a uccidere l'ebreo in ogni circostanza anche se si nasconde "dietro l'albero".
Lascia perplessi anche la citazione positiva dell'editoriale di Alessandro Rosina su Avvenire, che "ha chiamato in causa il «nodo esplosivo» tra terrore e giovani determinato dall’inasprimento delle disuguaglianze legato alla crisi economica": una vulgata irrealistica tipica del pensiero politicamente corretto di Papa Bergoglio, che in Avvenire trova i suoi primi seguaci.
L'unica cosa positiva è il mancato uso dell'aggettivo "radicale". Ci auguriamo che altri seguano l'esempio.
Ecco l'articolo:
Giovanni Belardelli
Sulla copertina di "Dabiq" un terrorista islamico abbatte una croce
È fondato, e soprattutto serve a qualcosa, considerare il terrorismo dell’Isis come un fenomeno di tipo totalitario, se non anzi il nuovo totalitarismo del XXI secolo? La domanda e il paragone che sottende si sono affacciati più volte nei commenti delle ultime settimane o mesi, soprattutto nella forma di un confronto tra il terrorismo islamista e il nazismo. In effetti, se pensiamo ai due grandi totalitarismi del ‘900, quello di Hitler e quello di Stalin, è soprattutto al primo che rimanda il terrorismo islamista di oggi, per quell’elemento nichilistico che era appunto caratteristico del nazismo più che del comunismo sovietico.
Ed anche perché, nella concreta realtà storica, è stato il totalitarismo nazista a scatenare, tra il 1939 e il 1945, la sua guerra totale. Il terrore, scriveva Hannah Arendt oltre sessanta anni fa, rappresenta l’autentica essenza del fenomeno totalitario. E l’inclinazione alla violenza terroristica, l’uccidere e insieme l’incutere terrore uccidendo, ritorna appunto come un dato centralissimo nel terrorismo islamista, unitamente ad altri caratteri strutturali del regime di Hitler ma anche di quello di Stalin: dal totale disprezzo per la vita alla pretesa di controllo assoluto sugli esseri umani. Le differenze rispetto all’oggi ci sono e sono evidenti (come c’erano del resto tra il comunismo e il nazismo in quanto fenomeni totalitari), ma non sembrano veramente sostanziali. In particolare, è significativo che nel terrorismo islamista si ritrovi una delle caratteristiche peculiari del totalitarismo: l’idea di un nemico oggettivo, cioè di una categoria di persone individuata e colpita (fino alla morte) non per ciò che fa ma per ciò che è. Come il nazismo puntò a sterminare qualunque ebreo, così l’Isis esorta a uccidere a caso, qualunque cristiano o europeo, qualunque islamico considerato infedele.
Se nei totalitarismi del ‘900 a svolgere un ruolo fondamentale era un’ideologia che assumeva caratteri millenaristico-religiosi, l’Isis ricava la propria ideologia da un’interpretazione radicale della religione islamica: un’ideologia che predica la distruzione/soggezione dell’Occidente cristiano come di tutti i popoli e Paesi che seguono una diversa interpretazione dell’Islam. Il fatto che un tale obiettivo, quello di un Califfato esteso all’Europa, al Medio Oriente e oltre, appaia sostanzialmente folle, non fa che confermare il confronto tra l’Isis e i totalitarismi del ‘900, in particolare quello nazista. I fini ultimi di Hitler — la purificazione della razza, la nascita del Reich millenario — appartenevano infatti a una dimensione utopica e apocalittica, integralmente ideologica, non diversamente dai sogni di dominio mondiale formulati oggigiorno dall’Isis. Interrogarsi sulla natura totalitaria del terrorismo islamista è tutt’altro che una questione accademica.
Se siamo di fronte a un terrorismo che predica la nostra distruzione in quanto noi siamo individuati in blocco come nemici, ha poco senso, rischia anzi di portare fuori strada, continuare a evocare la mancata integrazione degli islamici europei di seconda generazione come un modo per combattere il terrorismo. Eppure lo si continua a fare. Ancora pochi giorni fa Alessandro Rosina in un editoriale su Avvenire (28 luglio) ha chiamato in causa il «nodo esplosivo» tra terrore e giovani determinato dall’inasprimento delle disuguaglianze legato alla crisi economica, sottolineando la necessità di misure per l’integrazione e così via. Il problema dell’integrazione degli immigrati esiste e va affrontato, naturalmente. Ma, come ha giustamente sostenuto di recente la cancelliera tedesca Angela Merkel, una cosa è l’integrazione e cosa diversa la lotta al terrorismo e all’Isis. Confondere i due piani può essere pericoloso.
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