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Il Giornale - La Stampa Rassegna Stampa
11.07.2016 Antisionisti, complottisti e amici di Hamas: ecco il Movimento 5 Stelle
Commenti di Fiamma Nirenstein, Jacopo Iacoboni, Francesco Bei

Testata:Il Giornale - La Stampa
Autore: Fiamma Nirenstein - Jacopo Iacoboni - Francesco Bei
Titolo: «Israele non è un ponte verso Hamas - Gli antisionisti, i complottisti, i filo-Hamas: le star della politica mediorientale grillina - Testacoda in Medio Oriente»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 11/07/2016, a pag. 5, con il titolo "Israele non è un ponte verso Hamas", il commento di Fiamma Nirenstein; dalla STAMPA, a pag. 5, con il titolo "Gli antisionisti, i complottisti, i filo-Hamas: le star della politica mediorientale grillina", il commento di Jacopo Iacoboni; a pag. 1, con il titolo "Testacoda in Medio Oriente", il commento di Francesco Bei

Pubblichiamo in questa pagina i più interessanti commenti pubblicati oggi sui quotidiani. Il viaggio dei grillini in Israele e "Palestina" si inserisce nel solco del primo viaggio del partito di Grillo tre anni fa in Israele, sotto gli auspici e la guida della fanatica odiatrice dello Stato ebraico Luisa Morgantini.

Ecco gli articoli:

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Hitler, Stalin, Mao...

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... e Grillo

IL GIORNALE - Fiamma Nirenstein: "Israele non è un ponte verso Hamas "

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Fiamma Nirenstein

Tutti hanno diritto di visitare Gaza, ma non si può chiedere a Israele di prendersi la responsabilità di introdurvi una delegazione parlamentare italiana: Gaza è dominata da Hamas, un'organizzazione terrorista molto attiva contro cittadini, donne, bambini israeliani; che domina con prepotenza islamista; che per prendere il potere compì una strage di palestinesi; che ha organizzato e rivendicato migliaia di attacchi terroristici e di rapimenti; che perseguita i cristiani; sotto il cui dominio è stato anche ucciso il giovane Vittorio Arrigoni; che è dotato di uno statuto in cui si promette lo sterminio di tutti gli ebrei.

A Cinque Stelle non importa? Vuole portare i sentimenti della sua simpatia perché pensa che due Stati per due popoli sia una formula cui aderirebbero volentieri? Prego, ma è del tutto evidente che la sua insistente richiesta è una provocazione fatta a Israele per dimostrargli la sua antipatia così da compiacere un pubblico che segue sulla sua democraticissima «Rete». I consueti commenti su Israele, inaugurati da Grillo stesso, sono collezioni di un sacco di balle. Soprattutto ci si richiama a principi mal conosciuti, forse mai letti, vani come i comunicati della delegazione che dicono che Israele gli ha dato «un cattivo segno».

La cosa risulta vuotamente, frivolmente minacciosa, una specie di ruggito del topo di fronte ai grandi problemi del Medio Oriente. M5S ignora che Hamas punta alla delegittimazione di Israele, che vorrebbe vederlo sparire? Avendo già sgomberato Gaza per averne in cambio gli attacchi quotidiani dei missili di Hamas, Israele ha ben diritto di difendere la sua popolazione. Ma nessuno si angoscerà troppo per l'ignoranza di questi Uomini Nuovi sul conflitto mediorientale. Perché comunque se si vogliono trovare segnali della loro grande esperienza in politica internazionale, si frequentino le loro frequenti espressioni di entusiasmo per l'Iran degli Ayatollah.

LA STAMPA - Jacopo Iacoboni : "Gli antisionisti, i complottisti, i filo-Hamas: le star della politica mediorientale grillina"

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Manlio Di Stefano

Nel luglio del 2013, all’epoca della prima visita in Israele di una delegazione M5S, il neoeletto deputato del Movimento Manlio Di Stefano postò su facebook una suggestiva foto e, sotto, il commento: «Buongiorno Palestina». La foto però era Gerusalemme, non Ramallah. Naturalmente quella missione fu assai diversa da quella di oggi; era una delegazione di neodeputati senza pressioni, quasi increduli di esser lì, anche allora c’era Manlio Di Stefano, e poi Stefano Vignaroli, Paola Carinelli e Maria Edera Spadoni. Quel viaggio segna un punto di partenza di una storia che in questi tre anni ha avuto diversi apici, la storia dei terzomondismi e della geopolitica mediorientale più spensierata che l’Italia recente ricordi. Nel Movimento cinque stelle, da molto prima dell’ascesa di Luigi Di Maio a candidato premier in pectore - con le conseguenti svolte sull’euro, sull’uso dei soldi, sulla tv, forse sul doppio mandato -, la politica estera è stata da sempre appaltata al gemello-rivale di Di Maio, Alessandro Di Battista, insediato nella commissione eteri, e a una cordata di parlamentari che non si sono fatti mancare ogni genere di spericolatezza verbale delle posizioni. Israele è spesso stato un loro bersaglio, ma si sono udite uscite scivolosissime sull’Isis, virtuosismi linguistici sull’Iraq, frasi non adeguatamente pesate su Hamas.

Ogni viaggio è stato sempre al limite dell’incidente diplomatico, o ha tessuto relazioni che andranno indagate meglio (come la partecipazione recentissima, sempre di Di Stefano, al congresso di Putin a Mosca). Occasioni esterne, come una visita del Dalai Lama alla Camera, si sono tramutate in spunti teatrali per mostrarsi rivoluzionari: come quando, intrufolatosi con Alessio Villarosa al cospetto del leader tibetano, che smozzicò una frase sulla corruzione in Cina, Di Battista gli fece: «È lo stesso in Italia. Stiamo combattendo la stessa battaglia che fate voi». In favor di telecamera. Di Battista, che in un ipotetico governo cinque stelle sarà il candidato alla Farnesina, conquistò i riflettori per un ragionamento di questo tenore sull’Isis: «Se a bombardare il mio villaggio è un aereo telecomandato io ho una sola strada per difendermi a parte le tecniche nonviolente che sono le migliori: caricarmi di esplosivo e farmi saltare in aria in una metropolitana». Il terrorismo, scrisse sul blog di Grillo, resta «la sola arma violenta rimasta a chi si ribella».

Paolo Bernini, deputato noto per le prese di posizione contro le scie chimiche, disse al Corriere: «Io sono antisionista. Per me il sionismo è una piaga». Vignaroli comunicò: «Eccomi a Gerusalemme, città della pace dove l’uomo occupa, separa, violenta». La critica ai governi israeliani è scivolata, insomma, molto spesso in zone sdrucciolevoli. Nel luglio 2014 sempre Di Stefano e Sibilia presentarono un’interrogazione per chiedere l’interruzione delle commesse militari con Israele. Il primo dei due scrisse, sul blog di Grillo, un passaparola che spiega il conflitto israelo-palestinese attribuendolo tout court al sionismo: «Comprendere a fondo il conflitto israelo-palestinese significa spingersi indietro fino al 1880 circa quando, nell’Europa centrale e orientale, si espandevano le radici del sionismo». E sul sionismo Bernini assurse a vette complottiste: «L’11 settembre? Pianificato dalla Cia americana e dal Mossad aiutati dal mondo sionista», disse alla Camera.

A chi di recente gli chiedeva se Hamas per lui è terrorista o no, Di Stefano ha risposto: «È una questione secondaria, in questo contesto. I militanti di Hamas dicono: preferiamo morire lottando che continuare a vivere in una gabbia. Per definirli come terroristi o meno dovremmo vederli in una situazione di libertà. Cosa che in questo momento non hanno». Già nel 2014 i cinque stelle formularono varie proposte di interruzione dei rapporti commerciali fra Italia e Israele. Ieri si sono limitati a dire che «non facciamo accordi sui prodotti che vengono dalle colonie israeliane dei Territori». Luigi Di Maio pare assai distante da tutto questo, ma allora la visita è stata organizzata un po’ alla svelta, e qualcuno nel Movimento, con quei compagni di viaggio, gli ha teso uno sgambetto, lungo la via dell’accreditamento in Israele.

LA STAMPA -  Francesco Bei: "Testacoda in Medio Oriente"

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Luigi Di Maio

Ci risiamo, verrebbe da dire. Il testacoda della delegazione Cinquestelle guidata da Luigi Di Maio in Israele merita di essere valutato con attenzione perché, al di là dell’episodio in sé, racconta molto della natura del Movimento politico che si candida a guidare l’Italia (ancora una nazione del G7, tra i maggiori contributori della Nato come truppe sul terreno, fondatrice dell’Unione europea) e delle pulsioni che animano nel profondo alcune frange neppure troppo minoritarie dell’elettorato.

L’amicizia verso Israele, avamposto democratico in un Medio Oriente sconvolto dalla guerra, dal terrorismo e da dittature brutali, ora ci appare scontata. Centrodestra e Pd – vale a dire forze che ancora rappresentano il baricentro della politica italiana – hanno introiettato questa amicizia (che non significa chiudere gli occhi di fronte a scelte controverse come gli insediamenti) nel loro Dna costitutivo. Ma è necessario ricordare che non sempre è stato così, questa simpatia verso gli ebrei è un sentimento recente, diciamo degli ultimi vent’anni. Basta avere un po’ di memoria storica per ricordare che tutto l’arco politico italiano, con l’eccezione dei radicali, dei repubblicani e dei liberali, è stato completamente sbilanciato a favore della causa palestinese. In anni in cui, oltretutto, l’Olp e tutte le varie frange del nazionalismo palestinese ammazzavano civili in Europa, Italia inclusa. Nemer Hammad, ambasciatore Olp in Italia, era di casa al Sismi e alla Farnesina di Giulio Andreotti ed Emilio Colombo. Per non parlare del Psi di Craxi e, soprattutto, del Pci berlingueriano. Proprio nella sinistra comunista si consumò la frattura più profonda e dolorosa con l’ebraismo politico, fino ad allora (e a ragione) considerato una costola del movimento socialista e democratico internazionale, dai tempi di Herzl e Mazzini.

Un trauma che ebbe origine dalla guerra del 1967 e dalla decisione del Pci, presa a Mosca, di schierarsi con i Paesi arabi che provavano a cancellare un giovane Israele dalla mappa geografica. Da allora e per merito anche di personalità come Achille Occhetto, Giorgio Napolitano, Piero Fassino, Walter Veltroni, Umberto Ranieri, quella ferita è stata rimarginata e la sinistra italiana del Pds e poi del Pd è tornata amica di Israele. Così come, grazie a Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini, lo è stata la destra, Lega compresa. Ma con l’attuale declino, anzitutto culturale, degli schieramenti tradizionali, è venuta meno anche la loro «pedagogia» politica sull’elettorato.

Così possono tranquillamente essere rimesse in circolo tesi unilaterali sul conflitto fra israeliani e palestinesi, un membro del direttorio M5S può dire che con l’Isis si deve trattare senza che questo implichi la sua espulsione dal consorzio civile e dai salotti televisivi, il futuro ministro degli Esteri grillino, invitato dal governo Netanyahu, può minacciare il riconoscimento della Palestina e l’apertura di un’ambasciata italiana a Ramallah. Se la missione in Israele di Luigi Di Maio era stata concepita come un primo passo del Movimento verso la maturità politica, anche in vista della visita negli Usa a settembre, si può dire che per il momento l’obiettivo è stato mancato.

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