Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 13/06/2016, a pag. 27, con il titolo "Lo spietato vicino di casa che obbedisce al Califfo", l'analisi di Guido Olimpio; da LIBERO, a pag. 1-14, con il titolo "Più che del Califfo la responsabilità stavolta è di Internet", l'analisi di Carlo Panella.
Ecco gli articoli:
CORRIERE della SERA - Guido Olimpio: "Lo spietato vicino di casa che obbedisce al Califfo"
Guido Olimpio
L'abbraccio di due sopravvissuti alla strage di Orlando
Omar Mateen è l’assassino che ogni fazione estremista desidera. Il militante perfetto. Nato negli USA, la possibilità di vivere tra le sue future vittime, un lavoro che gli ha permesso di addestrarsi a sparare e di comprare le armi necessarie per consumare il Bataclan della Florida. Sarà l’inchiesta ad accertare che tipo di legame c’è tra il terrorista della porta accanto e l’Isis. Intano c’è una rivendicazione mentre le informazioni parlano del padre filo-talebano e della sua dichiarazione di fedeltà al Califfato. Esattamente come fecero i killer di San Bernardino poco prima di tirare a raffica sui colleghi di lavoro. Comportamento che semplifica il compito quando si è lontani dalla casa madre, si è da soli e il rapporto con i referenti è puramente ideologico L'autore del massacro non solosi è preparato in modo meticoloso, ma è riuscito a passare sotto i radar della sicurezza.
Lo avevano inquadrato come un tipo pericoloso nel 2013 e 2014, indagato. Eppure — come è avvenuto in Francia e Belgio — è riuscito comunque a concludere l’attacco imitando il modus operandi dei mujaheddin in Medio Oriente. Così simile ad altri, con problemi personali mescolati probabilmente ad aspetti politici, non uno «pulito», ma con un profilo che finisce per ingannare chi deve sorvegliare. E non è caso che abbia usato un fucile e una pistola: negli Stati Uniti sono letteralmente alla portata di mano e Omar — buco clamoroso — ha potuto comprarle nonostante le segnalazioni. Esattamente come predicava uno dei primi americani finiti agli ordini di Bin Laden, uno dei fautori dell’atto individuale in Europa.
I tempi scelti per l’assalto sembrano, poi, rispondere al momento. Il portavoce dello Stato Islamico al Adnani, il 23 maggio, aveva auspicato azioni nel mese del Ramadan, «il mese della Jihad», e si era rivolto proprio ai simpatizzanti che vivono in Occidente. Una risposta operativa all’impossibilità di raggiungere la Siria o l’Iraq. Un’indicazione e non un ordine — che può essere intercettato — a colpire i civili «perché non esistono innocenti nel cuore della terra dei Crociati». E con il consiglio ai cosiddetti lupi solitari a non essere troppo esigenti nel prepararsi alla strage: «La vostra più piccola azione è la più cara nei nostri cuori». Di nuovo, vedremo se gli inquirenti scoveranno un coordinamento ampio, ma quello che conta è il risultato.
Al Qaeda e l’Isis in questo sono uguali, è stata la prima a tracciare il sentiero poi allargato dai seguaci di al Baghdadi. Perché si applica tanto a chi si auto-radicalizza, da solo, tra le pareti di casa, come all’estremista affiliato, parte di un network. Infine il target. Un locale pubblico frequentato da gay che agli occhi dell’assassino è simbolo di vita e di «perdizione». Un odio condiviso talvolta da estremisti neonazi finiti anche loro nella lista dei possibili sospetti. Non solo. Quanto avvenuto nella notte a Orlando si trasforma in un modello se qualcuno vorrà emulare il gesto criminale di Omar costringendo le forze di sicurezza ad allungare le linee — già esili — per parare la minaccia. Basta vedere l’allarme di queste ore, da Washington fino alla California, nel timore che accada ancora. E non necessariamente per mano di un radicale jihadista. L’uomo fermato con un arsenale a Los Angeles ne è la prova. Le polizie sono costrette a inseguire, a presidiare, a controllare posti di divertimento tramutati in bersagli. Il ristorante, il salone per i concerti, il semplice pub, lo stadio. Uno sforzo immane che non garantisce la difesa assoluta. Il nostro scudo è corto per la semplice ragione che è impossibile vegliare su ogni aspetto della nostra esistenza. I terroristi lo sanno ed hanno il vantaggio di potere scegliere dove affondare la loro lancia, felici di uccidere, fieri di spargere il panico.
LIBERO - Carlo Panella: "Più che del Califfo la responsabilità stavolta è di Internet"
Carlo Panella
La scena dopo l'attentato
È un americano, ma di genitori afgani, è nelle liste Fbi dei simpatizzanti dell'Isis e «odiava i gay» - come rivela ora suo padre - e ha preannunciato la sua mattanza con una telefonata alla polizia. Dunque, la strage di Orlando segna un passo avanti nella spirale del jihadismo. Omar Mateen ha infatti applicato la Sharia in modo specifico e letterale. Non ha colpito genericamente i «comportamenti corrotti e promiscui» degli occidentali come l’assassino della spiaggia di Sousse e i macellai del 13 novembre di Parigi. Ha bestialmente applicato la pena di morte shariatica ad un “delitto” specifico, condannato dal Corano nelle sure 4-7-26-27 e 29.
Pena di morte per i gay che vige oggi in 9 Stati islamici: Arabia Saudita, Iran, Nigeria, Mauritania, Pakistan, Sudan, Somalia, Somaliland e Yemen. Pratica applicata dall’Isis che postain Rete le immagini di gay gettati nel vuoto a sfracellarsi a terra dai palazzi più alti. Pena di morte prescritta con vigore dallo Sheikh al Qaradawi, ideologo dei Fratelli Musulmani, che spopola grazie a al Jazeera.
In tutti i paesi islamici, l’omosessualità è punita, anche se non sempre con la morte. Particolare che sfugge sempre al mondo politically correct che tanto apprezza la “moderazione” dell’Islam. Si pensi che in Israele operano organizzazioni discrete che traghettano dentro un paese in cui l’omosessualità è pienamente libera e rispettata, i palestinesi e arabi gay che fuggono le persecuzioni dei loro stati (e delle loro famiglie). Il killer del “Batacalan americano” è l’ennesimo “lupo solitario” che trova nella Rete la sua moschea di morte, con un Ulema che emette la specifica, orrida, fatwa.
Mateen, mostra all’Occidente che non basta la pur necessaria guerra classica contro l’Isis in Asia e in Africa. Perché il jihadismofanatico èfiglio di un Islam che non sa e non vuole arginare i suoi scismi, che fanno sempre più proseliti. Questo, perché il vero nodo è nella sua Sharia condivisa, che irride e infrange i diritti dell’uomo anche nella sua versione “moderata”. Mateen è l'ultimo di 20.000 e più kamikaze che hanno fatto più di 100.000 vittime. Un fenomeno epocale, che segnala la presa enorme di una “religione della morte”. E nel mondo musulmano non pochi applaudono oggi le sue orribile gesta.
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