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La Repubblica - Libero Rassegna Stampa
10.06.2016 Legge sul negazionismo: fondamentale, ma ecco i rischi
Analisi di Guido Crainz, le obiezioni di Filippo Facci

Testata:La Repubblica - Libero
Autore: Guido Crainz - Filippo Facci
Titolo: «Non sono opinioni ma propaganda per nuovi crimini - Con la legge sul negazionismo rischia la galera mezza Italia»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 10/06/2016, a pag. 39, con il titolo "Non sono opinioni ma propaganda per nuovi crimini", l'analisi di Guido Crainz; da LIBERO, a pag. 10, con il titolo "Con la legge sul negazionismo rischia la galera mezza Italia", l'analisi di Filippo Facci.

Ecco gli articoli:

LA REPUBBLICA - Guido Crainz: "Non sono opinioni ma propaganda per nuovi crimini"

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Guido Crainz

Ho seguito con disagio il dibattito sollevato dalla legge sul negazionismo, con una crescente difficoltà a riconoscermi nell’opinione quasi unanimemente ostile degli storici (ha fatto eccezione Anna Rossi-Doria con un importante contributo ad un convegno su questo tema, e nell’intervista che le ha fatto di recente Simonetta Fiori per questo giornale). Il disagio è inevitabile, credo: è difficile considerare sostanzialmente positiva una legge giudicata da amici e colleghi come liberticida. È difficile resistere ad appelli contro di essa che hanno visto il confluire di veri maestri della storiografia e di giovani e appassionati studiosi. Eppure una legge contro la negazione della Shoah a me sembra fondata, mentre la sua estensione ad altri casi mi lascia enormi dubbi.

Sono molte le argomentazioni messe in campo contro la legge in sè: contro una sorta di “verità di Stato” e contro norme volte a colpire la libertà di ricerca e di opinione (e sia pure l’opinione più aberrante). In più forme si è affermato che la battaglia per la verità storica si fa nelle università e nei luoghi di cultura, non nei tribunali; che le “verità ufficiali” sono proprie dei regimi totalitari; e che la legge può essere sin dannosa, creando la convinzione che il problema sia stato risolto una volta per tutte e possa quindi essere accantonato e rimosso.

A me sembra che queste e altre argomentazioni, non prive di ragioni, rischino però di eludere un nodo di fondo: stiamo parlando di libero pensiero o di falsificazioni colossali, intrise di evidenti finalità politiche e “pratiche”? È “libertà di espressione” accusare le vittime di aver “inventato il mito” delle camere a gas e di essere dei miserabili mentitori? È possibile ignorare i nessi evidenti fra il negazionismo e il deliberato alimentare umori e pulsioni antisemite? O rimuovere il fatto che nei casi più radicali è l’esistenza stessa dello Stato di Israele che si vuole colpire, rianimando i peggiori demoni della storia contemporanea?

Su questo nodo centrale a me sembra difficile nutrire dubbi, e non occorre neppure ricordare che il grande convegno negazionista di dieci anni fa non si svolse in una sede scientifica ma alla corte di Ahmadinejad, a Teheran: quell’Ahmadinejad che univa la denuncia della “menzogna sulla shoah” alla volontà di annientare lo Stato di Israele (furono molto diverse le logiche che portarono all’utilizzo di un falso colossale ed evidente come i Protocolli dei Savi Anziani di Sion?). Per questo mi sono faticosamente convinto che è giusto punire per legge il negazionismo sulla Shoah (e mi sembra invece sbagliata una estensione del reato): per l’unicità della tragedia e per la connessione diretta fra il negazionismo e l’intento di dare nuovo e criminale impulso all’antisemitismo.

Certo, hanno ragione gli oppositori della legge, è arduo e pericoloso tracciare il confine fra l’esposizione di un’idea e l’incitamento all’odio o la promozione di un reato, ma il negazionismo sulla Shoah mi sembra averlo abbondantemente varcato. Negarla, insomma, non mi appare l’espressione di un’opinione ma la perpetuazione di quel crimine in altre forme, e la possibile incubazione di altri crimini. E i crimini non si combattono solo con la diffusione delle idee giuste e dei principi di legalità: si combattono anche con le sanzioni. Si combattono introducendo in modo formale un profilo di legittimità e di illegittimità, e questo la legge mi sembra fare (in modo imperfetto e talora discutibile, ma non vorrei che i limiti oscurassero la sostanza).

Lo penso e lo scrivo con il pudore sempre necessario in questi casi ma con l’assoluta convinzione che all’antisemitismo — di destra e di sinistra — non possano essere concessi varchi. Mai e in nessun luogo, a partire da quelli dell’educazione (e senza dimenticare le vergogne che circolano in internet). Certo, una legge non risolve il problema: separa però ciò che è lecito da ciò che non lo è; e non chiude ma apre semmai ulteriori vie al diffondersi di prese di coscienza collettive. C’è da interrogarsi piuttosto sulle chiusure reciproche che vi sono state, a me sembra, fra dibattito parlamentare e dibattito degli storici: non è stato comunque un buon segno.

LIBERO - Filippo Facci: "Con la legge sul negazionismo rischia la galera mezza Italia"

La legge sul reato di negazionismo è fondamentale. Ciò detto, alcune delle obiezioni sottolineate da Filippo Facci meritano di essere discusse e affrontate. Il rischio , altrimenti, è che questa legge non venga applicata, esattamente come è accaduto per decenni con la Legge Mancino.

Ecco l'articolo:

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Filippo Facci

In Italia si può negare l'esistenza di dio, ma non si può dubitare della versione ufficiale di un fatto storico, anzi, di alcuni fatti storici, anzi, di uno in particolare. E questa l'obiezione insuperabile alla legge sul negazionismo approvata l'altro giorno (237 si, 5 no, 102 astenuti) che beninteso, è una legge di ornamento, serve a farsi belli e ad accontentare una minoranza: ma siccome le leggi poi gravano sul groppone di tutti, eccoci qui a dimostrare come una norma-bandiera sia destinata a restare disapplicata o a produrre assurdità o, più probabilmente, a essere risvegliata solo quando si parla di Shoah.

Nel dettaglio: la norma introduce la galera da 2 a 6 anni quando la propaganda e l'incitamento all'odio razziale si fondino «in tutto o in parte sulla negazione della Shoah o dei crimini di genocidio, crimini contro l'umanità e crimini di guerra». Già qui salta all'occhio il primo pasticcio: si citano «la Shoah o i crimini di genocidio» come se appartenessero a una classificazione storica diversa. Non è un caso che il principale promotore della legge sia stata l'Unione delle Comunità Ebraiche (ben decisa a separare eticamente "l'unicità" dell'Olocausto) e non è un caso neppure che la stessa Unione, nei suoi comunicati, abbia festeggiato la nuova legge citando solo la Shoah e nessun altro genocidio o crimine di guerra o contro l'umanità: e con ragione, perché il significato politico dell'operazione era indirizzato a loro. 

Il problema è che la legge, letta nero su bianco, poi vale per tutti: e sulla definizione dei genocidi (altri genocidi) fioccano disaccordi di ogni tipo e a tutti i livelli. E' anche per questo che nel suo complicato iter (la norma ha fatto la navetta col Senato per ben 3 volte) gli storici e i politici di ogni schieramento hanno condiviso ogni perplessità per qualcosa che lascerà ai magistrati l'arbitrio di decidere che cosa sia reato e che cosa no; una "verità di Stato" che potrebbe vanificare ogni dibattito controverso. Studiosi di sinistra come Marcello Flores, direttore dell'Istituto storico della Resistenza e curatore della Storia della Shoah per Utet, per dire, su questo si è trovato d'accordo con Carlo Giovanardi o con Pietro Ichino: si rischia, dicono, un pasticcio infernale.

Esempi? Centinaia. Dovremmo incriminare, in teoria, Recep Erdogan non appena mettesse piede sul suolo italiano, visto che da sempre si ostina a negare il genocidio degli armeni - riconosciuto dalle massime autorità europee e mondiali - e ha pure promosso delle leggi contro chi ne ammetta l'esistenza. A ruota potremmo mettere sotto indagine il governo Renzi, che nel marzo dell'anno scorso, attraverso il Ministero dei Beni culturali, eliminò la parola "genocidio" da una rassegna dedicata al popolo armeno. Inquisito anche l'ex ministro Franco Frattini, che in passato definì quel genocidio solo «un massacro». In ordine sparso: in galera chiunque metta in dubbio (o apra una discussione) sui crimini di guerra che l'esercito italiano commise tra il 1931 e il 1943 in Cirenaica ed Etiopia; al macero tutti i libri, anche serissimi, che nelle biblioteche negano quei crimini come fece anche Indro Montanelli con l'uso dei gas italiani in Etiopia. Dentro, poi, chiunque non consideri genocidio i fatti di Srebrenica (alcuni giuristi lo contestano) e incriminati anche quei tribunali di Buenos Aires che negarono lo status di genocidio alla repressione dei militari argentini.

Nessun problema, invece, per quei manuali che ancor oggi giustificano o "contestualizzano" i milioni di morti dello Stalinismo: la definizione di genocidio, in quel caso, è ancora ufficiosa. Persino Giorgio Napolitano scrisse cose imbarazzanti sul ruolo di Solzenicyn durante l'intervento sovietico a Budapest nel 1956: ci sarebbe da approfondire. Piergiorgio Odifreddi, firma di Repubblica, paragonò l'esercito israeliano e le SS delle Ardeatine: ci sarebbe da approfondire anche qui. Il quotidiano Il Giornale, tra qualche giorno, allegherà una copia del Mein Kampf come documento storico: sarà incitamento? Istigazione? La portavoce del Commissariato Onu per i rifugiati, Carlotta Sami, ma anche Emma Bonino e Gad Lerner, in passato paragonarono lo sterminio pianificato degli ebrei al dramma degli immigrati nel Mediterraneo: fu un buon paragone? Non è che rischiano, ora?

Un tempo si rischiava di dire cazzate e basta, ora si rischia che a valutarle sia un giudice. Senza contare l'esperienza di quei Paesi occidentali in cui le leggi anti-negazioniste sono state applicate: la copertura mediatica dei processi che ne sono scaturiti, spesso, ha finito per diventare una tribuna per la propaganda delle tesi che venivano perseguite, e che altrimenti sarebbero state ignorate dall'opinione pubblica. Leggi fallite, in sostanza, l'Italia si è accodata subito.

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