lunedi` 18 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






La Repubblica Rassegna Stampa
01.06.2016 Corte europea: una sentenza importante a difesa delle donne musulmane
Cronaca di Andrea Bonanni, Zita Dazzi

Testata: La Repubblica
Data: 01 giugno 2016
Pagina: 4
Autore: Andrea Bonanni-Zita Dazzi
Titolo: «La Corte europea 'Legittimo vietare il velo sul posto di lavoro- Ma una scelta individuale deve essere difesa»

Nel 2015 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha ritenuto legittima la legge francese che consente di licenziare una dipendente che si rifiuti di togliere il velo al lavoro. Arriva adesso dalla Corte Europea una sentenza a conferma.
Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 01/06/2016, a pag.4, due articoli, la cronaca di Andrea Bonanni e l'intervista di Zita Dazzi che commentiamo prima del testo.


Angrea Bonanni

Andrea Bonanni:" La Corte europea 'Legittimo vietare il velo sul posto di lavoro"

Un datore di lavoro può vietare ai propri dipendenti di portare in modo visibile segni politici, filosofici o religiosi, nella fattispecie il velo islamico, in nome di una «politica di neutralità» che è perfettamente legale. È questa la conclusione cui è giunto l'avvocato generale della Corte di Giustizia europea, chiamata a decidere sulla legittimità del licenziamento di una lavoratrice in Belgio. Le relazioni dell'avvocato generale, nella stragrande maggioranza dei casi, anticipano il contenuto e le motivazioni della sentenza che verrà poi pronunciata dalla Corte. Il caso preso in esame riguarda la signora Samira Ach-bita, di fede islamica, che era impiegata come receptionist dalla società belga G4S Secure Solutions, che fornisce servizi di sorveglianza e di sicurezza. Quando era stata assunta, la donna non indossava il velo. Ma dopo tre anni di lavoro aveva deciso di volersi velare. La società aveva però negato l'autorizzazione invocando una regola aziendale generale intesa a vietare sul posto di lavoro segni politici, filosofici e religiosi visibili. La donna aveva insistito nel voler portare il velo ed era stata per questo licenziata. Assistitita da un centro belga per le pari opportunità e la lotta al razzismo, Samira Achtiba aveva fatto ricorso ai tribunali rivendicando l'indennizzo dei danni per il licenziamento ingiustificato e invocando la direttiva europea del 2000 che proibisce qualsiasi discriminazione sul luogo di lavoro in base, tra l'altro, al credo religioso. La sua richiesta, respinta in primo grado e in appello, è arrivata davanti alla Corte di Cassazione belga che, prima di esprimere un giudizio, ha chiesto il parere della Corte di Giustizia europea, con sede a Lussemburgo. Il parere dell'avvocato generale, Juliane Kokott, esclude che il comportamento della società abbia costituito una «discriminazione diretta», proprio perchè il divieto di esibire simboli religiosi, filosofici o politici era generale e non diretto contro una specifica religione o fede politica. Secondo l'avvocato, potrebbe invece sussistere l ine «discriminazione indiretta», ma questa potrebbe essere giustificata «al fine di attuare una politica legittima di neutralità religiosa e ideologica» da parte dell'azienda. Toccherà dunque alla Corte di Cassazione belga giudicare se questi principi siano stati applicati, nel caso del licenziamento della donna, con «la dovuta proporzionalità». Ma anche su questo punto, il giudizio dell'avvocato generale è favorevole all'azienda. Nel suo comunicato, la Corte di Giustizia scrive che «la religione rappresenta per molte persone una parte importante della loro identità e la libertà di religione costituisce uno dei fondamenti di una società democratica. Tuttavia, mentre un lavoratore non può 'mettere nell'armadietto" il proprio sesso, il colore della propria pelle, la propria origine etnica, il proprio orientamento sessuale, la propria età o il proprio handicap non appena entra nei locali del proprio datore di lavoro, dallo stesso lavoratore può essere pretesa una certa riservatezza per quanto attiene all'esercizio della religione sul luego di lavoro, sia che si tratti di pratiche religiose o di comportamenti motivati dalla religione sia che si tratti - come nella specie - del suo abbigliamento»

Zita Dazzi:" Ma una scelta individuale deve essere difesa"

Immagine correlataImmagine correlata
Zita Dazzi                 Il velo della sottosmissione

Una intervista in omaggio al criterio della 'diversa opinione', che però fallisce l'obiettivo per l'incapacità di porre le domande giuste da parte della giornalista. La tesi della sociologa musulmana era facilmente smontabile, bastava ricordarle quello aveva dimenticato, la Corte europea ha riconfermato il pieno diritto delle società democratiche alla difesa del principio laico della divisione netta fra stato e religione. Il paragone con il crocefisso non ha senso, le donne -così come gli uomini- hanno il diritto di indosssare non solo il crocefisso, ma anche la stella di davide o la mezzaluna islamica o altri simboli di qualsiasi religione. Questo nelle società democratiche, perchè nei paesi arabo-islamici viene spesso fatto divieto di portare in modo visibile crocefisso e stella di Davide. Il velo, invece, è il simbolo della sottomissione della donna, i cui diritti di eguaglianza con gli uomini nei paesi civili è garantita per legge.
La sentenza della Corte europea non solo non è fuori tempo, come dichiara l'intervistata, ma arriva al momento giusto in difesa della libertà/eguaglianza  delle donne musulmane.


Ecco l'intervista:

MllANO. L'avvocatura della Corte europea ha dato ragione a un'azienda che ha vietato il velo islamico a una dipendente. Che ne pensa Sumaya Abdel Qader, sociologa milanese, leader del progetto "Aisha" per le donne musulmane? «Sono molto stupita, mi sembra una decisione incomprensibile. Indossare il velo islamico è un diritto: non si tratta di un simbolo religioso, ma di un atto di devozione nei confronti di Dio. il velo, quando è scelto liberamente, è un patto fra la donna e Dio». Quindi è sbagliato giustificare il divieto, dicendo che sono vietati anche gli altri boli religiosi? «Mettersi il velo è una pratica religiosa, che dovrebbe essere garantita dall'ordinamento giuridico a tutela della libertà religiosa. Se vietano il velo, dovrebbero vietare anche la croce dei cristiani. In una società aperta e moderna, una società sempre più plurale, è ora di superare questa logica dei divieti e delle restrizioni». Lei è candidata per il Pd al consiglio comunale di Milano. Farete una battaglia su questi temi? «Difenderemo i diritti delle persone e delle donne, sopratutto quando si tratta di scelte individuali che non intaccano le relazioni sociali e non danno fastidio a nessuno. I1 velo deve essere una libera scelta della donna, mai imposto dall'esterno, imam o uomini di famiglia. Ma non si deve più vietarlo con leggi e sentenze fuori dal tempo».

rubrica.lettere@repubblica.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT