Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/05/2016, a pag. 35, con il titolo "'Italia, il primo Lodo Moro fu con la Libia di Gheddafi", l'intervista di Francesco Grignetti a Carlo Mastelloni, capo della Procura di Trieste.
Quella di Carlo Mastelloni è una nuova voce che finalmente denuncia con chiarezza quello che già Cossiga aveva definito "Lodo Moro". Riportiamo le parole con cui Mastelloni descrive l'accordo tra Stato italiano e terroristi palestinesi: «Era un accordo non scritto, che si è andato affinando nel tempo. Qualcosa del genere lo siglarono anche i francesi. Il nostro, però, era più articolato: prevedeva, in cambio della non belligeranza dei palestinesi contro l’Italia, sostegno politico nelle sedi internazionali e molti aiuti materiali. Mi risultano consegne di armi, nascoste dietro il sistema delle triangolazioni, e poi camion, ospedali, soldi, borse di studio per i loro studenti, i quali peraltro tutto facevano meno che studiare, libero transito per il nostro territorio di armi e di combattenti. L’accordo prevedeva anche la liberazione di terroristi palestinesi nel caso la polizia li avesse arrestati».
Ecco l'intervista:
Francesco Grignetti
Carlo Mastelloni
Nella storia segreta della Repubblica c’è stato un altro Lodo Moro, oltre a quello stipulato nel 1973 con Arafat. Tre anni prima, Aldo Moro, che era ministro degli Esteri, raggiunse un analogo accordo con Gheddafi. Anche questo l’ha scoperto il giudice Carlo Mastelloni, oggi procuratore capo a Trieste, che più di tutti ha indagato sui rapporti tra italiani e mondo arabo. Racconta: «Avvenne al tempo della cacciata degli italiani dalla Libia, nel 1970, e fu preceduto da un lungo lavorio paradiplomatico. Su ordine dell’allora capo di stato maggiore dell’Esercito, il generale Francesco Mereu, ci furono diverse missioni preparatorie di un giovane colonnello dei carabinieri, Roberto Jucci, che poi fece carriera. Moro si affidava a queste missioni non ortodosse per battere la strada. Ma per raggiungere l’accordo non bastò un primo incontro: Gheddafi ricevette il ministro italiano senza scendere da cavallo e lo costrinse a guardare dal basso in alto. Al secondo incontro, presente anche il segretario generale della Farnesina, Roberto Gaja, finalmente i due si capirono».
In che cosa consisteva questo secondo Lodo Moro?
«In cambio della liberazione di alcuni italiani imprigionati, e della possibilità per tutti di rientrare in patria, ci impegnammo a consistenti forniture militari e soprattutto a vigilare contro tentativi di rovesciare il regime che fossero partiti dal nostro territorio. Noi rispettammo gli impegni. Inviammo carri armati riverniciati di fresco, che permisero a Gheddafi di farsi bello nelle parate, ma non prima di avere avuto l’assenso dall’ambasciata Usa. E nel 1971 fu bloccata una nave di congiurati nel porto di Trieste. Era un tentativo di putsch sobillato dagli inglesi: Gheddafi aveva quasi del tutto estromesso la British Petroleum, che sotto re Idris, grazie anche a una lady sposata con un maggiorente di corte, si era accaparrata i migliori pozzi di petrolio, e aveva cacciato le loro truppe dalla Libia. Da quel momento in poi, peraltro, Tripoli spalancò le porte alle imprese italiane, compresa l’Eni. Si consideri che i libici non sapevano aggiustare un frigorifero; per le nostre ditte fu un’età dell’oro».
In senso orario: Yasser Arafat, Bettino Craxi, Giulio Andreotti
Tornando al più celebre Lodo Moro, quello con i palestinesi, la commissione Moro ha scovato un cablo finora segreto del 18 febbraio 1978, risalente cioè a un mese prima della strage di via Fani.
«Considero quel cablo solo il primo brandello di un carteggio tra la Centrale e l’ufficio di Beirut, retto dal colonnello Stefano Giovannone, che dev’essere molto più corposo. Peccato che, alle mie richieste di vedere le carte, l’allora direttore del Sismi, ammiraglio Fulvio Martini, mi disse che il carteggio era andato smarrito...».
Ora sappiamo che non è andata così, tant’è vero che in Parlamento alcuni chiedono la desecretazione di tutto il resto. Il cablo di Giovannone, liberalizzato dalla direttiva Renzi, è però la prima prova documentale dell’esistenza del Lodo Moro. Di che cosa si trattava?
«Era un accordo non scritto, che si è andato affinando nel tempo. Qualcosa del genere lo siglarono anche i francesi. Il nostro, però, era più articolato: prevedeva, in cambio della non belligeranza dei palestinesi contro l’Italia, sostegno politico nelle sedi internazionali e molti aiuti materiali. Mi risultano consegne di armi, nascoste dietro il sistema delle triangolazioni, e poi camion, ospedali, soldi, borse di studio per i loro studenti, i quali peraltro tutto facevano meno che studiare, libero transito per il nostro territorio di armi e di combattenti. L’accordo prevedeva anche la liberazione di terroristi palestinesi nel caso la polizia li avesse arrestati».
Francesco Cossiga: sul Lodo Moro aveva ragione
Un accordo politico.
«Ci furono naturalmente delle resistenze. Il segretario generale della Farnesina, per dire, non permise mai l’ingresso di Farouk Kaddoumi, che era una sorta di ministro dell’Olp, nel palazzo».
E gli israeliani?
«Ho letto il resoconto di un gelido incontro tra i ministri della Difesa Arnaldo Forlani e Moshe Dayan. Dayan chiedeva conto di una fornitura di elicotteri ai palestinesi, noi dicevamo di non sapere».
Giovannone cita informazioni che arrivano dall’organizzazione marxista palestinese Fplp.
«Ai miei occhi questa è la rivelazione più importante. È la prova che il Lodo Moro era stato esteso anche all’Fplp, e considerando che i suoi capi, George Habbash e soprattutto Wadi Haddad, erano collegati con il Kgb, con il terrorismo internazionale, e con Carlos, penso che qui stiano i veri segreti».
Dal Libano avvertivano che vi era stata una riunione tra più organizzazioni terroristiche a cui avrebbero partecipato anche italiani.
«Nessun pentito delle Br ci ha mai parlato di riunioni preparatorie con terroristi stranieri».
Eppure, qualche giorno fa sulCorriere della Serail palestinese Bassam Abu Sharif, che aveva un ruolo importante nell’Fplp, ammette di essere stato informato da terroriste tedesche della Raf e di avere dato lui la dritta.
«A volte la memoria fa brutti scherzi. E mi sembra difficile che le Br raccontassero i loro piani a gruppi estranei».
Non è vero il rapporto delle Br con le Raf, la temibile banda Baader-Meinhof?
«Qualche contatto c’era, ma le Br ne diffidavano perché li consideravano, non a torto, legati al Kgb. E se Giovannone avesse saputo, la storia sarebbe andata diversamente».
Dopo il delitto Moro, però, Moretti strinse accordi. Lei stesso ha scoperto la storia di quel veliero, il Papago, che andò in Libano a rifornirsi di armi da dividersi tra Br, Eta e Ira.
«Vero. Ma ciò avveniva un anno dopo, nel settembre ’79, dopo che le Br furono ammesse nel giro grosso del terrorismo internazionale».
Per inviare la propria opinione alla Stampa, telefonare 011/65681, oppure cliccare sulla e-mail sottostante