Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 23/05/2016, a pag. 37, con il titolo "Se l'Anpi è diventata dei suoi nipoti", il commento di Pierluigi Battista.
Sulla struttura verticistica, chiusa e in ultimo non democratica dell'Anpi ha già scritto Gian Antonio Stella, ripreso su IC alla pagina http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=62444.
L'Anpi, inoltre, ammette da anni ai cortei per il 25 aprile, che organizza, la partecipazione dei sostenitori di coloro che furono alleati di Hitler e oggi sventolano bandiere della Palestina e di gruppi terroristici come Hamas, Hezbollah, Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina.
L'Anpi, al contempo, non garantisce la sicurezza di coloro che ricordano l'azione della Brigata ebraica per la liberazione, quella vera, dell'Italia dal nazifascismo.
Ecco l'articolo:
Pierluigi Battista
Durante una delle presentazioni di «Mio padre era fascista» si alza un giovane gentile e garbato dall’eloquio forbito, avrà avuto sì e no 25 anni, e si presenta: «Sono dell’Anpi». Che sigla è? «Associazione nazionale partigiani italiani: Anpi». Gli ho chiesto se suo nonno fosse stato partigiano. Ma lui ha risposto di no. Suo prozio, suo bisnonno, insomma uno che nel ’43-’45 avesse almeno una quindicina d’anni. No. A me sembra strano che un’associazione di reduci, di combattenti per la libertà che hanno rischiato la vita contro l’invasore tedesco, non conti tra le sue fila chi ha realmente combattuto.
Il simbolo della Brigata Ebraica
Purtroppo per ragioni crudelmente anagrafiche il numero dei partigiani sopravvissuti si assottiglia sempre di più. Ma che titolo morale, quale eccellenza biografica possono vantare persone che usurpano un titolo che non può essere loro? Tra l’altro, l’Anpi senza partigiani che hanno fatto veramente i partigiani sale in cattedra, ammonisce, giudica, condanna, boccia, si comporta sgradevolmente, come ha scritto su queste colonne Gian Antonio Stella, come un partito che non tollera il dissenso interno e bacchetta chiunque nei suoi ranghi osi discutere la scelta della guerra santa contro la riforma costituzionale. Ma perché? Chi gliene dà il diritto? Dicono: è per conservare intatta una lezione politica e morale. D’accordo: fondassero un qualche raggruppamento antifascista, organizzino letture pubbliche delle lettere di condannati a morte della Resistenza, custodiscano gli archivi, chiedano allo Stato di finanziare iniziative perché resti accesa la memoria del movimento partigiano (magari raccontandone tutta la storia, comprese le sue ombre).
Invece no. I venticinquenni, i trentenni, i cinquantenni che oggi si dicono «partigiani» perché sono iscritti all’Anpi, come se un loro coetaneo potesse vantare la partecipazione alla spedizione dei Mille garibaldini, irrompono nel dibattito pubblico come se avessero un titolo speciale per parlare, come se chi non fosse d’accordo con la loro linea ipso facto attentasse ai valori della Resistenza. «I partigiani contro la riforma costituzionale», titola un giornale per illustrare la posizione dell’Anpi. Ma siamo sicuri che i partigiani, quelli veri, quelli che hanno combattuto in montagna e hanno rischiato la pelle per la libertà, si sentano davvero rappresentati dai loro nipoti che agitano quella sigla come se fosse una delle tante sigle in circolazione? (E poi, chi gliel’ha chiesto?).
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