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La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
13.05.2016 'Lo Stato islamico chiede ai propri aderenti di colpire in Italia'
Francesco Grignetti intervista Franco Roberti, Fabio Tonacci intervista Stefano Dambruoso

Testata:La Stampa - La Repubblica
Autore: Francesco Grignetti - Fabio Tonacci
Titolo: «Roberti: 'Isis chiede ai foreign fighters di non andare in Siria e colpire da noi' - 'Pochi giudici specializzati per un reato così complesso, il rischio è che tornino libere persone pericolose'»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 13/05/2016, a pag. 9, con il titolo "Roberti: 'Isis chiede ai foreign fighters di non andare in Siria e colpire da noi' ", l'intervista di Francesco Grignetti a Franco Roberti, magistrato responsabile della Direzione nazionale antimafia; dalla REPUBBLICA, a pag. 23, con il titolo "Pochi giudici specializzati per un reato così complesso, il rischio è che tornino libere persone pericolose", l'intervista di Fabio Tonacci a Stefano Dambruoso.

Ecco gli articoli:

La STAMPA - Francesco Grignetti: "Roberti: 'Isis chiede ai foreign fighters di non andare in Siria e colpire da noi' "

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Francesco Grignetti

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Franco Roberti

È molto preoccupato e non lo nasconde, il superprocuratore Franco Roberti. È il magistrato responsabile della Direzione nazionale antimafia, con la doppia gigantesca responsabilità di coordinare le indagini condotte dalle singole procure contro il crimine organizzato e contro il terrorismo internazionale. Sul suo tavolo confluisce quanto c’è di più delicato. E se gli si chiede che cosa lo spaventi di più, se il moltiplicarsi degli arresti di presunti jihadisti o il rigurgito di violenza camorristica e mafiosa, alza gli occhi al cielo: «Non riesco a dare un ordine di priorità. Sono due fenomeni ugualmente pericolosi che mi preoccupano entrambi».

Procuratore, da Bari a Milano, a Venezia, nell’ultima settimana sono spuntate tante cellule di foreign fighters, reclutatori, o semplici simpatizzanti dell’Isis. Dobbiamo spaventarci?
«Direi che queste scoperte innanzitutto sono la prova provata di quanto siano efficaci le indagini di polizia e d’intelligence nel nostro Paese, sia nell’azione preventiva quando si giunge a un’espulsione precauzionale di un soggetto pericoloso, sia quando ci sono elementi per andare davanti a un magistrato. Ma la somma delle notizie è anche la conferma che siamo di fronte a un fenomeno complesso. Oltretutto ci sono anche intrecci inquietanti: il terrorismo si autofinanzia con traffici di armi, di oggetti d’arte, di droga, anche di esseri umani. Sono attività tipicamente mafiose, al servizio di strategie eversive».

Alcuni giorni fa, un editorialista di questo giornale, l’ambasciatore Stefano Stefanini, sosteneva che se finora ci è andata bene, grazie a investigatori eccellenti e a buone leggi, non c’è garanzia che possa andare sempre così. Tanto più che il Califfato tra Siria e Iraq sembra in difficoltà, deve ritirarsi dai territori occupati, ha problemi a far affluire i militanti, e ora aizza a colpire in Occidente.
«Non escludo questo scenario. E lo dico non basandomi su invenzioni, ma perché mi attengo ai fatti. L’inchiesta dei colleghi della Dda di Milano ha dimostrato che c’era almeno un reclutatore dalla Siria che invitava degli aspiranti foreign fighters a non andare lì, ma a colpire in Italia. Ed è vero: la situazione di Isis è in grande evoluzione sul campo. In tutta evidenza un’evoluzione in Siria, comporta un’evoluzione anche da noi».

Gli 007 di Europol, a loro volta, insistono nel lanciare l’allarme su chi potrebbe nascondersi sotto i flussi d’immigrazione. Temono l’arrivo di nuovi terroristi. Lei è d’accordo?
«Anche qui: non escludo nessuna ipotesi. Il che non vuol dire, naturalmente, che l’Europa debba tirarsi indietro di fronte all’emergenza umanitaria, bensì che occorre controllare al meglio chi arriva. Mi sembra difficile, però, immaginare che l’Isis utilizzi i barconi per infiltrare cellule organizzate, con piani operativi in tasca, pronte a colpire. Vedo piuttosto su quei barconi in arrivo dall’Africa la possibilità che ci siano persone in via di radicalizzazione e che potrebbero finire di radicalizzarsi in Europa. Almeno questo ci dicono alcune inchieste. Penso anche che sia un bene che Europol sia stata coinvolta nella gestione degli hotspot. In fondo a questo scopo è nata Europol, ovvero per il coordinamento tra le polizie nazionali. La gestione in comune dell’emergenza immigrazione mi sembra un caso di scuola».

Procuratore Roberti, passando all’altra competenza, lei ha fatto innumerevoli indagini sulla camorra. Che cosa sta accadendo nella sua Napoli?
«Un fenomeno ricorrente: quando si sgominano i clan storici, e guardi che oggi tutti i vecchi capi sono in carcere, arrivano i nuovi che subito si combattono per il controllo del territorio. Questa volta, però, la situazione è resa più grave dall’arruolamento di tanti giovanissimi che sono incoscienti, nel senso che non hanno alcuna consapevolezza della vita e della morte, non hanno paura del carcere o di finire ammazzati. Questi giovanissimi, peraltro, hanno mutuato modalità gangsteristiche e sono molto pericolosi. Per fortuna, devo dire, il governo si è reso conto che bisogna investire su Napoli, e non soltanto in risorse indispensabili per l’apparato di repressione, ma anche per rivitalizzare la società, per combattere il fenomeno dell’evasione scolastica - che se nella media nazionale è sul 10%, a Napoli supera il 30% - per tenere aperti al pomeriggio i centri sportivi. È su questo terreno che si fa la prevenzione, è qui che si vince o si perde la sfida contro la camorra».

Non solo da Napoli, ma anche dalla Puglia giunge un grido di allarme. Lei non vede una saldatura tra due emergenze criminali?
«Guardi, la connessione c’è ed è storica. Ricordo che la Sacra Corona Unita nacque su input di Raffaele Cutolo, che attraverso i pugliesi voleva gestire il contrabbando delle sigarette. Ed è verissimo che c’è un rigurgito di violenza, oltre che a Napoli, anche nel Foggiano e nel Leccese, con similari accenti gangsteristici».

E intanto in Puglia si organizzava un attentato al procuratore di Napoli su mandato della camorra.
«La scoperta dei preparativi di un attentato al procuratore Giovanni Colangelo, che ha tutta la mia solidarietà, è il segno innanzitutto dell’efficacia dell’azione della procura e della Dda di Bari».

LA REPUBBLICA - Fabio Tonacci:  "Pochi giudici specializzati per un reato così complesso, il rischio è che tornino libere persone pericolose"

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Fabio Tonacci

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Stefano Dambruoso

«Non conosco le carte, quindi mi limito a dire che le decisioni del giudice sono sempre rispettabili ». Il magistrato Stefano Dambruoso, prima di essere eletto alla Camera con Scelta civica nel 2013, si è occupato di Al Qaeda, ha ricoperto incarichi all’Onu e alla Ue come analista della materia, ed è persona troppo esperta per entrare nel merito dell’inchiesta di Bari.

Dambruoso, non è però la prima volta che vediamo presunti terroristi scarcerati pochi giorni dopo l’arresto. C’è il rischio di liberare persone pericolose? «Il rischio, obiettivamente, c’è. Anche perché il profilo del terrorista non è univoco e non è sempre semplice individuarne i connotati. Ci sono ad esempio i lupi solitari, che si radicalizzano senza uscire di casa davanti al web, e ci sono i criminali di quartiere che, come a Molenbeek, mutano le loro inclinazioni dallo spaccio alla jihad. Il terzo profilo, quello più preoccupante, riguarda i gruppi che dalla Siria e dall’Iraq arrivano in Europa per compiere attentati».

Se un gip decide per non convalidare un fermo, vuol dire che quel soggetto è vittima di un errore? «Non necessariamente. In molti casi il giudice ritiene che gli indizi raccolti siano comunque sufficienti per considerare una persona pericolosa per la sicurezza nazionale e quindi da espellere dal territorio italiano. L’associazione terroristica internazionale è un “reato di pericolo”, che ci consente di intervenire prima che si compia il fatto. Non dobbiamo dimostrare che l’attentato sarà commesso in Italia, o in Siria, perché la norma è orientata alla prevenzione e quindi non lo richiede. Negli ultimi mesi ci sono state stragi preparate in 20-30 giorni, e non è sempre possibile intervenire con una investigazione classica».

Nel suo libro, il Procuratore nazionale antimafia Franco Roberti scrive che potrebbero essere utili giudici specializzati sui reati di terrorismo. È d’accordo? «Sì. Altrimenti può capitare che a valutare situazioni complesse siano gip che nell’arco di una mattinata passano da casi di bancarotta a furti aggravati e terrorismo. Appena sono arrivato in Parlamento ho depositato una proposta di legge ad hoc, recepita dal decreto Alfano del 2015 nella parte in cui proponevo l’istituzione di una Procura nazionale antiterrorismo. Non è stata accettata, invece, la parte sulla magistratura giudicante».

Perché? «Magistrati importanti come Armando Spataro e Giuseppe Pignatone in commissione Giustizia si sono detti contrari».

Perché lei ritiene che sia un reato così diverso dagli altri? «Per la prima volta è entrata nelle considerazioni del nostro legislatore l’attività condotta prevalemente all’estero. Quando studiavamo legge noi, ragionavamo sulla competenza territoriale, senza pensare a cosa succedeva fuori dall’Italia. Questo fa davvero la differenza rispetto alla stragrande maggioranza dei reati commessi dalla criminalità organizzata non terroristica».

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