Riprendiamo dalla REPUBBLICA dell'8/05/2016, con il titolo "Egitto, condanna a morte per il direttore di 'Al Jazeera' ", la cronaca di Fabio Scuto sulla condanna a morte del direttore di Al Jazeera, come recita il titolo.
Per informare adeguatamente il lettore, e rendere possibile comprendere gli antefatti della sentenza, occorreva ricordare che Al Jazeera è la rete tv del Qatar che ha coordinato tutti quei movimenti "spontanei" che hanno segnato le cosiddette "Primavere arabe". La conseguenza è stata i cambi di regime in diversi Paesi, tra cui l'Egitto. Dopo Mubarak, grazie ad Al Jazeera, il potere è andato ai Fratelli musulmani con il presidente Mohammed Morsi.
Presentare quindi Al Jazeera come una normale televisione è del tutto falso, essendo uno strumento politico agli ordini di uno Stato straniero, il Qatar. I condannati ricorreranno in appello, e non ci vuole molto a immaginare che la sentenza di morte per il direttore non verrà mai eseguita.
I nostri media, che non perdono occasione di presentare in termini molto critici il regime di Al Sisi, non hanno mai condannato in passato Morsi, così come hanno sempre dipinto i Fratelli musulmani come espressione dell' "islam moderato".
Ecco l'articolo:
Fabio Scuto
La giustizia egiziana nei tempi di Al Sisi appare sempre più come un apparato per la vendetta del regime che non un potere autonomo dello Stato. Ieri in due distinte udienze la dimostrazione che i giudici hanno ricevuto dal palazzo presidenziale di Heliopolis l’ordine di usare la “mano dura”. Nella prima un tribunale egiziano ha condannato a morte sei persone, tra le quali due giornalisti di Al Jazeera, con l’accusa di aver rivelato al Qatar segreti di Stato. La condanna sarà sottoposta al muftì d’Egitto, massima autorità religiosa sunnita del paese, che potrà dare il suo via libera o chiedere di bloccarne l’esecuzione. Il parere del muftì non è giuridicamente vincolante, i giudici si esprimeranno nuovamente il 18 giugno.
Ai condannati resta una possibilità di ricorrere in appello. I sei sono coimputati insieme all’ex presidente Mohamed Morsi, ma i giudici hanno deciso di rinviare il suo caso a un’altra udienza. Una scelta che, stando al quotidiano Al Ahram, fa pensare che non siano orientati a condannarlo a morte. Quasi contemporaneamente nella sede della Corte d’appello ad Abbassya si è avuta un’altra dimostrazione della “mano ruvida” della giustizia egiziana. Il giudice che presiedeva l’udienza per il rilascio di Ahmed Abdullah — capo della Commissione egiziana per i diritti umani e consulente della famiglia di Giulio Regeni — ha deciso di espellere dall’aula non solo i cittadini stranieri presenti ma anche i rappresentanti diplomatici di Italia e Gran Bretagna che seguono da vicino il caso. Ahmed Abdullah, arrestato il 25 aprile, è accusato di incitamento alla rivolta e terrorismo.
Abdullah è entrato in aula portando un foglio con la scritta in arabo: “Verità per Regeni”. I giudici hanno infine deciso di prorogarne di 15 giorni la custodia cautelare. Ieri al Cairo sono tornati gli investigatori italiani dello Sco e del Ros dei Carabinieri per colloqui con i colleghi egiziani sul caso di Regeni. Sono nella capitale su invito del procuratore generale egiziano, Nabil Sadeq. La visita durerà un paio di giorni e dal suo esito dipenderà l’eventuale ritorno al Cairo dell’ambasciatore italiano, Maurizio Massari, richiamato a Roma “per consultazioni” lo scorso 8 aprile, dopo il fallimento della cooperazione tra i team investigativi italiano ed egiziano. Il vertice con gli egiziani è previsto per oggi.
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