Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 08/05/2016, a pag. 16, con il titolo "Marsiglia e l'islam", il reportage di Lorenzo Cremonesi.
Dal testo di Lorenzo Cremonesi: "Marsiglia 900.000 abitanti, 300.000 musulmani. Marsiglia, la città più musulmana dell'Europa occidentale che voleva essere un modello di multiculturalismo mediterraneo, aperto, dialogante e tollerante, costituisce oggi il simbolo del fallimento delle speranze di coesistenza".
Ecco l'articolo:
Lorenzo Cremonesi
Musulmani in preghiera a Marsiglia
Partiamo dal peggio del peggio. Quartiere de La Castellane, periferia delle periferie di Marsiglia tra il 15° e 16° arrondissement . Un nido di palazzoni costruiti alla fine degli anni Sessanta, oltre 5.000 abitanti, quasi tutti immigrati da Algeria, isole Comore, Marocco e Tunisia. Oggi il cuore del traffico della droga. Decine di ragazzini in motorino, sembrano tutti minorenni, fanno la guardia alle vie di entrata e nei punti di spaccio. Quasi non passa settimana senza qualche regolamento di conti a colpi di pistole e mitra tra bande rivali. Proviamo ad avvicinarci per ottenere il permesso di accesso. «Vorremmo visitare la casa natale di Zinedine Zidane», chiede Rashid, 27 anni, figlio di immigrati dal Marocco mezzo secolo fa che ci fa da tassista e guida. Forse il pretesto è patetico, ci diranno poi che spesso i giornalisti usano come alibi il celebre calciatore per vedere la zona.
Ovvio comunque che loro non abboccano. «Via di qui, coglioni! Via subito!», urlano due alti e magri, sembra non abbiano neppure sedici anni, coprendosi subito il volto con una bandana nera. Dal walkie-talkie gracchiante che hanno appeso al collo giungono ordini concitati. Altri tre ci inseguono. Le auto bruciate sul ciglio della strada testimoniano che fanno sul serio. «Sono in guerra per il controllo del mercato con giri da centinaia di milioni di euro al mese. L’attività di gran lunga più lucrosa a Marsiglia. Non vogliono testimoni», dice Rashid pigiando sull’acceleratore per allontanarsi. Più tardi torniamo senza chiedere nulla. Un tour rapido, giusto per osservare l’abbandono, lo sporco, giovani e giovanissimi che bighellano per le strade, non vanno a scuola, non lavorano. Ogni tanto transita veloce un’auto della polizia e le «sentinelle» lanciano l’allarme. In pochi secondi le vie si fanno deserte.
Tornando verso il centro, la situazione è certo migliore. Eppure, resta immanente l’atmosfera di degrado e povertà. L’osservi subito lasciando l’area turistica, i bistrot, i ristoranti di pesce, i negozi alla moda, le migliaia tra yacht e barche a vela ormeggiate al Vieux Port dominato dalle fortezze medioevali. Imbocchi la Canebière, la via principale di Marsiglia, e subito incontri palazzi principeschi ridotti in dormitori sporchi e malandati. C’è come un’atmosfera di decadente putrescenza: persiane sfondate, magnifiche facciate ormai polverose e sbrecciate, balconi semi-crollati. Per molti versi ricorda gli splendori distrutti di Alessandria, l’abbandono in cui versano gli edifici dell’epoca coloniale nel cuore del Cairo, con gli animali sul tetto e più famiglie con nugoli di bambini accampate in appartamenti una volta ampi e luminosi dove stava il fior fiore della borghesia araba.
«Marsiglia, la città più musulmana dell’Europa occidentale che voleva essere un modello di multiculturalismo mediterraneo, aperto, dialogante e tollerante, costituisce oggi il simbolo del fallimento delle speranze di coesistenza. Al suo cuore sta la crescita del disagio sociale e della criminalità. In più, la radicalizzazione dell’elemento musulmano sta aggravando la situazione in modo intollerabile», ammette a malincuore Sébastian Madau, redattore capo de La Marseillaise , il maggiore quotidiano locale. Il politologo Gilles Kepel, che su Marsiglia ha scritto i primi capitoli del suo Passion Française , con i suoi quasi 300.000 musulmani su meno di 900.000 abitanti, la definisce «città algerina per eccellenza, caratterizzata però da una gioventù che ha riscoperto e interiorizzato gli orrori della guerra anti-coloniale mezzo secolo fa, tanto da farne motivo di rabbia e risentimento».
Numerosi tra i francesi non musulmani guardano con nostalgia al passato laico e «rosso» del loro maggior porto sul Mediterraneo. «Mezzo secolo fa qui stavano i migranti italiani, socialisti o comunisti. Oggi il loro posto è preso dai barbuti salafiti, che sono persino pronti capire le ragioni di Isis e del terrorismo», dice risentita Sonia De Carlo, figlia di immigrati campani, nata 42 anni fa a Parigi, ma residente dal 1980 al 1994 a Marsiglia, dove è tornata quattro anni fa. «Avevo nostalgia per questa città, la sua atmosfera levantina, il misto di culture, il clima, il mare, odori e sapori unici. Ma sinceramente sono delusa. Non la riconosco più. Tra i musulmani impera una rabbia noi nostri confronti che prima non c’era. Quel sano e vitale senso di essere diversi, ma parte della stessa comunità, rispettosi gli uni dell’identità dell’altro, è svanito. Oggi ognuno sta nei suoi quartieri, siamo diventati una città di ghetti. Negli ultimi mesi sono stata aggredita due volte da maghrebini. Non era mai successo. La prima mi hanno derubata. La seconda mi hanno spinta a terra e dato della puttana, dicendo che se volevo potevo pure chiamare la polizia. Così, per puro disprezzo, violenza fine a se stessa, che mi fa paura», si sfoga.
C’è dunque il pericolo che la criminalità comune si coniughi con l’estremismo islamico? «Molto alto. La polizia locale ha già coniato il termine “islamo-mafiosi” per definire i clan del racket della droga alleati ai circoli religiosi estremisti», spiega David Coquille, veterano delle cronache giudiziarie per La Marseillaise . E mostra alcuni documenti riservati della questura locale dove il fenomeno viene quantificato. Circa 150 sono gli osservati speciali nella regione di Marsiglia sino alle bocche del Rodano perché sospettati di simpatie per Isis. Una ventina è stata arrestata per aver apertamente inneggiato agli autori dei massacri di Parigi e Bruxelles.
«Occorre assolutamente controllare gli imam radicali che predicano a favore di Isis nelle moschee minori. Non possiamo permettere che minino le fondamenta della nostra coesistenza civile. Molti di loro erano legati ai partiti del fronte islamico algerino», ammette Salim Abouislam, 43 anni, noto imam moderato della moschea Sheikh Rabia nel 13° arrondissement , autore di un appello pubblico di condanna al terrorismo. Immigrato dall’Algeria vent’anni fa, l’imam Salim da tempo parla della necessità di combattere i «cattivi maestri» che in nome del Corano fiancheggiano la violenza sino a «beatificare» Isis. E piange la perdita dei cosiddetti «Chibani», gli anziani, che nelle vecchie comunità algerine si occupavano di amministrare le moschee: «Gli Chibani da sempre avevano un’autorità moderatrice di controllo sociale. Ma oggi i vecchi sono stati soppiantanti dall’arroganza dei giovani. E la fine dei valori tradizionali rende più difficile la lotta contro il radicalismo religioso».
Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, telefonare 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante