Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 16/04/2016, a pag.17, con il titolo "La strategia araba di Parigi, legame con i regimi sunniti per garantire stabilità e affari" il commento di Stefano Montefiori.
François Hollande Stefano Montefiori
PARIGI La priorità della Francia è la stabilizzazione del Medio Oriente, meglio se cercata con l’aiuto di importanti contratti commerciali a vantaggio delle proprie industrie. I diritti umani vengono dopo, e si potrà sempre dire — come già fa un diplomatico francese — che su questo tema «Hollande al Cairo agirà in modo discreto ed efficace». Efficace forse, discreto di sicuro. Oggi il presidente della Repubblica francese partirà per il Libano, inizio della sua tournée mediorientale che lo porterà domani sera in Egitto e martedì in Giordania. Il viaggio al Cairo in questo momento segna forse il punto più basso nella credibilità di Hollande quanto alla difesa dei principi in politica estera, che pure fu una delle sue grandi promesse elettorali. Per la seconda volta in neanche un anno Hollande vola a incontrare il dittatore Al Sisi, che non è semplicemente un uomo con il quale fare affari miliardari, ma ormai il partner politico decisivo della Francia nella regione. Parigi ha contribuito non poco al caos in Libia, facendo cadere Gheddafi quando presidente era Sarkozy ma tralasciando — come gli altri alleati del resto, America compresa — di pensare al dopo. Oggi, mentre Italia, Spagna, Gran Bretagna e Francia fanno a gara per riaprire le loro ambasciate a Tripoli, Hollande sa che non potrà agire in Libia senza l’appoggio del vicino Egitto e del suo presidente Al Sisi. La presidenza Hollande rappresenta una rottura con il passato, ma non nella direzione che vorrebbero i difensori dei diritti umani: la Francia si vede ormai come garante della stabilità internazionale, e per questo è stata pronta a intervenire in Mali, nella Repubblica centroafricana e in Siria (nell’agosto 2013 fu Obama a fare marcia indietro all’ultimo momento). L’attivismo medio orientale di Hollande si è spinto in questi due anni fino a cercare di sostituirsi agli Usa come partner privilegiato dei regimi sunniti della regione. Quanto Washington si riavvicinava all’Iran sciita, tanto Parigi frenava nei negoziati sul nucleare con Teheran, preferendo curare i rapporti con i suoi nuovi amici: Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto. Il ministro degli Esteri Jean-Marc Ayrault il mese scorso ha presentato agli egiziani una lista dei casi più gravi di violazione dei diritti umani, ma non è ancora certo che Hollande farà lo stesso lunedì durante il colloquio con Al Sisi, anche se fonti diplomatiche sostengono che il presidente evocherà il caso Regeni. Quel che è sicuro è che una sessantina di uomini d’affari accompagneranno Hollande, e che è prevista la firma di circa 30 accordi: militari, ma anche nel campo della finanza, energia, turismo e cultura. Una partnership a tutto campo. Certe considerazioni politiche che impedirono la consegna alla Russia delle due navi da guerra Mistral, già pagate, per l’Egitto non valgono: tanto che la Francia ha ridato indietro i soldi alla Russia e ha rivenduto le due Mistral proprio al Cairo, che riceverà la prima fregata entro giugno. Alla Russia no, ma all’Egitto sì. Il gruppo francese Dcns potrebbe poi fornire altre quattro navi da guerra, mentre Dassault Aviation, che nel febbraio 2015 ha già venduto ad Al Sisi 24 caccia Rafale, spera di convincere il leader egiziano a far valere la sua opzione per altri 12 aerei. La flotta di jet privati del governo egiziano è composta oggi da aerei americani ma — i simboli sono importanti — Dassault conta di sostituirli con quattro Falcon. Quattro Ong protestano invano, Bénédicte Jeannerod (Human Rights Watch) dice che la visita di Hollande arriva «in un momento drammatico, senza precedenti negli ultimi anni in Egitto». Il caso Regeni è giunto a disturbare — non troppo, tutto sommato — la politica ormai consolidata della «patria dei diritti dell’uomo».
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