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Corriere della Sera Rassegna Stampa
16.04.2016 Da Calais, la grande crisi delle migrazioni
Reportage di Emmanuel Carrère

Testata: Corriere della Sera
Data: 16 aprile 2016
Pagina: 5
Autore: Emmanuel Carrère
Titolo: «A Calais dove i migranti sono chiamati 'siberiani'»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 16/04/2016, a pag.5, con il titolo "A Calais dove i migranti sono chiamati 'siberiani' " il reportage di Emmanuel Carrère. Le sue opinioni sono sempre originali, interessanti.
Segnaliamo una pagina di IC del 05(04/2015: 

http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=120&id=57767

Ecco il pezzo:

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                                                       Emmanuel Carrère

Pro e contro i migranti sono espressioni bizzarre. Pro migranti nel vero senso della parola non ce ne sono, dato che nessuno è favorevole ad avere alle porte di una città di settantamila abitanti una popolazione di settemila disgraziati ridotti allo stremo, che dormono in tende di fortuna, nel fango, al freddo e che ispirano, a seconda del carattere di ciascuno, apprensione, pietà o sensi di colpa. Quelli che sono davvero contro i migranti, invece, i fanatici capaci di sbraitare: «Annegateli tutti!» o: «Rimandateli a casa loro!» — che in fondo sarebbe la stessa cosa —, quelli, sì, ci sono, ne ho incontrati alcuni, ma non sono certo la maggioranza. Molti dicono che la situazione era gestibile quando c’erano soltanto «i kosovari», arrivati negli anni Novanta, alla fine della guerra dei Balcani — e così ancora oggi vengono chiamati, soprattutto dai vecchi, gli stranieri senza permesso di soggiorno —. Erano solo poche centinaia di persone, si poteva farsene una ragione. Ma ora che ci sono «i siberiani» è veramente troppo. Me li hanno nominati un paio di volte, «i siberiani». Ci ho messo un po’ a capire che si trattava dei siriani e con loro dei curdi, degli afghani, degli eritrei, dei sudanesi, di tutti quelli che arrivano, ormai a migliaia, dal Medio Oriente o dall’Africa orientale, Paesi devastati dalla guerra, come ci ripetono ogni giorno in televisione, sicché, certo, uno li capisce, poveracci, se scappano, ma vorremmo che si fermassero ovunque tranne che nel nostro giardino. Va bene accoglierli, ma perché da noi? Perché a Calais, che ha già tanti problemi? Nessuno è contento dell’ingombrante presenza dei migranti, e i migranti stessi sono disperati all’idea di dover restare qui, ma mentre chi è contro i migranti se la prende direttamente con loro — con una buona dose di razzismo, bisogna dirlo —, per i pro migranti il problema è quello dello Stato, dell’Europa e soprattutto dell’Inghilterra, dove vogliono andare tutti, e che non li vuole, e ci ha fatto il brutto scherzo di metterci la frontiera in casa per poi affidarci il compito di occuparcene e di sorvegliarla. Questa fregatura si chiama trattato di Le Touquet e lo conoscono perfino quelli che chiamano «siberiani» i siriani. Firmato nel febbraio del 2003, il trattato di Le Touquet è un’intesa che mira a regolamentare la gestione dei flussi migratori tra Francia e Inghilterra e di fatto stabilisce che le frontiere francesi siano sorvegliate dagli inglesi e quelle inglesi dai francesi. Sulla carta sembra un accordo simmetrico. Il problema è che nessun migrante cerca di passare dalla Gran Bretagna alla Francia — uno dei Paesi europei considerati meno appetibili —, mentre a migliaia tentano ogni anno con tutti i mezzi, e spesso mettendo a repentaglio la propria vita, di passare dalla Francia alla Gran Bretagna — dove le leggi sul lavoro sono più flessibili, i controlli sull’identità delle persone meno frequenti e le comunità straniere più unite, senza contare che molti migranti masticano l’inglese. In pratica, il risultato del trattato di Le Touquet ce l’abbiamo sotto gli occhi quando usciamo dall’autostrada 16 per imboccare la circonvallazione esterna che conduce al porto e al terminal dei traghetti. Sembra di essere in un film di guerra o in un videogioco post-apocalittico. Le camionette dei Crs (gli agenti anti sommossa, ndr ) stazionano a decine sulla corsia d’emergenza e sorvegliano dall’alto la più grande bidonville d’Europa. Appena fa buio, ragazzi con giacche a vento nere e berretti di lana, che sopravvivono a fatica nella bidonville, si lanciano all’assalto della circonvallazione, e tentano strategie diversive di ogni sorta — lanci di rami, di carrelli del supermercato... — per distrarre i Crs e rallentare la circolazione nella speranza di saltare a bordo di un camion. Ci sono molti incidenti, spesso mortali, e anche chi ce la fa, una volta giunto al porto, ha pochissime probabilità di superare la dogana perché i controlli sono sempre più sofisticati: cani, infrarossi, termo-rilevatori e rilevatori del battito cardiaco. È un incubo per tutti: per i migranti, per i Crs, per i camionisti e per gli automobilisti che temono ora di essere aggrediti da un migrante ora di investirne uno — ennesima variante, estremamente semplificata, dell’opposizione tra chi è pro e chi è contro.

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lettere@corriere.it

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