Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 14/04/2016, a pag. 3, con il titolo "La Cia manda segnali di guerra alla Russia trincerata in Siria", l'analisi di Daniele Raineri.
Daniele Raineri
Bombardamenti russi in Siria: solo una piccola parte è contro lo Stato islamico
Roma. Il Wall Street Journal di ieri riferisce di un piano B per la Siria della Cia americana e degli alleati regionali – da intendere come: Turchia, Giordania e Arabia Saudita – in caso di completo collasso del cessate il fuoco. Il piano prevede l’invio di armi anche antiaeree a gruppi selezionati di ribelli, in modo da colmare il gap con le forze che combattono in nome del presidente Bashar el Assad e che hanno a disposizione il supporto aereo russo. Il piano è stato delineato in un incontro tra i vertici “di alcuni servizi segreti in medio oriente” prima della cessazione delle ostilità (quindi due mesi fa) e affronta il grande tabù della guerra civile in Siria: dare o non dare ai gruppi ribelli i missili terra-aria per difendersi dai bombardamenti aerei – e rischiare che cadano in mano a gruppi terroristici?
Il pezzo del Wall Street Journal suona come un avvertimento deliberato dato ai media dopo che domenica il ministro degli Esteri siriano, Walid al Moallem, ha annunciato una offensiva imminente per prendere tutta la città di Aleppo, oggi divisa a metà tra i due contendenti. Il cessate il fuoco di fine febbraio è arrivato in una fase strana della rimonta assadista, giunta alle porte della città: dopo avere riguadagnato molto terreno, le forze appoggiate dagli aerei mandati dal governo russo non sono riuscite o non hanno voluto prendere gli ultimi cinque chilometri che avrebbero stretto Aleppo in un assedio completo.
La cosa è sembrata talmente bizzarra da far supporre che la presa di Aleppo, seconda città del paese spezzata in due dal luglio 2012, sia considerata una svolta capace di spazzare via ogni ipotesi di negoziato di pace, e che per questo gli sponsor russi abbiano trattenuto i loro alleati sul terreno dal coprire gli ultimi, fatali chilometri. Non è un caso che lunedì, dopo la dichiarazione bellicosa del governo siriano, il comando russo abbia dichiarato che la Russia non appoggerà l’offensiva su Aleppo, e questa è stata una mancanza di sintonia pubblica tra Mosca e Damasco molto rara.
Non è un caso che la tregua sia ancora considerata in vigore in via ufficiale, anche se dal punto di vista pratico è caduta in pezzi, considerato che si combatte e si bombarda su tutti i fronti. Finché “dura”, si può tornare ai tavoli del negoziato. Il fatto che ieri il Wall Street Journal abbia pubblicato un pezzo minaccioso e che fa balenare il cosiddetto “scenario afghano” (negli anni Ottanta i mujaheddin afghani abbattevano elicotteri e aerei sovietici grazie ai missili portatili americani Stinger) potrebbe far parte dei segnali che i due fronti si lanciano. Lo scenario afghano è in realtà un’ipotesi irrealizzabile, perché il teatro siriano è troppo complicato e con troppe fazioni discordanti, perché viviamo in un mondo post 11 settembre e perché il peso politico – se le cose vanno storte e i missili colpiscono bersagli civili – sarebbe difficile da sopportare.
Se l’argomento viene oggi fuori è forse per controbilanciare il fatto che la Russia non si è ritirata, come invece aveva detto di avere fatto, e in Siria ha aperto una seconda base e ha sostituito i pochi aerei riportati in patria con alcuni elicotteri da guerra anche più efficienti. E anche per opporsi all’impiego ormai ufficiale di truppe regolari dell’Iran, proprio a sud di Aleppo, e non più soltanto delle Guardie rivoluzionarie e delle milizie sciite. In definitiva è un articolo che suona come un curioso tentativo di deterrenza via carta stampata. Ieri il Financial Times ha scritto un’analisi interessante sul fatto che la Russia sta cercando di domare il governo siriano, che ormai si sente di nuovo troppo al sicuro e fa di testa sua. Per questo i russi starebbero cercando di controllare i pilastri della sicurezza di Assad e avrebbero ottenuto l’allontanamento del fratello, Maher el Assad, dalla guida della Guardia repubblicana e della Quarta divisione corazzata, le unità più fedeli del regime. Ieri in Siria ci sono state le “elezioni parlamentari”, che la Russia aveva chiesto di non indire.
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