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Il Foglio Rassegna Stampa
05.04.2016 Elisabeth Badinter e lo spauracchio dell'islamofobia
Commento di Mauro Zanon

Testata: Il Foglio
Data: 05 aprile 2016
Pagina: 1
Autore: Mauro Zanon
Titolo: «La leonessa delle femministe francesi Elisabeth Badinter non abbocca al trucchetto dell' 'islamofobia'»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 05/04/2016, a pag. I, con il titolo "La leonessa delle femministe francesi Elisabeth Badinter non abbocca al trucchetto dell' 'islamofobia' ", il commento di Mauro Zanon.

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Mauro Zanon

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Elisabeth Badinter

Parigi. Essere tacciati di islamofobia? “Un’infamia” fabbricata dagli “islamo-goscisti”. Per dire che l’accusa di islamofobia è un bavaglio per tappare la bocca a chi difende la laicità in maniera intransigente, ci voleva ancora lei, Elisabeth Badinter, la “féministe universaliste”, come le piace autodefinirsi, che a gennaio, facendo rizzare i capelli alle suffragette multiculti, disse che “non bisogna aver paura di farsi trattare da islamofobi”, e che domenica, in un’intervista al Monde, ha ribadito il concetto forte e chiaro: “Penso che la maggior parte dei francesi condivida questo punto di vista, ma sono paralizzati dall’accusa di islamofobia. Essere trattati da islamofobi è un’infamia, un’arma che gli islamo-goscisti hanno offerto agli estremisti. Tacciare di islamofobia coloro i quali hanno il coraggio di dire ‘Vogliamo che le leggi della République si applichino a tutti e prima ancora a tutte’ è un’infamia”. Il pretesto per tornare ad attaccare le sue ex compagne di battaglie – ex perché per tutte, ora, nonostante la sua storia, “L’Amour en plus”, gli occhi cerulei e i capelli biondo-cenere, è soltanto “l’islamofoba Badinter” – è un appello al boicottaggio di quelle marche che hanno creato e contribuito a promuovere la moda islamica: Dolce&Gabbana, con i suoi hijab di lusso e i veli ricamati; la svedese H&M, con la sua pubblicità ritraente una donna musulmana velata e un invito “siate chic”; la giapponese Uniclo, pronta a lanciare una linea di hijab nei suoi store londinesi; la britannica, Marks&Spencer, che ha appena messo in vendita i suoi “burkini”, costumi da bagno fatti apposta per le donne musulmane, che lasciano scoperti solo mani, piedi e viso.

Queste marche, per la filosofa e femminista parigina, non contribuiscono semplicemente allo sviluppo di nuove linee di abbigliamento, ma rendono mainstream una cultura della sottomissione, una mortificazione del corpo della donna, un nascondimento della bellezza femminile, e questo, con gli ideali di libertà universali per i quali ha combattuto una vita intera, stona incredibilmente. “La ministra ha utilizzato un termine sfortunato, parlando di ‘negri’, ma ha perfettamente ragione nel merito”, ha dichiarato al Monde Badinter, riferendosi alla dura presa di posizione della ministra della Famiglia, dell’Infanzia e dei Diritti delle donne, Laurence Rossignol, che la scorsa settimana ha paragonato il velo islamico portato dalle donne alla schiavitù dei neri e giudicato “irresponsabili” le case di moda che lanciano linee di abbigliamento islamiche.

Mentre tutta la gauche, politica e intellettuale, si è dissociata dalle dichiarazioni dalla ministra Rossignol, Badinter, dopo Pierre Bergé, ha pensato invece che era il momento di battere i pugni sul tavolo contro le ipocrisie degli “islamo-goscisti” e delle “femministe” che passano il loro tempo a denunciare il presunto machismo dilagante e poi però restano in silenzio sulla regressione dei diritti delle donne nei numerosi quartieri controllati in Francia dai salafiti. “Non si può difendere il velo islamico e dirsi femministe”, ha attaccato Badinter, che a settantadue anni continua a battagliare con la stessa energia di quando ne aveva quaranta in meno, e con “L’Amour en plus” sconvolgeva il modo di pensare alla maternità. Il suo discorso in difesa di una laicità intransigente, e non a geometria variabile, è rimasto immutato dal celebre appello pubblicato nel 1989 sul Nouvel Observateur, “Prof. Non capitolare!”, nel quale veniva chiesto al ministro dell’Istruzione dell’epoca, Lionel Jospin, di vietare il velo islamico a scuola.

La sua firma apparse accanto a Alain Finkielkraut, Régis Debray, Elisabeth de Fontenay, Catherine Kintzler, a quei pensatori che già sentivano scricchiolare le fondamenta sulle quali era seduta la sacra laïcité e mettevano in guardia dalla troppa tolleranza concessa dalla gauche alla religione islamica. Badinter non ha mai perdonato alla sinistra francese di aver ceduto alla pressione dell’islam: “Nell’arco di dieci anni, numerose ragazze di quartiere hanno cominciato a portare il velo in Francia. Rivelazione divina? No, aumento della pressione islamica”, ha detto domenica al Monde. Dietro l’ultima sfuriata di Madame Badinter e l’affaire Rossignol, c’è tutto “il malessere della gauche al cospetto dell’islam”, come scritto ieri dall’Huffington Post francese. Da una parte la gauche multiculti che “difende l’affermazione dell’identità musulmana in nome di una visione del monde che predica la mescolanza di culture in seno a una stessa comunità, senza riferimenti a una cultura specifica ereditata dalla storia nazionale”, dall’altra una gauche che mantiene un discorso fermo sui “valori universali di libertà”, sull’“uguaglianza degli individui”, “in particolare tra uomo e donna”, e difende la laicità anche “a costo di farsi trattare da islamofobi”, per riprendere le parole della Badinter. La stessa idea di laicità che ha portato le hostess di Air France a ribellarsi in questi giorni contro il velo che la direzione vuole imporre a tutte quando vanno in Iran.

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