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La Repubblica Rassegna Stampa
01.04.2016 Sicurezza e antiterrorismo: tutti a scuola all'aereoporto Ben Gurion
Commento di Fabio Scuto

Testata: La Repubblica
Data: 01 aprile 2016
Pagina: 13
Autore: Fabio Scuto
Titolo: «Check point e intelligence, il modello Tel Aviv per la caccia ai terroristi»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 01/04/2016, a pag. 13, con il titolo "Check point e intelligence, il modello Tel Aviv per la caccia ai terroristi", il commento di Fabio Scuto.

A destra: l'aereoporto Ben Gurion di Tel Aviv

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Fabio Scuto

«La minaccia che stiamo affrontando in Europa è dello stesso calibro di quella a cui si trova di fronte Israele», spiega Olivier Guitta, amministratore delegato di “GlobalStrat”, una società di servizi di sicurezza di livello internazionale. E Israele, che da decenni è nel centro del mirino, ha un suo rodato protocollo di sicurezza: un intelligente mix tra tecnologia e Humint (Human Intelligence) in grado di alzare le linee di difesa ad un livello elevato e dimostra, specie per obiettivi sensibili come gli aeroporti, come non basti spendere fortune in hi-tech per i bagagli se poi il nemico può colpire nell’atrio passeggeri. Il “protocollo” israeliano è molto apprezzato nel mondo dove in ambito privato le sue compagnie di security lavorano alla protezione di “obiettivi sensibili”, come grandi navi, aeroporti, centrali nucleari, istallazioni per telecomunicazioni. L’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv — uno dei più sicuri al mondo dove transitano in media 14 milioni di passeggeri l’anno — incorpora diversi livelli di sicurezza, attivi ancor prima di poter arrivare alla sala partenze. Il personale di sicurezza ha accesso alle liste dei passeggeri, ed è in grado di effettuare controlli incrociati con quelle di persone “sotto sorveglianza” in modo da sapere subito chi, all’arrivo, dovrà passare attraverso un livello di controllo più severo e chi sarà invece “trattenuto”.

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Passeggeri all'aereoporto Ben Gurion di Tel Aviv

La lista deve essere disponibile 24 ore prima del volo, il passeggero dell’ultimo minuto è sempre “sospetto” e i controlli per lui saranno massimi. Il primo controllo di sicurezza è in realtà già sulla strada per l’aeroporto. Per entrare c’è uno sbarramento di check-point — come caselli autostradali — dove tutte le auto vengono fermate, ai passeggeri viene chiesto dove vanno e perché, se del caso devono mostrare biglietti e passaporti. All’arrivo sul marciapiede dove dalle auto e dai pullman scendono i passeggeri e si scaricano i bagagli, occhi attenti — in abiti borghesi — seguono con attenzione chi fa cosa. Alla porta a vetri c’è un terzo livello di sicurezza, l’ingresso è “filtrato” da agenti in divisa. Tutto questo viene monitorato da decine di telecamere ma soprattutto si avvale in maniera determinante dell’osservazione umana.

Gli “occhi” della security cercano le incongruenze: portare i guanti in un pomeriggio di primavera è “una incongruenza”, così come indossare un cappotto fuori stagione. Ma anche (e soprattutto) atteggiamenti e posture. Nella hall, i passeggeri devono seguire apposite corsie che terminano davanti a dei giovani addetti alle “interviste di sicurezza”. Un controllo del passaporto e semplici domande ma ripetute più volte, sulla destinazione, su chi ha confezionato il bagaglio, se si sono ricevuti souvenir o pacchetti da portare per conto di qualcuno. Un questionario che serve solo a controllare il comportamento e le reazioni del passeggero. Se qualcosa non va la conversazione prosegue in appositi uffici, in maniera più stringente. Soltanto dopo “l’intervista di sicurezza” si può accedere al check-in e lasciare il bagaglio da stiva. C’è poi ancora il controllo del bagaglio a mano al metal detector.

Diversamente dalla maggior parte degli aeroporti nel mondo ai passeggeri non viene chiesto di semi-spogliarsi ma semplicemente estrarre dalla borsa il laptop e i telefoni cellulari. Cinte, scarpe e orologi possono rimanere al loro posto. Solo a questo punto si arriva davanti alla Polizia di Frontiera che timbrerà il passaporto per l’uscita e si potrà accedere all’atrio delle partenze. I tempi della sicurezza al Ben Gurion sono lunghi, ma non proibitivi e spesso inferiori a quelli di molti scali europei e nordamericani. In giorni normali l’intera trafila può durare mezzora, in quelli di punta per vacanze o festività il doppio. Shlomo Har-Noi, dirige “Shadma” una società di Herzilya che dà consigli su come proteggere infrastrutture critiche in mezzo mondo, sostiene che «Usa e Europa combattono la guerra di ieri, spendono somme folli in sistemi di sicurezza hi-tech e poco nell’elemento umano». «E poi», conclude, «chi si concentra sul prendere una bottiglia d’acqua da una vecchia signora, non potrà mai trovare esplosivi».

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