Riprendiamo da SETTE, supplemento del CORRIERE della SERA, di oggi, 27/03/2016, a pag.32, con il titolo "Diamo la moschea ai musulmani", il commento di Stefano Jesurum.
Stefano Jesurum
Ennesima prova di quanto i buoni sentimenti lastrichino l'inferno. Chi mai negherebbe a dei fedeli il diritto di pregare in un luogo deputato alla loro fede ? Nessuna persona civile, ovviamente. Tutte le fedi ne hanno il diritto, e nessuno in Italia l'ha mai impedito. Ma se non si scrive perchè il problema si presenta con l'islam , allora o si è in mala fede o si vive su una ltro pianeta. Tertium non datur. Jesurum ignora infatti che le moschee, non solo in Italia, sono luoghi strettamente collegati con il fondamentalismo islamico, spesso rifugio di estremisti legati al terrorismo, dove gli imam predicano in arabo, allontanando la prospettiva di una vera integrazione, infatti l'arabo continua a essere la lingua parlata dalle nuove generazioni a danno dell'italiano. Come si può, data questa realtà, augurarsi le costruzione di nuove moschee, quando non si è in grado di controllare quelle esistenti?
Carlo Panella
Una valutazione simile ci è venuta in mente leggendo sul GIORNALE, il pezzo a pag.2, dedicato alla proposta che Carlo Panella ha rivolto alla Rai: aprire programmi in arabo per... facilitare l'integrazione dei musulmani in Italia!.
Ma la strada da perseguire è l'inverso di quanto propone Panella, semmai corsi di italiano, affinche capiscano in che paese hanno scelto di vivere, ne conoscano i valori e le leggi. Altro che aprire programmi in arabo !
Ovviamente non abbiamo nulla contro l'apprendimento dell'arabo, anzi, dovrebbero studiarlo i non-musulmani, conoscere la lingua dell'islam può risultare utile in molte occasioni...
Ecco il pezzo:
La-moschea-che-non-c'è. H prossimo sindaco di Milano questa questione dovrà pur risolverla, perché così proprio non va. La moschea-che-non-c'è è un'inaccettabile ferita dal punto di vista dei diritti, nonché un colpevole e pericoloso ritardo dal punto di vista della sicurezza collettiva. Un tema su cui Pierfrancesco Majorino, assessore al Welfare della giunta Pisapia, ha lavorato molto in questi anni, senza portare a casa "il risultato", è vero, però maturando conoscenza della materia e inaugurando comunque una strada nuova per la città. E allora, Majorino, a pochi mesi dalla fine del vostro mandato qual è il bilancio? «Verso il mondo musulmano siamo in ritardo. E lo siamo tutti. Dobbiamo ammetterlo ancora di più in un'epoca in cui si ammazza anche nel nome di Allah — abusando, nella terrificante maniera che ben conosciamo, del nome di Allah. Il ritardo è oggettivo. Succede che Regione Lombardia (l'istituzione che fa da Vestito istituzionale a una delle tre più significative aree territoriali d'Europa per Pil e capitale sociale) legiferi contro il diritto di culto impedendo ai fedeli islamici di pregare in luoghi dignitosi. Più precisamente, impedendo agli enti locali di sviluppare decisioni ordinate e trasparenti in tal senso. Ma tutto ciò temo venga avvertito quasi come un "incidente di percorso' o come un giochino da consegnare alle contrapposizioni del "teatrino della politica"». Non è così? «No. Siamo di fronte a una scelta grave, la volontà di legittimare l'ostilità verso le culture differenti e di non fare di questa diversità una straordinaria occasione dell'incontro nella società plurale. Dalle città si deve insistere. Deve farlo chi ha qualche responsabilità nella gestione del "potere", deve farlo la cosiddetta società civile. A Milano, un tentativo, partorito tardivamente e non sempre sostenuto con la necessaria intensità, lo abbiamo fatto. Abbiamo formalizzato un albo delle diverse esperienze religiose, abbiamo definito un bando che metteva a disposizione aree pubbliche, delineando alcune regole per la concessione delle stesse (in merito a trasparenza, sicurezza, necessità di veicolare in italiano i contenuti delle "orazioni", tracciabilità delle risorse impiegate). A pochi mesi dalla fine del mandato non sono in grado di dire quanto il nostro operato sia stato concretamente utile visti gli ostacoli enormi tra cui la legge regionale. Ma sono convinto che la strada sia quella giusta. Devono farci paura, per la sicurezza nostra e di tutti, i musulmani costretti a pregare negli scantinati e non le moschee realizzate alla luce del sole. Soprattutto dobbiamo farci paura noi se pensiamo di poter calpestare un diritto come quello di sviluppare il proprio cammino di fede».
Per inviare a Sette la propria opinione, scrivere a: lettereasette@rcs.it oppure telefonare al Corriere della Sera: 02/62821, cliccare anche sulla e-mail sottostante