Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 24/903/2016, a pag. 7, 9, 33, e dalla REPUBBLICA a pag. 4, titoli e frammenti di articoli; dalla STAMPA, a pag. 12, con il titolo "Non colpevolizziamo l'islam e formiamo imam per le carceri", l'intervista di Francesca Paci a Oliver Roy; con il titolo "Bisogna trasformare in reato il ritorno dei foreign fighter", l'intervista di Matteo Indice a Nicola Piacente.
Ecco frasi - con i nostri commenti - e articoli:
LA STAMPA, a pag. 7, presenta l'articolo di Karima Moual e Giordano Stabile con il titolo "Cortei di auto e dolci in strada, il Califfato celebra i suoi martiri" e il sottotitolo "Ma in Marocco e nel resto del mondo arabo prevale lo choc per le stragi di Bruxelles: 'Con noi quegli esaltati non c'entrano, sono il frutto marcio dell'Europa' ".
L'Europa è corresponsabile degli attentati perché da decenni fa concessioni all'islamismo sperando - inutilmente - di essere risparmiata, ma gli attentati sono il frutto di una precisa ideologia: quella islamista.
LA STAMPA, a pag. 9, anticipa l'articolo di Francesco Grignetti con il titolo "Un detenuto su cinque è musulmano, aumentano gli estremisti islamici" e il sottotitolo "Il magistrato Santi Consolo, direttore dell'amministrazione penitenziaria: 'Ma noi li possiamo controllare uno a uno, va favorita l'integrazione".
Non un accenno alla necessaria repressione del fondamentalismo islamico e ai necessari controlli di sicurezza che dovrebbero essere intrapresi.
Santi Consolo
LA STAMPA pubblica a pag. 1-33, con il titolo "Distruggiamo la credibilità del Califfato", il commento di Bill Emmott, ex- direttore dell'Economist.
Ecco un paragrafo dell'articolo (che non riportiamo, essendo un insieme di banalità):
Lo Stato islamico non è solo, o anche soprattutto, attraente per la sua ideologia o per la religione. Lo è per la sua credibilità. In effetti, sta facendo in Siria e in Iraq quello che la creazione di Israele, e poi la sua agguerrita difesa, hanno fatto in Palestina per gli ebrei.
Una frase ignobile, che addirittura giunge ad accostare Stato islamico e Israele. Ci chiediamo come sia stato possibile che queste parole siano state pubblicate su un quotidiano come La Stampa.
Bill Emmott
LA REPUBBLICA di oggi riporta, a pag. 4, le parole di Federica Mogherini:
"Non esiste un 'noi' e un 'loro', i musulmani sono cittadini comunitari a tutti gli effetti".
Chiediamo alla Mogherini: anche gli assassini sono cittadini comunitari a tutti gli effetti? Se sono criminali, o proteggono assassini, come è avvenuto a Bruxelles con i musulmani dello stesso quartiere di Salah, continuano a essere persone con le quali occorre dialogare ? Non pensa che posizioni politicamente corrette come la sua siano di aiuto all'espansione del fondamentalismo islamico?
Federica Mogherini
I due articoli pubblicati dalla STAMPA a pag. 12 sono sintomatici dell'incomprensione del terrorismo islamico da parte di molti in Europa. Sostenere, come fa Olivier Roy, che l'islam non c'entra con il terrorismo islamico è un evidente controsenso. Anche perché gli attentatori si fanno esplodere al grido "Allah UAkbar".
E' sempre apprezzabile pubblicare opinioni diverse, ma in questo caso...
Ecco gli articoli:
Francesca Paci: "Non colpevolizziamo l'islam e formiamo imam per le carceri"
Francesca Paci
Olivier Roy
Il giorno dopo l’attacco a Bruxelles si moltiplicano le domande. Che indicazioni traiamo per i prossimi mesi, professor Roy?
«Ci sono due questioni. La prima è quella a breve termine e riguarda la fine della cellula del Bataclan: gli attentatori di Parigi facevano parte dello stesso gruppo e probabilmente sono entrati in azione perché dopo l’arresto di Salah non potevano scappare, non volevano essere arrestati e si sono fatti esplodere cercando di fare più danni possibile. La questione a lungo termine è che la radicalizzazione islamica non scomparirà con la cellula del Bataclan, perché ci sono giovani che continuano a arruolarsi con l’Isis e perché esistono molti altri Abaaoud pronti all’azione».
Come dobbiamo reagire?
«Dobbiamo focalizzarci sul lungo termine e prevenire la radicalizzazione di gruppi isolati di giovani tenendo presente che la sicurezza assoluta non esiste. Se hai due fratelli come quelli di Bruxelles che pianificano un attentato senza usare cellulari non c’è possibilità di intercettarli. Bisogna poi ridurre l’attrazione che l’Isis esercita sui ragazzi minandone il prestigio combattendolo, utilizzando chi torna indietro deluso e sottraendo agli jihadisti il monopolio dell’Islam sviluppandone il lato più spirituale. Quest’ultimo punto è il più importante, dovremmo seguire il modello dell’esercito francese dove ci sono bravi soldati che sono anche bravi musulmani, hanno i loro cappellani, vengono portati ogni anno alla Mecca e non hanno mai creato problemi. In carcere sarebbe ora di sostituire gli imam fai-da-te con “cappellani” formati professionalmente, moderni, capaci di parlare il francese. Non dico liberali, ma praticanti e occidentali».
A che punto è la popolarità dell’Isis? Dopo Bruxelles siamo alla resa dei conti, alla sfida finale?
«Non so se siamo all’epilogo, ma di certo l’Isis è sulla difensiva, l’attacco all’Europa è scattato quando ha cominciato ad arretrare in Siria e in Iraq e si è concentrato sulla minaccia globale. Questa seconda fase è più pericolosa perché noi sappiamo combattere la guerra ma non gli attentati terroristici nelle nostre città e comunque la sconfitta campale dell’Isis non si tradurrà nell’immediato in maggiore sicurezza in Europa, al contrario».
Quando dice «combattere» intende che siamo in guerra?
«No, questa non è una guerra, è un problema di sicurezza. Non siamo di fronte a una rivolta dei musulmani d’Europa. Reagire alla maniera della Francia colpevolizzando l’Islam alimenta il radicalismo. La Francia laica ha questo problema anche con altre religioni come quella cattolica, che infatti ha assunto posizioni più estreme. In Siria e in Iraq l’Occidente può vincere solo con il contributo di curdi, sciiti e sunniti anti-Isis. Dobbiamo appoggiarsi ad attori locali non mandare truppe, neppure in Libia».
Ci sono Paesi più esposti di altri?
«No, siamo tutti sulla stessa barca. I terroristi non mirano a un Paese, ma all’Occidente. Poi certo ci sono Paesi che hanno un terreno più fertile per la radicalizzazione perché questa nuova ondata riguarda soprattutto i nordafricani e i convertiti e Francia e Belgio ne hanno di più. Nessuno è al sicuro, ma l’Italia per esempio è un caso a parte perché i migranti sono soprattutto di prima generazione e non affrontano ancora la de-culturazione delle seconde e terze generazioni. Inoltre in Italia c’è un Islam variegato di egiziani, palestinesi, bosniaci, e, soprattutto, i convertiti vengono dalla classe media e non rappresentano un modello di estremismo come nella Francia laica, dove se ti converti all’Islam fai quanto di più trasgressivo rispetto ai tuoi genitori».
Matteo Indice: "Bisogna trasformare in reato il ritorno dei foreign fighter"
Nicola Piacente
La premessa è netta: «C’è poco tempo e bisogna spingere sugli strumenti di cooperazione investigativa già esistenti. Quindi dico: da subito bypassiamo certe forme di rogatoria e troviamo un modo per rendere punibile il viaggio di ritorno dei foreign fighter, quando si abbia certezza granitica che il fine del rientro non è riabbracciare i propri familiari. So che alcuni miei colleghi storceranno il naso; ma dobbiamo ragionarci, ovviamente senza forzare». Nicola Piacente, procuratore capo di Como dopo aver fatto parte dei pool antiterrorismo a Milano e Genova, è stato presidente ed è tuttora componente del Codexter, comitato permanente sul terrorismo interno al Consiglio d’Europa (47 stati membri, sede a Strasburgo). È l’organo consultivo dalle cui proposte sono nate alcune delle principali convenzioni in materia, e a cascata le leggi anti-fondamentalismo di singoli Paesi.
Cosa significa collaborare davvero nelle inchieste?
«Faccio un’ipotesi concreta. Se io sto conducendo a Roma l’indagine su una cellula che in Italia potrebbe compiere attentati, ma uno dei suoi componenti per un periodo vive in Francia, dovrei avere un collegamento in tempo reale con l’autorità giudiziaria francese, che mi permetta altrettanto rapidamente di far installare cimici o eseguire perquisizioni. Oggi non posso, serve la rogatoria».
La nascita d’una superprocura europea specializzata potrebbe dare una risposta decisiva?
«Ci si può arrivare in parallelo, ma occorrono anni e lo dimostra il percorso non semplice intrapreso per creare una Procura centralizzata contro le frodi finanziarie. Possiamo però avvicinarci molto a un modello di condivisione investigativa accelerando su quello che già è a disposizione. Altro esempio: un decreto legislativo di gennaio consente finalmente all’Italia di formare squadre d’investigatori con tutti i Paesi Ue. Facciamolo, e lo scambio d’informazioni sarà sempre più solido: spesso non c’è armonia fra i vari sistemi nella “criminalizzazione”, in senso tecnico, dello stesso comportamento».
Ovvero?
«L’Italia sanziona chi si lascia arruolare e addestrare, non solo i reclutatori ma anche i reclutati. La Germania fino a un anno fa non lo faceva».
Uno degli attentatori di Bruxelles era stato arrestato in Turchia, estradato in Olanda e poi liberato su indicazione del Belgio...
«Bisogna conoscere i dettagli, ma un uso più mirato delle intercettazioni preventive forse avrebbe aiutato».
Il premier Renzi negli ultimi giorni ha detto: «Minaccia globale, rete di terroristi locali». È una sintesi corretta, dal suo osservatorio?
«Be’, partiamo dai dati di fatto. È opinione diffusa, nelle riunioni del Codexter, che uno dei principali indicatori sul rischio attentati in uno specifico Paese sia il numero di foreign fighters partiti da quello Stato, in rapporto alla popolazione residente. Belgio e Francia sono al vertice delle graduatorie europee. Qualche conclusione si può trarre».
Oltre alle investigazioni successive agli attacchi, cosa si può fare a livello preventivo?
«Allargare le soglie di punibilità dei cosiddetti reati spia, in primis l’utilizzo dei documenti falsi e l’apologia della violenza. Aldilà dei luoghi comuni, il nostro Paese lo sta facendo. E può definirsi su questo fronte all’avanguardia, poiché non c’è stata erosione dei diritti a fronte delle nuove norme. È l’equilibrio da raggiungere e lo ritengo possibile».
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