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La Repubblica Rassegna Stampa
24.03.2016 Sicurezza made in Israel per la debole Europa
Commenti di Fabio Scuto, Federico Rampini

Testata: La Repubblica
Data: 24 marzo 2016
Pagina: 4
Autore: Fabio Scuto - Federico Rampini
Titolo: «'Check point negli aeroporti e infiltrati' - Una società israeliana in aiuto dell'Fbi per 'violare' l'iPhone»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 24/03/2016, a pag. 4, con il titolo "Check point negli aeroporti e infiltrati", il commento di Fabio Scuto; a pag. 16, con il titolo "Una società israeliana in aiuto dell'Fbi per 'violare' l'iPhone", il commento di Federico Rampini.

Ecco gli articoli:

Fabio Scuto: "Check point negli aeroporti e infiltrati"

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Fabio Scuto

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Danny Yatom

L’intelligence e le forze di sicurezza europee sono preparate ad affrontare una nuova serie di attentati? Gli esperti israeliani indicano priorità - e inefficienze - e propongono soluzioni sviluppate in anni di lotta al terrorismo (in Israele ma anche negli Usa). Misure che spesso però hanno sollevato critiche nella comunità internazionale. Questi gli elementi.

FBI EUROPEO Dany Yatom, ex generale dell’Idf ed ex capo del Mossad, non si perde in giri di parole. «Serve uno Fbi europeo con comando unico, dedicato solo alla lotta al terrorismo islamista», perché per l’Europa questa sarà una lotta lunga e «deve muoversi immediatamente con l’intelligence, la cyberwar, ma anche agenti in carne ed ossa in grado di monitorare le comunità, infiltrarsi nei gruppi musulmani con attività sospette».

PATRIOT ACT EUROPEO «Ripristinare i controlli di frontiera non significa chiudere i confini. Deve esserci una sorta di “Patriot Act” europeo, una legislazione che consenta ai servizi di agire, arrestare sospetti, investigare e interrogare anche in una fase successiva, ricorrere a “detenzioni amministrative” (arresti a lungo termine senza processo denunciati da molte Ong, ndr)».

GUERRA ALL’IS «È necessario scovare i “master mind” là dove si trovano, non aspettare che arrivino a Bruxelles. Senza un esercito di terra che combatta l’Is attentati come quelli in Belgio continueranno».

SICUREZZA AEROPORTI E STAZIONI «Gli aeroporti europei sono indietro 40 anni», spiega l’ex security chief per gli aeroporti di Israele Pini Shif. Il Ben Gurion Airport ha diversi livelli di sicurezza, prima di arrivare alla sala partenze. La security accede alle liste passeggeri, li incrocia con quelli delle persone “attenzionate” e sa subito chi deve passare per controlli più severi. Gli anelli di sicurezza per accedere alla hall sono tre. Il primo è sulla strada per l’aeroporto, tutte le auto vengono controllate a un check-point. Un secondo è sul marciapiede di arrivo, un terzo all’ingresso della hall. Tutti passano sotto gli occhi di specialisti che basano la loro valutazione visiva sulle “incongruenze”. Prima del check-in c’è poi una “intervista di sicurezza” di addetti specialisti».

FATTORE UMANO Shlomo Har-Noi, la cui azienda “Shadma” consiglia una decina di Paesi su come proteggere le infrastrutture critiche, dice che «Europa e Usa investono somme folli in sistemi ad alta tecnologia, combattono la guerra di ieri perché non investono nell’elemento umano».

Federico Rampini: "Una società israeliana in aiuto dell'Fbi per 'violare' l'iPhone"

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Federico Rampini

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Chi è il soggetto misterioso che aiuta l’Fbi a violare la privacy degli iPhone, aggirando la “non-cooperazione” di Apple? È aperta la caccia a questo terzo protagonista misterioso, nello scontro fra l’Amministrazione Obama e la più grande azienda hi-tech della Silicon Valley. Due tesi si oppongono. Il giornale israeliano Yedioth Ahronoth è sicuro che sia l’azienda Cellebrite di Tel Aviv, specializzata nello spionaggio digitale, ad avere offerto agli inquirenti americani la chiave d’accesso all’iPhone. Il New York Times segue invece la pista degli hacker domestici: la loro collaborazione con l’Fbi sarebbe una vendetta, perché Apple non “compra” la loro benevolenza pagandone i servizi nella ricerca di bachi ed errori del suo software. Una cosa sola sembra certa, o quasi. L’Fbi non ha più bisogno d’inseguire Apple in tribunale per convincerla a collaborare. Lo scontro con Apple diventa, con ogni probabilità, secondario.

Il caso ruota intorno all’iPhone usato dai due terroristi che fecero la strage di San Bernardino, in California, nel dicembre scorso. La svolta risale a lunedì, alla vigilia di un’udienza in un tribunale della California, in cui il Dipartimento di Giustizia doveva appoggiare la richiesta dell’Fbi – cioè l’ingiunzione ad Apple di fornire una chiave o “porta d’accesso” per superare le difese del codice crittato dell’iPhone. Quel giorno improvvisamente lo stesso Dipartimento ha chiesto di cancellare l’appuntamento. La spiegazione: il Dipartimento di Giustizia, che ha alle sue dipendenze anche l’Fbi in quanto polizia giudiziaria, ha trovato «un modo di entrare nell’i-Phone di Syed Farook», l’autore della strage di San Bernardino. Senza bisogno di aiuti dai tecnici Apple. Per mesi lo scontro tra l’Fbi e il chief executive di Apple, Tim Cook, si era basato su un presupposto condiviso: gli iPhone di nuova generazione sarebbero impenetrabili senza l’assenso del proprietario.

Tra i dispositivi di sicurezza citati c’è l’auto-distruzione dei dati dopo una serie di tentativi falliti di comporre il pin. Perciò gli inquirenti sulla strage di San Bernardino avevano chiesto ad Apple di far scrivere ai suoi ingegneri un nuovo codice software, una “porta di servizio”, un accesso di emergenza per carpire i dati dell’iPhone. Cook aveva opposto un categorico rifiuto, minacciando di portare la questione di ricorso in ricorso fino alla Corte suprema. La vicenda aveva spaccato in due il paese. Il dietrofront compiuto lunedì dal Dipartimento di Giustizia, ha ribaltato tutto: non c’è più bisogno di Apple, grazie al misterioso “esperto esterno”. Israeliano o hacker, per il risultato finale non importa poi tanto. Questo non solo rilancia il dibattito sulla privacy, ma può infliggere un colpo all’immagine di Apple.

L’unica cosa che fin qui nessuno aveva messo in discussione era l’impenetrabilità dei prodotti Apple. Quella di Cook era non solo una battaglia di principi ma anche di marketing per affermare di fronte alla sua clientela globale il messaggio «siete sicuri, nessuno può spiarvi finché usate prodotti Apple». La svolta è nel documento consegnato dal Dipartimento di Giustizia alla giudice federale Sheri Pym della corte distrettuale della California, dove si cita il “soggetto esterno” che avrebbe un modo per sbloccare l’accesso all’iPhone di Syed Farook. «Dobbiamo eseguire dei test – si legge nel documento – e se si dimostra la sua efficacia non avremo più bisogno dell’assistenza di Apple». Il Dipartimento di Giustizia ha promesso aggiornamenti il 5 aprile.

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