Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 23/03/2016, a pag. 8, con il titolo "Fra gli ambasciatori con lo choc dipinto sul volto", il commento di Stefano Stefanini; dalla REPUBBLICA, un titolo a pag. 1.
Quando i terroristi islamici uccidono in Israele i diplomatici e i politici di Bruxelles sono del tutto indifferenti - quando addirittura non prendono le difese dei "poveri palestinesi". Se invece gli attentati avvengono a pochi metri da dove vivono e lavorano, le cose cambiano.
Lo stesso discorso vale per Federica Mogherini, che ieri ha pianto dopo gli attentati a Bruxelles: lacrime di coccodrillo.
Federica Mogherini piange - ma solo quando gli attentati avvengono sotto casa sua, chissà come mai...
Ecco l'articolo:
LA STAMPA - Stefano Stefanini: "Fra gli ambasciatori con lo choc dipinto sul volto"
Stefano Stefanini
Dopo le bombe di ieri, Bruxelles è la trincea dell’Europa. L’Europa è al fronte ma non vuol sentir parlare di guerra. È stata inventata per relegarla ai libri di storia, almeno a casa propria. C’è riuscita così bene da non riconoscerla (o far finta di) mentre si avvicinava e giungeva sulle sponde del Mediterraneo, sempre meno Mare Nostrum. Più di un anno fa, a Parigi, il nemico ha fatto irruzione nel salotto. Adesso è arrivato al Sancta Sanctorum del quartiere Ue, fra ambasciate, studi legali, ristoranti e corsie ciclabili.
Anche a Bruxelles avevamo visto i terroristi solo in tv. Stavano a Molenbeek o a Forest, dove al massimo si transita in fretta in macchina. Non nell’impersonale quartiere europeo. Non a ridosso dell’ingorgo di traffico e dei perenni lavori in corso della metropolitana in piazza Schuman. Quando Schuman è chiusa per i vertici Ue, i funzionari Ue scendono alla vicina fermata di Maelenbeek. Lì sono esplose le bombe, si è respirato l’acre odore di fumo, i passeggeri sono usciti di corsa, i corpi sono rimasti accasciati fino all’arrivo delle ambulanze.
Molte riunioni Ue si sono fatte lo stesso; come i protagonisti dell’Angelo Sterminatore di Luis Buñuel, i partecipanti sono rimasti a lungo bloccati dentro, con divieto d’uscire. Alla Rappresentanza italiana, all’indomani del cambio della guardia, il nuovo Ambasciatore, Carlo Calenda, avrà rimpianto l’innocua guerriglia della politica romana; forse la diplomazia non è un mestiere così sicuro. Il suo predecessore, Stefano Sannino, arrivato a Madrid giusto in tempo per partecipare al lutto delle vite spezzate sull’autobus catalano, si sarà sentito lontano dalla città dove ha lasciato tracce e amicizie profonde.
L’Ambasciatore britannico si sarà distratto un attimo dall’incubo del referendum, il greco dal costante assillo del debito impagabile, il turco dalla cambiale firmata sul rimpatrio dei rifugiati.
Circondato dalle stringenti misure di sicurezza delle ambasciate Usa, l’americano, Anthony Luzzatto Gardner, ha avuto una reazione immediata: «Questo è il momento in cui Europa e Stati Uniti devono stare insieme; risolviamo i problemi e rafforziamo la cooperazione». Lo avrà pensato anche il suo collega russo, Vladimir Chizhov.
Il Belgio avrà pure le sue responsabilità, ma non facciamone un capro espiatorio. Bruxelles non è la capitale d’Europa per caso. Ne è anche il microcosmo. Disfunzionalità e divisioni belghe rispecchiano un’Ue che si divide e frammenta nel rispondere ai campanelli d’allarme del terrorismo, dei rifugiati, della stagnazione economica, della crisi ucraina. L’unità è stata finora mantenuta per il rotto della cuffia e grazie alla pur calante leadership di Angela Merkel. Fra tre mesi potrebbe incrinarsi fatalmente sulla follia di Brexit.
Il pericolo richiede unione. Brexit darebbe il colpo di grazia all’Europa – e al Regno Unito. Quanti hanno il coraggio di dirlo? Oltre la Manica, Nigel Farage e Boris Johnson proclameranno che per salvarsi Londra deve divorziare dall’Unione europea. Sul continente gli faranno eco anti-europea Marine Le Pen e Matteo Salvini. Il vento della xenofobia populista soffierà sul fuoco. Viktor Orban e Robert Fico se la prenderanno con i rifugiati. Se in Europa ci sono ancora dei leader, è il momento che si facciano sentire.
Oggi Bruxelles si risveglia boccheggiante. Non illudiamoci che sia un problema belga o franco-belga. Questo è un attacco all’Europa, né più né meno di quanto l’11 settembre fu un attacco all’America. Non facciamo finta che sia solo una questione d’intelligence e di polizia. Lo è ma non solo.
Lunedì le forze europee sono state attaccate in Mali. Si sono difese con successo ma non si parla di contrattaccare. Dov’è finito il coraggio dell’Europa? Coraggio significa prendere il toro per le corna e affrontare il problema alla radice: in Siria, in Libia, in Mali. Lo Stato Islamico non nasconde la mano. Raqqa e Sirte da dove Isis continua a macchinare, indottrinare e colpire impunemente non sono fortezze inespugnabili. Non possiamo continuare a rassegnarci e subire.
LA REPUBBLICA pubblica in prima pagina, a caratteri cubitali, il titolo "Is, guerra all'Europa". Ha dimenticato tre lettere, da porre dopo IS: LAM.
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