Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 23/03/2016, a pag. 13, con il titolo "I jihadisti come le Br, sono terroristi pronti a distruggere i nostri valori", l'intervista di Enrico Franceschini a Hanif Kureishi; a pag. 15, con il titolo "Abbiamo reagito tardi, la radice dell'odio è nell'apartheid sociale", l'intervista di Stefania Parmeggiani a Tahar Ben Jelloun.
Hanif Kureishi e Tahar Ben Jelloun cercano di spiegare il jihadismo con paragoni improbabili oppure, più semplicemente, discutendo del degrado dei quartieri di periferia di Parigi e Bruxelles. Quello che sfugge a entrambi è che il motivo del terrorismo islamico è ideologico/religioso: il tentativo di imporre al mondo intero la legge del Corano. Trattando i terroristi come "poveri disperati respinti dalla società", invece, i due intervistati perdono completamente di vista ciò che sta alla base del jihadismo stesso.
Ecco gli articoli:
Enrico Franceschini: "I jihadisti come le Br, sono terroristi pronti a distruggere i nostri valori"
Enrico Franceschini
Hanif Kureishi
«Si sentono contemporaneamente inferiori e superiori all’Occidente, respinti dalla nostra società e determinati a distruggerla, animati dall’utopia puritana di creare un mondo migliore con la violenza ». Sotto shock per gli attentati di Bruxelles, Hanif Kureishi tratteggia l’anatomia del terrorista islamico. Ripensando all’alienazione descritta nel suo romanzo d’esordio, “Il Budda delle periferie”, ma anche all’estremismo di altro segno che ha conosciuto nella sua giovinezza: «I jihadisti mi ricordano le Brigate Rosse e l’ideologia dei rivoluzionari bolscevichi », dice a Repubblica il 61enne scrittore inglese di origine pakistana.
Cosa vogliono gli integralisti dell’Is? «Semplice, sono terroristi, vogliono terrorizzarci e purtroppo ci stanno riuscendo: questa è la prima cosa che vogliono. La seconda è indurre i governi democratici dell’Occidente ad adottare leggi sempre più severe per combattere il terrore, riducendo le nostre libertà».
Che vantaggio ne ricavano? «Presentare l’Occidente per quello che loro sostengono sia: un’entità feroce e mostruosa, alla quale si oppone l’entità buona, pura, salvatrice dell’islamismo radicale».
A chi si rivolge questa propaganda? «Innanzi tutto ai milioni di musulmani che vivono in Europa, i quali sono le prime vittime di ogni giro di vite in materia di sicurezza e della discriminazione che spesso ne risulta. Se si sentono criminalizzati in massa è più facile che diano ascolto alle sirene dell’islamismo estremista, a chi dice: l’Occidente è un mostro, non fa per voi, l’unica via di salvezza è la guerra santa. Ma gli attacchi hanno anche un altro obiettivo».
Quale? «Fare aumentare i consensi per i partiti di destra, i partiti anti-immigrati, che infatti stanno guadagnando voti in tutta Europa. Più cresce il terrorismo, più la gente si spaventa, più vota per la destra che promette di alzare muri e cacciare via tutti gli stranieri. In apparenza può sembrare che così facendo i terroristi si danneggino. In realtà, più l’Occidente si allontana dall’immagine di civiltà tollerante, aperta, democratica, più i terroristi hanno buon gioco a dipingerlo come un demonio da estirpare».
Chi sono questi giovani jihadisti, cresciuti in Europa ma pronti a farsi saltare in aria facendo stragi di europei, a Bruxelles, Parigi e prima ancora a Londra? «In genere sono ragazzi che hanno studiato, con istruzione superiore. Non sono ignoranti, potremmo definirli dei criminali intellettuali. Animati da un misto di complesso di inferiorità e di superiorità. Si sentono inconsciamente inferiori agli occidentali, diversi, più poveri, con minori chances di conquistare tutto ciò che l’Occidente offre: sesso, ricchezza, potere. Ma contemporaneamente si sentono superiori, grazie all’ideologia rivoluzionaria che professano: dunque puri, nobili, speciali. Da questa miscela nasce la folle determinazione a farsi esplodere in mezzo alla gente o a sparare su una massa di innocenti. Un atteggiamento da cui neppure noi occidentali del resto siamo indenni».
In che senso? «L’ideologia rivoluzionaria marxista, leninista, bolscevica, era animata da una simile visione puritana. Lenin e Mao erano utopisti convinti di poter creare una società migliore, superiore all’Occidente. I loro seguaci si sentivano dei nobili idealisti, anche quando spargevano sangue con le bombe o con i mitra. L’estremismo di sinistra degli anni ’70, dalle Brigate Rosse in Italia ai tanti gruppuscoli più o meno violenti che esistevano nel resto d’Europa, Inghilterra compresa, deriva da quello stesso complesso di superiorità, da quella medesima intransigenza e ansia di purezza. Lo so bene perché tanti amici della mia gioventù, qui a Londra, erano fatti così, anche se magari non andavano in giro a sparare».
Come si batte questa minaccia? «Forse nello stesso modo in cui si è sconfitto l’estremismo violento degli anni ’70. Da un lato occorre sicuramente un grosso impegno delle forze di sicurezza, della polizia, dell’intelligence. Ma dall’altro occorre una fermezza politica e sociale a non farsi corrompere dalla minaccia, non rinunciare ai valori liberali e libertari della nostra civiltà, non criminalizzare chi sembra diverso. Il terrorismo, nel lungo termine, non può vincere. Ma la nostra reazione, il nostro sistema per combatterlo, contribuisce a determinare quanto durerà».
Stefania Parmeggiani: "Abbiamo reagito tardi, la radice dell'odio è nell'apartheid sociale"
Tahar Ben Jelloun
«Adesso è troppo tardi. Per evitare la trappola del reclutamento jihadista in Europa bisognava intervenire dieci o quindici anni fa». Da sempre lo scrittore Tahar Ben Jelloun denuncia le periferie come luoghi tossici, che generano violenza e criminalità.
Cosa è accaduto nelle banlieue di Parigi o in quartieri ghetto come Molenbeek? «Quello che accade quando non c’è integrazione: nell’apartheid sociale la criminalità, l’estremismo e l’odio religioso mettono radici».
Il problema sono gli immigrati? «No, i terroristi spesso sono nati in Europa. I loro genitori sono persone semplici che non sono riuscite a trasmettergli la cultura dei paesi di origine perché di quella cultura posseggono solo gli aspetti più caricaturali. A scuola non hanno imparato la tolleranza, sono stati emarginati e poi abbandonati alla strada. Oggi sono adulti fragili, prede perfette per i reclutatori, che al contrario sono abili e preparati, sanno individuare il vuoto e sanno come riempirlo».
Con quali promesse? «Li persuadono che combattere contro l’Occidente dia un senso alla loro vita e anche alla loro morte».
Come si può evitare la radicalizzazione? «Con la pedagogia, ma bisogna iniziare dalla scuola primaria. E poi un grande lavoro di polizia per evitare che in certi quartieri i reclutatori agiscano indisturbati e i terroristi trovino protezione. Se dieci o quindici anni fa si fosse combattuta l’esclusione sociale oggi non faremmo i conti con quartieri così pericolosi».
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