Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 22/03/2016, a pag. 10, con il titolo "Savater: quell'isola resta una dittatura, il commercio non basta", l'intervista di Alessandra Muglia a Fernando Savater.
Sono importanti le parole del filosofo Fernando Savater, che afferma con chiarezza esemplare che Cuba rimane una dittatura. Per questo pubblichiamo l'intervista: un monito contro un regime oppressivo e liberticida con il quale, finora, Obama ha soltanto concordato aperture sul fronte economico. Savater, ovvero quando la sinistra ragiona senza ideologie.
Ecco l'intervista:
Fernando Savater
Vorrebbe essere a Cuba in questo momento? «Assolutamente no. Ho promesso ai miei amici cubani che mai avrei messo piede sulla loro isola finché non ci saranno passi avanti sul fronte della democrazia».
Ma questo disgelo storico non è l’inizio di un processo che va in quella direzione? «Obama è andato a Cuba per agevolare la possibilità di fare affari con l’isola. Al momento la sua è una visita squisitamente commerciale. Gli accordi che si stanno stabilendo tra i due Paesi sono di tipo economico. Certo, anche i cubani potranno beneficiare degli investimenti americani. Per quanto Obama nel suo discorso parli anche di democrazia e diritti umani, Cuba resta un paese guidato da un partito unico, una dittatura. E questo non dovrebbe essere dimenticato da un democratico come Obama per una contropartita economica, come già avviene con la Cina». Fernando Savater, filosofo spagnolo, già premio Sacharov per i diritti umani, giudica con cautela questo riavvicinamento tra Cuba e Stati Uniti e non vuole rischiare di sopravvalutarne la portata.
Eppure Raúl Castro sembra temere la grande popolarità di cui gode Obama a Cuba. La calda accoglienza riservatagli dai cubani contrasta con il fatto che Raúl non sia andato neanche a riceverlo all’aeroporto al suo arrivo. «La gente spera molto in questa visita, spera che al di là dei benefici economici riesca a introdurre un principio di democrazia. Il potere stabilito teme che questo grande entusiasmo attorno a Obama si trasferisca sul sistema politico che lui rappresenta».
Barack Obama stringe la mano al dittatore Raul Castro
Non crede che sia un timore fondato? «Ero adolescente quando Eisenhower visitò la Spagna franchista: il presidente americano fu accolto in pompa magna, e questo rafforzò il regime, gli conferì un aspetto di rispettabilità. La visita favorì anche gli affari: lo sviluppo economico della Spagna cominciò proprio con la visita di Eisenhower a Franco. Ma tra questo viaggio e la fine del franchismo passarono 15 anni di repressione, carcere, torture… Spero che tra la visita di Obama e l’instaurazione della democrazia non ne passino altrettanti. Cuba è governata da un “Franco di sinistra”: soltanto quest’anno, in tre mesi scarsi, sono state incarcerate 500 persone, violenze e arresti contro attivisti dei diritti umani si sono verificati anche alla vigilia dell’arrivo di Obama. Non esiste al momento nessun segno di riconoscimento minimo delle libertà politiche e sindacali».
Ha amici a Cuba? «Ne avevo molti ma la maggior parte ha lasciato l’isola. Mi considero amico di Guillermo Fariñas e di Berta Soler. Con questi dissidenti ho passato intere giornate in occasione del premio Sacharov».
Pensa che il disgelo Cuba-Usa avrà ripercussioni sulle relazioni tra i Paesi dell’America Latina e gli Stati Uniti ? «Ci sono molti Paesi latinoamericani ostili alla politica estera americana perché spesso Washington ha appoggiato dittature. Speriamo ora che questo riavvicinamento non si traduca in un appoggio indiretto a un’altra dittatura. Quando Kennedy andò in visita a Berlino ovest (il 26 giugno 1963, ndr) e disse Ich bin ein Berliner intendeva dare il suo sostegno ai berlinesi in contrapposizione ai Paesi dell’Est e alla dittatura sovietica. Speriamo che Obama, parafrasando Kennedy, dica ora “yo soy disidente cubano”».
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