Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 22/03/2016, a pag. I, con il titolo "Lo Stato islamico ha una strategia speciale in Turchia", il commento di Eugenio Cau.
La Turchia è base di molti terroristi dello Stato islamico
Roma. Lo Stato islamico non ha mai avuto premure a rivendicare i suoi attentati terroristici. A ogni attacco, da quelli di novembre a Parigi alle esplosioni quasi giornaliere contro obiettivi in Siria e Iraq, gli uomini del Califfato emettono orgogliosi riconoscimenti di colpevolezza sulle riviste ufficiali, via video, sui social network. E’ una routine consolidata ed efficace, che però ha una sola eccezione, la Turchia. Dopo l’attacco terroristico di sabato a Istanbul, in cui un membro dello Stato islamico di origine turca, Mehmet Ozturk, ha ucciso quattro turisti, tre israeliani e un iraniano, e ne ha feriti alcune decine facendosi esplodere in mezzo alla folla a Istiklal Caddesi, una delle vie più frequentate della città, non c’è stata alcuna rivendicazione. Non è stato rivendicato nemmeno l’attacco dello Stato islamico nella centralissima Sultanahmet il 12 gennaio scorso, sempre a Istanbul, in cui un kamikaze ventenne ha ucciso nove turisti tedeschi e un peruviano.
Lo Stato islamico intende colpire e isolare la Turchia, tanto nella guerra siriana quanto nel consesso internazionale e della Nato, e per farlo ha imparato a sfruttare le debolezze specifiche di Ankara. Pochi stati come la Turchia si trovano in questo momento ad affrontare contemporaneamente due minacce terroristiche interne. Oltre allo Stato islamico, Ankara sta combattendo una guerra intestina con i curdi nel sud-est del paese, e con alcune fazioni più o meno legate al Pkk – come il cosiddetto Tak – che stanno facendo attentati suicidi nelle principali città del paese. Da luglio scorso la Turchia ha subìto sei attentati suicidi, quattro soltanto quest’anno, la cui responsabilità, secondo le forze di sicurezza turche, è ben divisa tra Stato islamico e terrorismo di matrice curda. La frequenza degli attacchi (un attentato “in stile Parigi” è stato sventato anche domenica, ha scritto Hurriyet) e la loro indeterminatezza non fa che amplificare la sensazione che i nemici siano ovunque, ed è per questo che i baghdadisti hanno scelto di non rivendicare i loro attacchi in Turchia. Senza una rivendicazione è più difficile dare una risposta – militare, politica, di antiterrorismo – decisa, e il fatto che l’amministrazione del presidente Recep Tayyip Erdogan continui a ritenere l’insurrezione curda un pericolo più grave dello Stato islamico non fa che peggiorare le cose, anche agli occhi della comunità internazionale. A ogni attacco, sui social centinaia di cittadini turchi si chiedono perché nessuno twitti #JeSuisIstanbul come avevano fatto con Parigi.
Anche la scelta degli obiettivi segue una strategia. Il New York Times ha avuto accesso a un report di 55 pagine dell’antiterrorismo francese che ricostruisce con particolari inediti la preparazione degli attacchi terroristici di novembre a Parigi. Vi si legge, tra le altre cose, che a partire dal marzo scorso il “padrino dello jihadismo francese”, Boubaker al Hakim, ha incitato i volenterosi terroristi suicidi a smettere di cercare obiettivi simbolici, come era stato il Museo ebraico di Bruxelles, per iniziare a colpire “tutti e tutto”. In Turchia però la scelta degli obiettivi è pianificata e sembra rispondere alla direttiva di colpire i turisti. Tre ebrei, di cui due con passaporto americano, sabato scorso, nove tedeschi a gennaio. Dopo l’attacco di sabato, Israele ha consigliato ai suoi cittadini di evitare i viaggi in Turchia.
Come ha notato l’analista Michael Horowitz, questo potrebbe indicare che, secondo Gerusalemme, gli israeliani fossero l’obiettivo esplicito dell’attentato. Secondo il Wall Street Journal le prenotazioni turistiche in Turchia sono calate del 40 per cento in un anno. In un editoriale sulla sua edizione americana di ieri, il Wsj racconta “the long reach of Islamic state”, che dalla Turchia a Molenbeek fino alla California, dove l’Fbi ha riconosciuto come ispirato dallo Stato islamico un attacco terroristico con coltello avvenuto lo scorso novembre, portando a cinque gli attacchi di questo tipo sul suolo americano, la strategia globale del terrorismo jihadista cresce come un’erba velenosa anche lontano dai suoi luoghi d’origine (gli attacchi sul suolo americano sono in gran parte di persone che si sono auto-radicalizzate) e colpisce anche gli stati, come la Turchia, che per lungo tempo hanno cercato di mantenere una posizione neutrale. L’unica soluzione, conclude il Journal, è accelerare la campagna militare contro i terroristi.
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