Riprendiamo da IL GIORNALE, LA STAMPA, LIBERO, cronache e commenti di Fiamma Nirenstein, Giordano Stabile, Carlo Panella sull'ultimo attentato a Istanbul.
Il Giornale-Fiamma Nirenstein: " Istanbul, attentato kamikaze, 5 morti"
Fiamma Nirenstein
Niente è più vasto, più indiscriminato e quindi ignaro dei rapporti internazionali e delle norme diplomatiche del terrorismo: colpisce tutto e tutti, tanto da colpire ieri a Istanbul, la maggiore città turca, un gruppo di israeliani insieme a un iraniano. Quanti antagonismi affogati nel sangue. Fra gli israeliani ci sono due morti, un ferito gravissimo e almeno altri 10 feriti; uno dei morti è iraniano, un altro è certamente il terrorista che si è fatto esplodere; morti anche due cittadini americani. I feriti gravi, almeno 7, sono ricoverati in diversi ospedali e ci sono anche alcuni dispersi. Un cittadino del Dubai, un islandese dipingono il tragico patchwork della unificazione del mondo sotto l'egida del terrore; i feriti sono complessivamente 39 di cui più di venti stranieri. L'attentato suicida è stato compiuto nella mattina di ieri, verso le 10. II kamikaze si è fatto esplodere all'angolo fra una stradina pedonale, Balo Sokal e Istiklal, la strada obbligatoria per lo shopping dei turisti. La detonazione sembra essere awenuta prima del tempo previsto, gli ordigni addosso al terrorista erano molto potenti e pare che solo la fortuna abbia fatto si che l'uomo non abbia raggiunto la centrale di polizia facendo un numero di vittime molto maggiore. La tensione in Turchia è alle stelle, solo una settimana fa ad Ankara un altro attentato ha fatto 37 morti. Ma mentre là gli attentatori erano del PKK qui si parla di Isis. In Israele l'impressione è enorme. Un aereo ha immediatamente preso il volo per riportare i feriti a casa e anche le famiglie dei feriti sono state trasportate a prendere i loro congiunti. Due gruppi fra cui molti arabi israeliani, compivano un giro gastronomico e i turisti erano forse sollevati dai recenti rinnovati colloqui fra Israele e la Turchia, dopo che negli anni passati i furiosi attacchi a Israele di Erdogan avevano portato i rapporti al punto più basso della storia dei due Paesi. L'ultima eco dell'odio inconsulto che in Turchia si è sollevato in questi anni è stato il tweet di Iram Atkas, una politica del partito di Erdogan AKP, che ha scritto: «magari gli israeliani feriti fossero tutti morti». II suo messaggio è stato cancellato e la responsabile espulsa dal partito. Secondo la ricostruzione della polizia, il kamikaze identificato è Savas Yildiz, 33 anni, originario di Adana nel sud del Paese. Yildiz sarebbe uno di quei terroristi generati dal traffico di uomini e di armi in mezzo a cui si trova la Turchia. La sensazione è che, nonostante gli sforzi che portano la Turchia a disegnarsi in questi giorni di accordi con l'Europa come parte del mondo che propende verso l'Occidente, i geni malefici delle guerre settarie del mondo arabo dilaghino sulle sicurezze di Erdogan. Due attentati nel centro di Istanbul e tre ad Ankara nei passati cinque mesi hanno mandato alla Turchia il messaggio che non vi è nessuna area tranquilla. L'attacco di Istiklal viene solo a due mesi da quello dell'area turistica di Sultanahmet. Vi morirono dodici turisti tedeschi. Il nuovo attacco colpisce la Turchia nel turismo di massa. Il consenso che ha sempre riportato Erdogan al potere è certo stato accresciuto dal suo porsi come leader del nazionalismo turco, disinvolto di fronte alla violazione continua di diritti umani, capace di volgere a suo favore nell'opinione pubblica il legame con la Fratellanza Musulmana quanto il rapporto con l'Unione Europea, lo scontro con i curdi e persino lo scontro-incontro con l'estremismo islamico che ha reso la Turchia autostrada dell'Isis verso la Siria. Ma il terrorismo non rispetta la scaltrezza politica. Vuole creare caos, ed è molto difficile immaginare che possa essere domato
La Stampa-Giordano Stabile: " E adesso lo Stato ebraico teme gli attentati jihadisti all'estero"
Netanyahu, Erdogan Giordano Stabile
Israele si risveglia con l’incubo del nemico che va a caccia dei suoi cittadini all’estero. Ieri sera non c’era ancora la certezza che l’obiettivo del kamikaze di Istanbul fosse il gruppo di turisti israeliani che passeggiavano lungo il viale Istiklal. Ma gli indizi sono fortissimi. Se confermati saremmo di fronte al primo attentato diretto dello Stato islamico contro Israele. Una svolta che potrebbe spingere lo Stato ebraico a rivedere la sua strategia di contenimento del pericolo. È stato lo stesso Benjamin Netanyahu, ieri sera, a lanciare l’allarme. Il premier ha spiegato che il governo era in contatto con quello turco per «verificare se l’attacco fosse diretto contro israeliani». Netanyahu non ha confermato il numero delle vittime, tre per i media turchi. Ma ci sono anche undici feriti, due gravi. Il Lotar - l’ente israeliano di monitoraggio del terrorismo - ha elevato il livello di guardia per i viaggi in Turchia. «È bene che tutti seguano gli avvertimenti», ha sottolineato il premier. Le minacce di Al Baghdadi Forte del suo formidabile apparato di sicurezza, Israele era finora rimasta fuori dall’offensiva terroristica dell’Isis che ha massacrato tutti i Paesi della regione. Dalla Tunisia all’Arabia Saudita tutti sono stati colpiti pesantemente e più volte. L’Isis ha sempre considerato questa sua incapacità di colpire lo Stato ebraico un punto debole, soprattutto dal punto di vista propagandistico. Il 26 dicembre scorso Abu Bakr al-Baghdadi in persona aveva voluto colmare la «lacuna». In un messaggio audio il Califfo aveva avvertito: «Israele pensa che abbiamo dimenticato la Palestina ma non è così. Ebrei, la Palestina non sarà la vostra terra né la vostra casa ma il vostro cimitero». Un messaggio anche a eventuali seguaci all’interno, per invitarli a colpire. Il primo gennaio, a Tel Aviv, c’è stato un attacco che potrebbe essere attribuito all’Isis, anche se manca la prova definitiva. Un arabo-israeliano di 31 anni, Nashat Melhem, spara con un fucile mitragliatore sui clienti di un pub in via Dizengoff, in pieno centro, uccidendo due persone. Poi fugge in taxi, si fa portate fuori città, uccide anche il taxista. Riesce a far perdere le tracce per una settimana. L’8 gennaio viene trovato in una moschea di Um el-Fahem, nel nord di Israele, ed è abbattuto dagli agenti. Qualche giorno dopo sul Web l’Isis rivendica l’affiliazione di Melhem allo Stato islamico. Tutta da verificare, perché l’uomo ha un passato di disturbi psichici e l’ossessione per l’uccisione di un fratello da parte della polizia israeliana. Come è da verificare la matrice islamista dell’attacco a Giaffa dell’8 marzo, con un americano assassinato e dieci persone ferite a coltellate. Ma è chiaro che se c’è una porta d’ingresso per l’Isis in Israele è quella di arruolare in qualche modo arabo-israeliani nelle sue file. Finora i tentativi sono falliti. I foreign fighters israeliani nell’Isis si contano sulle punta delle dita. Il 25 ottobre scorso un arabo israeliano, residente a Jaljulia, ha cercato di unirsi a ribelli islamisti in Siria volando dal Golan con un parapendio. Un altro caso, da chiarire, è quello di Muhammad Musallam, 19 anni, arabo israeliano che si era arruolato nell’Isis ed è stato poi giustiziato l’11 marzo del 2015 come «spia del Mossad». Musallam era anche apparso sul mensile dell’Isis «Dabiq» per confessare i suoi «crimini».
Libero-Carlo Panella:" Terrore, dittatura, razzismo, è la Turchia che accogliamo"
Carlo Panella
Nuovo attentato in Turchia, il sesto, a soli sei giorni dall'esplosione che ha fatto 37 morti ad Ankara. Un kamikaze si è fatto esplodere alle 11 di ieri nella strada pedonale dello shopping di Istanbul, la Istikal Caddesi, nel cuore del quartiere di Beyoglu, l'antica Pera a poche decine di metri da piazza Taksim e da Gezi Park. Cinque i morti, oltre all'attentatore, due americani, due israeliani e un iraniano; 36 i feriti, di cui 7 in gravi condizioni. Dodici sono stranieri: 6 israeliani, 2 irlandesi, un tedesco, un islandese, un iraniano e uno di Dubai. Una miscellanea di nazionalità che spiega bene come il luogo della strage sia stato scelto per colpire il turismo. È possibile che il kamikaze intendesse colpire in realtà l'affollatissimo centro commerciale Demiroen, a pochi passi da luogo in cui si è invece fatto esplodere, probabilmente per timore di essere intercettato da una delle tante pattuglie di polizia che presidiano uno dei luoghi più frequentati dai turisti di Istanbul. Le autorità turche, a differenza degli ultimi tre attentati di Ankara, non hanno indicato la pista curda del Pkk, ma hanno addossato la responsabilità all'Isis, come già in occasione dell'attentato di Suruç, nel luglio scorso. Questo, perché hanno individuato l'attentatore dalle impronte digitali: è un turco, Savas Yildiz, di 33 anni, nato e residente ad Ada-na, cittá del sud-est della Turchia, una delle zone più infilirate dal Califfato. Yildiz era noto alle forze di sicurezza perché era andato a combattere in Siria ed era tomato in patria lo scorso ottobre. Poco dopo l'attentato, un episodio vergognoso, denunciato dai media israeliani: hem Aktas, militante e dirigente di una sezione femminile del Akp, il partito di governo del presidente Erdogan ha postato su Twitter una frase infame: «Magari gli israeliani feriti fossero tutti morti». II tweet ha naturalmente provocato una ondata di polemiche, è stato rapidamente cancellato e sono in corso indagini per verificare le responsabilita effettive. La cadenza ormai impressionante degli attentati in Turchia, le responsabilità di due centrali terroristiche ben distinte e addirittura acerrime nemiche l'una dell'altra - l'Isis e il Pkk curdo - che con tutta evidenza operano con grande libertà ovunque nel Paese, dimostrano non solo l'inefficienza delle forze di sicurezza turche, ma anche e soprattutto l'incapacità di Tayyp Erdogan e del suo governo di adempiere al mandato politico per cui avevano chiesto e ottenuto la vittoria elettorale schiacciante del novembre scorso: la garanzia della sicurezza interna. L'ondata di attentati si somma infatti al divampare - di nuovo - di una vera e propria guerra civile contro i curdi, che ha fatto centinaia di morti, anche Ira le forze di sicurezza turche, ai bombardamenti aerei delle basi del Pkk nel Kurdistan iracheno, ai continui tiri di artiglieria contro le città curde della confinante Siria per colpire le milizie del Ypg curdo, alleato del Pick e alla feroce repressione interna contro intellettuali e giornalisti. Nel complesso, la Turchia di Erdogan è oggi un Paese in preda a convulsioni non governate, crescenti e caotiche. Nonostante questo, nel vertice di Bruxelles, una Unione Europea ignava, ha deciso di assegnare proprio a questa Turchia, proprio a questo Erdogan, il presidio della sua frontiera con una Mesopotamia sconvolta dalla guerra civile siriana e dalla presenza, ormai cronica e appena intaccata, del Califfato nero dell'Isis. Una scelta di puro opportunismo, non solo più che criticabile sotto il profilo politico, ma anche e soprattutto inefficiente. È infatti evidente che questa Turchia, questo Erdogan, non offre le garanzie minime di sapere e volere controllare i fenomeni eversivi che la sconquassano. Come è certo che i 6 miliardi di euro che la Ue verserà nelle sue casse per fare da gendarme ai profughi non risolveranno nulla. Anzi. Ma quel che è peggio, è che pervolontà di Angela Merkel, nel vertice di Bruxelles si è accettato anche un altro diktat di Erdogan: la Turchia si impegna ad arginare il flusso dei profughi in Europa in cambio delle riapertura immediata delle trattative per il suo ingresso pieno ed organico nella Unione Europea. Una strada che poteva apparire percorribile, con cautela, quando la Turchia era solidamente e democraticamente governata da forze laiche o islamiche di piena affidabilità democratica. Ma che oggi appare come la incosciente apertura al contagio a tutta l'Europa, dell'instabilità caotica e dell'autoritarismo islamista di Erdogan e del suo partito. Una prospettiva da evitare.
Per inviare la propria opinione, telefonare:
Il Giornale: 02/ 85661
La Stampa: 011/65681
Libero: 02/ 999666
oppure cliccare sulle e-mail sottostanti