Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 19/03/2016, a pag.4, con il titolo "Il colpevole silenzio dei docenti universitari sul caso Panebianco", il commento di David Meghnagi.
David Meghnagi Aggressione a Panebianco
Le domande che Meghangi pone nel suo pezzo rivelano a quale punto siamo arrivati in Italia in quanto a difesa delle libertà personali. Il nostro dovrebbe essere un paese democartico, purtroppo la violenza esercitata contro il prof. Angelo Panebiano, insieme alla quasi totale assenza di solidarietà nei suoi confronti, ci dicono il contrario. La 'colpa' di Panebianco ? Non unirsi al coro degli odiatori di Israele da un lato, nè dall'altro nascondersi dietro al silenzio dei vigliacchi che tacciono per paura.
Per leggere cronache e commenti precedenti, scrivere panebianco nella finestra 'cerca nel sito' in home page in alto a sinistra.
Il professor Angelo Panebianco è oggetto da mesi di un’odiosa campagna all’interno dell’ateneo bolognese, che gli impedisce di svolgere con serenità le sue lezioni accademiche. L’idea che, in uno dei luoghi simbolo della cultura occidentale, un docente debba fare lezione protetto della polizia, ha qualcosa d’inquietante e sinistro. Il segno di una regressione, che dovrebbe far riflettere. L’accusa è risibile. Ha un che di paranoico. Panebianco sarebbe un “guerrafondaio” e l’ateneo in cui lavora “militarizzato”. Se non fosse per la gravità della situazione, verrebbe da ridere amaramente all’idea che la vittima di un’intimidazione, che si ripete ormai regolarmente, si debba difendere da un’infamante accusa spiegando ai giornalisti che lui non è un “guerrafondaio”, che è solo uno studioso che analizza e descrive i fatti, tenendo debitamente distinte e separate le convinzioni personali (che non sono certo bellicose) dalla presentazione oggettiva dei fatti. Che per la pagina locale di Repubblica si è trattato di “una nuova contestazione” nei “confronti del professore sotto tutela”, e non invece di un fatto inquietante, che mina alle radici uno dei fondamenti della vita universitaria. Dove è finita la considerazione per i sentimenti di chi vede stravolta la sua esistenza? Come mai tutto questo non ha alcuna importanza? Dove è finita la solidarietà della comunità scientifica? Perché i colleghi dell’ateneo non sono venuti in massa alle sue lezioni per dire “no” alla cultura dell’intimidazione? Come mai, a compiere meritevolmente questo gesto, sono stati in pochissimi? Dov’erano gli studenti che la pensano diversamente e che sono la maggioranza? Perché non hanno fatto sentire la loro voce? Il meccanismo è noto. La paura, la vigliaccheria, la voglia di non esporsi, di non dare all’occhio con l’illusione che a loro non succederà. E se non fosse così? E se fosse che con quel silenzio vile, la violenza è nei fatti legittimata e che legittimando quella violenza, dopo potrebbe toccare ad altri, in una catena senza fine? Il motivo per cui Panebianco è entrato nel mirino di alcuni settori dell’estrema sinistra ha ragioni più profonde, che spiegano in parte le tiepide reazioni di solidarietà. La “colpa” imperdonabile è la posizione fuori dal coro di chi in modo esplicito, o nascosto, non ha mai in realtà accettato l’esistenza di Israele. Panebianco è “colpevole” per avere denunciato in modo inequivocabile il boicottaggio contro le università israeliane, come una forma di antisemitismo.
Per inviare al Foglio la propria opinione, telefonare: 06/ 5890901, oppure cliccare sulla e-mail sottostante